R. Levrero, Sibilla, che
cosa vuoi? La divinazione nel mondo greco e romano, ed. Ananke,
Torino 2008
L’autrice, che
finora si è
occupata soprattutto dell’Africa antica e dell’Egitto, compone un agile
libretto sulla divinazione antica, soprattutto di Greci e Romani, come
dice il sottotitolo, ma con una breve introduzione sui popoli orientali
e naturalmente un preciso riferimento agli Etruschi. La mantica viene
osservata nei suoi vari aspetti, dall’interpretazione del termine alle
diverse modalità di divinazione, agli oracoli ‒ sedi, responsi, sviluppo e decadenza.
L’esposizione si basa su fonti citate ampiamente in traduzione ed è
corredata da foto di siti archeologici (l’autrice è laureata in
archeologia), piantine e cartine. Le note, ben informate, si
riferiscono a diversi settori dello studio dell’antico, rivelando
quindi un buono spettro di studi preparatori. L’impostazione è
divulgativa, per non specialisti ma comunque per un pubblico di buona
cultura. L’unico neo è costituito dalle citazioni in greco, molto
carenti quanto a spiriti e accenti. Se vi sono queste difficoltà,
sarebbe più opportuno traslitterare.
AA. VV., Riflessi di un’antica
fonte –
Esperienze di traduzione dalla poesia greca e latina, a cura di P.
Ferrari, Quaderni Diesse Lombardia, 2008
La curatrice è un’insegnante di latino e greco in
un liceo classico dell’Hinterland milanese. Racconta nella prefazione
di aver attuato con sei alunni della sua seconda una serie di incontri
pomeridiani in cui li invitava a misurarsi con la traduzione di testi
poetici latini e greci. I testi scelti, appartenenti alla lirica latina
dell’età classica e alla poesia epigrammatica ellenistico/romana, sono
accomunati dall’idea di poesia eternatrice: si tratta di Callimaco, AP
VII, 80, AP VII, 459; Posidippo 122 AB; Meleagro, AP
VII,476;
Catullo, 51, 72, 96; Orazio,
Odi I, 22, III, 13; Marziale V, 10.
I testi sono stati tradotti da
ciascuno dei ragazzi, e completati con un titolo e con note che danno
ragione delle scelte stilistiche e lessicali. Così per ciascun testo
possiamo confrontare sei diverse traduzioni a cui i diversi titoli
conferiscono anche differenti sfumature. Ad esempio questi i titoli per
Callimaco AP VII, 80 (l’epitafio di Eraclito):
Volo al tramonto
Canti d’usignolo
Il ladrone
La morte di Eraclito
Perdurare di un’amicizia
Il tramonto
Ci sembra che l’iniziativa
didattica sia molto interessante. E’ esperienza comune la difficoltà di
far comprendere ai ragazzi la differenza fra la lettura e comprensione
di un testo in tutti i suoi aspetti e la trasposizione in altra lingua:
far comprendere cioè che la traduzione è altro rispetto alla
comprensione (per le lingue moderne non è neppure una della quattro
abilità): richiede la perfetta (per così dire) conoscenza di due
lingue, ma anche gusto, finezza e un certo grado di libertà espressiva,
tale però da non prevaricare sull’autore, ma da accostarlo con
rispetto. Quest’opera è quindi un buon esempio di lavoro culturale e
mostra negli studenti un buon livello di maturità.
Benedetto XVI, Paolo
l’apostolo delle genti, Lev (Libreria editrice Vaticana) - Edizioni
S.Paolo, 2008
In
occasione del bimillenario di S.Paolo (la
cui nascita è fissata dagli storici fra il 7 e il 10 dell’era
cristiana) il S. Padre ha bandito l’anno paolino, dai vesperi della
festa dei SS. Pietro e Paolo del 2008 alla successiva festa del 2009.
Naturalmente questo grande periodo di riflessione e preghiera dedicato
all’Apostolo delle genti ha suscitato anche una serie di iniziative
editoriali. Presentiamo qui un breve testo, che raccoglie diversi
interventi di Benedetto XVI già pubblicati in altre occasioni, ma qui
opportunamente ripresi e resi disponibili.
Come Premessa troviamo
l’Annuncio dell’anno paolino, cioè il discorso pronunciato ai
Vespri del 28/6/08 dal S. Padre nella basilica romana di S. Paolo Fuori
le Mura. Fondamentale in questo annuncio è l’affermazione del legame
fra Pietro e Paolo, costruttori entrambi della Chiesa seppure con
compiti e storie diversi; legame particolarmente evidente a Roma, dove
furono entrambi martirizzati, tanto che il Papa li considera i veri
fondatori di Roma, gli iniziatori della nuova città.
Il primo capitolo, Paolo di
Tarso, è quello più direttamente legato al tema: tratto dal volume Gli
apostoli e i primi discepoli di Cristo (Lev 2007), che a sua volta
raccoglieva una serie di omelie catechetiche, costituiva appunto la
parte dedicata all’Apostolo delle genti. Benedetto XVI vi tratteggia la
vita di Paolo, la sua formazione, lo zelo nella persecuzione della
Chiesa nascente, l’incontro sulla via per Damasco, l’apostolato, il
martirio, le idee portanti del suo annuncio: la centralità di Cristo,
l’azione dello Spirito, la Chiesa come “corpo di Cristo”.
Il secondo capitolo, Paolo
e l’unità dei cristiani, raccoglie tre omelie pronunciate dal Papa
in diverse occasioni e pubblicate nella serie vaticana
Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. I e II. Le tre parti che lo
costituiscono riecheggiano le tre differenti circostanze: l’inizio del
Pontificato, con l’urgenza di “ripartire da Cristo” per
un’evangelizzazione “a gloria del Suo nome”; la festa dei SS Pietro e
Paolo del 2005, con una particolare insistenza sulla cattolicità, cioè
l’universalità, della Chiesa; la festa della Conversione di S.Paolo,
coincidente con la fine della settimana dedicata all’unità dei
cristiani e con l’uscita dell’enciclica Deus Caritas est: il
Papa lega fra loro queste circostanze col tema fondamentale dell’amore.
Il terzo capitolo, Ebrei e
cristiani un’unica alleanza, è tratto da
Molte religioni un’unica alleanza, edito in seconda edizione dalla
San Paolo nel 2007. E’ il capitolo più lungo e più complesso. Il tema
fondamentale è quello del termine e concetto di “alleanza”: partendo da
un’analisi linguistica e semantica della parola nell’Antico
Testamento in lingua ebraica (berit) e della sua traduzione
greca nei Settanta (diatheke, non syntheke
o spondé), il Papa rileva che non è un patto simmetrico, “un
contratto che impegna a un rapporto di reciprocità, ma un dono, un atto
creativo dell’amore di Dio”; nel dono, tuttavia, nell’amore sponsale
fra Dio e il suo popolo, si realizza un nuovo tipo di reciprocità: si
supera così, già nell’Antica Alleanza, quell’impossibilità di relazione
che le filosofie pagane mettevano in conseguenza della perfezione di
Dio.
Ci permettiamo di osservare qui
come questo punto ci sembra particolarmente interessante per il nostro
studio del mondo pagano: come abbiamo più volte rilevato (ed è una
chiave di lettura della nostra mostra Cercandolo come a tentoni,
del Meeting 2002), la tensione alla perfezione di Dio finisce per
portare il paganesimo ad una solitudine dell’uomo, chiudendo ogni tipo
di rapporto che altre intuizioni religiose pur limitate e precarie
(l’antropomorfismo, la preghiera, gli oracoli, i misteri…) avevano
tentato di individuare, avevano espresso come speranza o desiderio.
Certo, solo la Rivelazione di Dio come amore trinitario e come
sovrabbondanza di amore per l’uomo poteva rispondere a questo desiderio
e superare ogni antinomia.
Il Papa prosegue poi con
un’indagine dell’idea di alleanza nelle lettere di Paolo: al di là
della rigida distinzione fra l’Antica e la Nuova, Paolo vede
nell’alleanza di Dio con Abramo quella fondamentale e permanente, in
quella con Mosè uno stadio intermedio del piano di Dio: il velo con cui
Mosè si copriva il volto cade dal cuore per opera dello Spirito, che
permette quindi di vedere lo splendore interiore della Legge e
interpretarla nel modo giusto. Non quindi due alleanze, ma un solo
agire di Dio nella storia.
Particolare attenzione è poi
rivolta alle parole di Gesù nell’Ultima cena nelle diverse redazioni
dei quattro evangelisti: nella complessa analisi dei testi, del loro
rapporto coi testi veterotestamentari e paolini, si mette in rilievo la
continuità dell’alleanza e il suo compimento attraverso il “patto di
sangue” con Gesù. L’esito, come osservato dai Padri della Chiesa, è una
nuova bilateralità “che scaturisce dalla fede in Cristo come Colui che
adempie le promesse, con i due concetti di incarnazione di Dio e
divinizzazione dell’uomo”.
Naturalmente il tentativo di
sintetizzare un libro del genere è rischioso e poco efficace. Possiamo
quindi solo raccomandarne la lettura, sia a chi intende accostarsi a S.
Paolo, sia a chi è interessato ad approfondire verità fondamentali
della fede cristiana e della nostra storia.
M. Meschini-R. Persico, I
giorni della storia, 1. Dalla preistoria all’impero romano, 2. Dal III
secolo d.C. al Trecento, pagg. 503 e 536, Archimede edizioni, 2008.
E' recensito fra i libri di testo
di storia. Vai
qui.
Friedrich Maier, Warum
Latein? Zehn gute Gründe, ed. Reclam,
Stuttgart 2008
L’autore, che ha già pubblicato
diversi saggi sulle lingue classiche, il loro insegnamento e il loro
rapporto con la cultura europea, si propone in questa breve opera di
dare motivazioni per lo studio del latino.
Dopo un capitolo intitolato Was
ist Latein?, in cui si fa il punto sull’importanza storica del
latino nella formazione dell’Europa e sulla situazione attuale
dell’insegnamento di tale disciplina in Germania, si giunge alla parte
centrale del testo che riprende il titolo e affronta le dieci
motivazioni per lo studio del latino. Queste motivazioni sono,
nell’ordine:
1. Il latino serve per
un’approfondita conoscenza linguistica;
2. Il latino è un buon esercizio
per la madrelingua (particolarmente interessante questo punto, dato che
si parla di una madrelingua non neolatina.;
3. Il latino è una scuola dello
spirito (con citazione da M. Lutero);
4. Il latino serve da ponte per
l’apprendimento delle lingue straniere;
5. Il latino è un laboratorio di
analisi per smascherare la falsa retorica;
6. Il latino ci conduce alle radici
dell’Europa;
7. Il latino è il prezioso deposito
dello scenario linguistico europeo;
8. Il latino è il luogo di studio
per i testi fondamentali europei;
9. Il latino è il punto
d’incontro con uomini che hanno cambiato il mondo;
10. Il latino porta alle fonti
della poesia e della filosofia.
Come si vede, le motivazioni sono
un po’ ripetitive (dieci sembra essere una buona cifra tonda) e sono
riassumibili in alcune linee: l’utilità pratica per l’apprendimento
linguistico; l’imparare a ragionare; le radici dell’Europa; l’incontro
con testi poetici e filosofici. Tutte queste linee sono sicuramente
condivisibili, anche se le prime due, le più tradizionali nella
propaganda pro-latino anche da noi, ci sembrano un po’ forzate e
strumentali. Quanto alle altre due, sarebbe auspicabile che si
prendesse in considerazione anche il greco, che come fonte di poesia e
filosofia è certo più accreditato.
Comunque un’opera interessante per
la conoscenza di situazioni e idee al di fuori dell’Italia.
Tore Janson, Varför latin?,
pag. 94, Pocketbiblioteket, SNS Förlag, Stockholm
Anche in Svezia
la questione del latino e l'importanza della sua presenza è oggetto di
discussione. Ricordiamo che in Svezia ha operato una scuola filologica
di altissimo valore che ha prodotto opere di grande importanza. Il
presente volumetto traccia un quadro dell'importanza del latino, sia
dal punto di vista linguistico sia dal punto di vista culturale. Il
libro si articola in quattro capitoli fondamentali:
Il Latino
nell'Europa e nel mondo;
Latino,
chiesa e insegnamento;
Il Latino
nell'antichità;
Il latino nel
futuro.
Il primo capitolo ha
un'impostazione soprattutto linguistica, e mira a rilevare quanti
aspetti del latino siano presenti in svedese, sia di provenienza
diretta sia di provenienza mediata attraverso l'inglese (pag. 18 Il
latino nell'inglese e dall'inglese) sia attraverso le altre lingue
romanze (pag. 25 Il latino e le altre lingue romanze) con una
breve conclusione sull'importanza del latino nella formazione del
lessico intellettuale che oggi si usa. Il secondo capitolo discute
l'importanza del latino e la sua penetrazione in molti stati europei
anche attraverso la presenza della Chiesa cattolica, e si sottolinea
l'apporto del latino ecclesiastico all'epoca dell'impero e poi
nell'epoca medievale. Nei capitoli finali si esaminano i rapporti fra
greco e latino e l'apporto del greco nella formazione del latino come
lingua di cultura. Alle pag. 64 ss. viene studiato il rapporto fra
latino e istituzioni, e il rapporto fra latino, greco e scuole
nell'Europa non solamente antica. In sostanza, il latino non è visto
solamente come lingua che è stato strumento di una storia letteraria
che pure ha prodotto alcuni monumenti di valore fondamentale nella
storia della cultura, ma soprattutto come strumento di una civiltà che
ha dato un impulso decisivo alla formazione della cultura europea che,
pur differenziandosi sensibilmente come organizzazione concreta,
riconosce (o dovrebbe riconoscere) nella cultura latina i principi a
cui ispirarsi. Chiude il volumetto una piccola appendice (pag. 85 ss.)
che enumera una serie di parole svedesi la cui origine è da individuare
nel latino e nel greco. L'autore, Tore Janson, è presentato sul quarto
di copertina come professore emerito di latino e di lingue africane.
Aggiungiamo che nel 2004 aveva dedicato al latino un libro di cui
esiste anche la traduzione inglese, A Natural History of Latin.
Altri libri sul
valore e l'importanza degli studi classici in questa rubrica
M. C. Nussbaum, Non per
profitto. Perché le
democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, il
Mulino, 2011
Nel suo recente saggio Not for
Profit. Why Democracy needs the Humanities, Princeton 2010, edito
da il Mulino nel 2011 nella traduzione di Rinaldo Falcioni, Martha
Nussbaum si interroga ancora una volta sul valore dell'educazione
umanistica.
Di rilevante interesse è che la domanda sorge proprio a partire dalla
crisi economica globale nella quale ci troviamo, che diffusamente e
rapidamente si sta trasformando nella crisi delle democrazie
occidentali. La questione dunque prende vigore dall'emergenza
dell'attualità e l'autrice in un saggio breve e denso mostra come
l'educazione umanistica contenga gli strumenti per reagire alla
negatività del momento e agire per rivitalizzare la democrazia nelle
nostre società globalizzate.
Fatta una particolareggiata analisi dei comportamenti anti-morali
nell'ambito delle società umane che facilmente assopiscono rapporti di
rispetto e reciprocità e invece diffondono rapporti di prevaricazione,
l'argomento forte in uno dei capitoli centrali del saggio è che la
persona formata dal metodo del ragionamento critico, nella cultura
occidentale di origine socratica, sia baluardo della democrazia e
promotrice di sviluppo umano perché antiautoritaria in quanto la
valorizzazione del buon ragionamento la pone al riparo dall'inganno
della fama, del prestigio e del potere, dissidente per sua natura dal
pensiero omologante dei pari se ingiusto o sbagliato infine capace di
umanizzare l'altro anche se sconosciuto o diverso da sé perché
nell'ambito della discussione vige l'egualitarismo del buon
ragionamento.
Un'indagine
storica che a partire dal metodo socratico arriva ai
maggiori pedagogisti moderni contribuisce a dimostrare come il problema
dell'educazione sia centrale per il nostro tempo, perché le democrazie
non sopravvivono senza cittadini attenti, attivi, critici, curiosi,
capaci di resistere alle pressioni omologanti o deresponsabilizzati.
Infine la studiosa mostra come la formazione umanistica, sul piano
teorico messa in discussione dal modello dell'utile e del profitto, sia
anche minacciata concretamente dai provvedimenti che la crisi economica
impone, non solo per le limitazione esterne, che consistono per lo più
in una drastica diminuzione dei finanziamenti e nei tagli conseguenti,
ma anche dalle limitazioni interne, che costringono i docenti e
dirigenti, costretti a tamponare le falle, a lavorare velocemente e
male.
Un saggio in sintesi che, per echeggiare la citazione di J. Dewey
riportata in calce al testo, collega solidamente l'impegno
nell'educazione improntata sulla cultura umanistica alla promessa di
una vita ricca di significato.
Giovanni
Alberto Cecconi,
La città e l'impero. Una storia del mondo romano dalle origini a
Teodosio il Grande, pag. 478, ed. Carocci, Roma, I ediz. ottobre
2009
E' recensito nelle Segnalazioni. Vai qui.
Andrea
Muni, Legge
e libertà.
La filosofia dell’educazione in Edda Ducci
Legge e
libertà. La filosofia dell’educazione in Edda Ducci è il titolo
di una Tesi di Dottorato presentata da Andrea Muni (Pontificia
Università «Antonianum» in Roma, Facoltà di Filosofia, settembre 2012)
che costituisce il primo studio condotto su quest’Autrice italiana.
Edda
Ducci (1929-2007) è stata una delle più originali e interessanti
filosofe-pedagogiste italiane del Novecento, del tutto controcorrente
rispetto ad alcune tendenze culturali del secolo scorso, in larga parte
focalizzate su temi, autori e testi contemporanei, su ciò che si
presenta come «nuovo» o «aggiornato», mentre non di raro, di fatto, è
solamente «di moda». Quest’Autrice, che ha insegnato discipline
pedagogiche e filosofiche per quasi cinquant’anni nelle Università
italiane (Bari, Roma-«Lumsa», Roma-«Lateranense», Roma-Tre, Roma-«La
Sapienza»), ha sempre parlato ai suoi contemporanei degli antichi e ha
sempre risposto alle domande dell’oggi (che, a ben vedere, sono le
domande di sempre) con gli antichi. I suoi più amati auctores sono
sempre stati Aristotele, Sofocle e soprattutto Platone; con
l’insegnamento, le pubblicazioni e con la sua stessa vita ha saputo
mostrare come questi antichi abbiano saputo approcciarsi alle grandi
domande esistenziali dell’uomo con una sapienza intemporale e
inattuale, cioè tale da superare le distanze del tempo e le contingenze
della storia. La tesi dottorale che ce la presenta, frutto del lavoro
di tre anni di lavoro sui testi ducciani, su quelli delle sue fonti e
sulla relativa letteratura critica, si compone di circa quattrocento
pagine, di cui circa cento di apparati (glossario dei termini-chiave,
bibliografia critica).
Nell’Introduzione, di una quindicina di pagine (pp. 2-15), vengono
precisate le motivazioni del lavoro (principalmente la constatazione
che ad oggi non è stato pubblicato niente su questa interessante
filosofa), alcune definizioni essenziali dell’ambito della ricerca (la
«legge» e la «libertà»), i metodi e le finalità seguiti (non
primariamente storico-storiografici né teoretici, quanto piuttosto
esistenziali, educativi, edificanti) e la struttura del testo (la
suddivisione in capitoli e un cenno ai relativi contenuti).
Una lunga e impegnativa Nota biografica, di una trentina di pagine (pp.
16-44), ricostruisce, sulla base di fonti d’archivio e di testimonianze
dirette di alcuni familiari, studenti e colleghi della Ducci, la sua
biografia dalle origini familiari alla morte, soffermandosi anche sulla
ricezione del suo pensiero da parte di alcuni allievi che se ne sono
fatti interpreti e continuatori attraverso sia la docenza universitaria
che le pubblicazioni.
Il primo capitolo, di una quarantina di pagine, Il pensiero della
Ducci: temi, contesti e fonti (pp. 45-88), contestualizza la
filosofia
dell’Autrice all’interno di differenti prospettive (dei sistemi
educativi e scolatici italiani ed europei, delle pedagogie e delle
filosofie dell’educazione, delle filosofie tout court).
Il secondo capitolo, di un’ottantina di pagine, Le fonti antiche:
Sofocle, Aristotele, Platone (pp. 89-170), che insieme al terzo
dovrebbe essere il più importante di tutta la tesi, espone il
contributo della Ducci allo studio di questi autori, approfondendo la
sua proposta interpretativa in modo molto analitico, valutandone la
validità opera per opera ed anzi passo per passo, conducendo lo studio
in un costante confronto diretto con i testi originali greci nelle
edizioni critiche oggi più accreditate; della mediazione ducciana
vengono indicati non solo i pregi, ma anche i limiti.
Il terzo capitolo, di una settantina di pagine, Le fonti moderne:
Corallo, Tincani, Rossano e Fabro (pp. 171-237), approfondisce il
rapporto del pensiero ducciano con quello dei suoi principali
interlocutori contemporanei, sottolineandone i tratti di continuità e
di discontinuità, i motivi di convergenza e quelli di originalità. Una
tesi di fondo che viene sostenuta è che la Ducci rilegge e filtra
Platone e tutti i testi filosofici antichi e moderni attraverso le
categorie spirituali di Santa Caterina da Siena, e che alle fonti
cateriniane attinge attraverso l’importante mediazione della Tincani.
Seguono il quarto capitolo, Filosofia dell’educazione vs scienza
dell’educazione (pp. 238-275), e il quinto, Orientamento
filosofico
della Ducci: difficoltà di definizione (pp. 276-291), che in una
cinquantina di pagine approfondiscono quanto già presentato nei
precedenti capitoli lasciando sullo sfondo i rapporti di
derivazione-rielaborazione per farne emergere in primo piano alcuni
concetti essenziali.
La lunga e densa Conclusione (pp. 292-320) in una trentina di
pagine
riepiloga per linee essenziali la filosofia della Ducci e, valutandone
la coerenza interna, dal suo stesso interno individua dieci punti di
forza ed altrettanti punti deboli, mettendo a confronto potenzialità e
limiti della sua proposta filosofica. Viene sostenuto che i pregi (in
particolare una ben fondata e ben orientata difesa della libertà umana,
della bellezza interiore dell’anima, dell’amore trascendente e
misterioso radicato nel cuore di ciascuno, ed un’apprezzabilissima
proposta dell’educazione dell’interiorità e della dialogicità o
relazionalità umana più autentica) superano largamente le pur
chiaramente ammesse riserve, tra cui ad esempio una scelta di registro
linguistico forse eccessivamente oscuro ed allusivo, una tendenza ad
assolutizzare l’interiorità e a negare al di fuori dal platonismo un
significativo apporto o una reale novità di altre filosofie, culture,
espressioni del pensiero e realtà umane o divine (ad esempio, nella
tesi si evidenzia che dalle pubblicazioni della Ducci non emerge
chiaramente la radicale novità del cristianesimo, anzi per certi
aspetti potrebbe sembrare risolvibile e riconducibile al platonismo in
termini di progressive assimilazioni o rielaborazioni inessenziali, a
meno di ipotizzare anacronistiche anticipazioni del cristianesimo da
parte degli autori pagani).
Un ampio Glossario dei termini-chiave, che si estende per una
trentina
di pagine (pp. 321-350), mette in ordine con chiarezza e precisione di
riferimenti bibliografici alcuni dei più importanti concetti ducciani
(tra cui: amore, anima, ascesi, bello, benessere, Dio, grazia, libertà,
mistero, sacro, scienza, storia, tecnica, uomo).
Una Bibliografia di una quarantina di pagine (pp. 351-386) riporta in
ordine cronologico le pubblicazioni della Ducci, suddivise per
tipologia (monografie - curatele - articoli in volume - articoli in
rivista - traduzioni - saggi ad uso interno), nonché, uno ad uno, gli
autori-fonti (Sofocle, Aristotele, Platone, Corallo, Tincani, Rossano,
Fabro, Kierkegaard, Ebner, S. Caterina da Siena) e la relativa
letteratura critica consultata.
Un Indice molto dettagliato si colloca nelle ultime pagine del volume
(pp. 387-391).
Il centro concettuale della filosofia ducciana, nell’interpretazione
proposta dalla tesi, è da individuare nei temi platonici
dell’anthropine sophia, dell’homoiosis theo e della methexis, sui quali
l’Autrice innesta una filosofia della philia e dell’eros mutuata
prevalentemente dalle Etiche di Aristotele e una filosofia educativa o
edificante della tragicità della condizione esistenziale umana
riproposta attraverso alcuni testi di Sofocle, in particolare
l’Antigone.
L’editto
di Costantino a cura di Paolo Scaglietti, edizione La Vita Felice,
Milano 2013.
Nel panorama variegato
degli interventi e delle pubblicazioni in occasione dell’anno
costantiniano, vorrei segnalare il piccolo e grazioso volume uscito lo
scorso marzo L’editto di Costantino a cura di Paolo Scaglietti,
edizione La Vita Felice, Milano 2013. Il volume pubblica la traduzione
con testo a fronte dei passi di Lattanzio e Eusebio di Cesarea che
ricostruiscono il testo dell’accordo di Milano fra Costantino
e Licinio (Lattanzio De mortibus persecutorum XLVIII,
2-12; Eusebio Ekklesiastiké Historia X.5.1-14)
e il testo, sempre con la traduzione a fronte, dell’Editto di
Tessalonica (Corpus Theodosianum, XVI.1.2).
L’elemento
più interessante e che impreziosisce il testo mi pare
tuttavia la postfazione di Massimo Maraviglia che, col tratto più del
filosofo della politica che dello storico, affronta la questione se il
cosiddetto editto di Milano sia stato o meno una decisione imperiale
per la libertà religiosa.
Prima
considerazione importante: per noi contemporanei la libertà
religiosa prevede uno Stato neutrale rispetto alle diverse confessioni
e in molti casi uno Stato che “ tollera la presenza al suo interno di
residui religiosi a patto che non disturbino il manovratore” (pag. 55).
Invece la logica in cui fin dagli inizi si muove la religione romana è
quella della sua valenza politica: alla potenza divina, concepita come numen,
consegue un culto ove l’azione magica del rito costringe il dio a
servire la volontà umana.
Nel
permanere di questa concezione Costantino che novità apporta?
L’accordo
stretto a Milano con il pagano Licinio fa emergere una
posizione di libertà religiosa che, alla luce di quello che avviene in
seguito sembra più un momento di passaggio per conciliare il collega
pagano che una nuova prospettiva.
Maraviglia
infatti pone all’attenzione del lettore una
serie di atti di Costantino posteriori al 313, orientati in senso
sempre più cristiano, cioè verso un dio sempre più preciso che
l’imperatore sceglie per sé e il suo impero.
La
svolta di Costantino dunque per l’autore, sta più nell’operazione di
innovare con il monoteismo cristiano i contenuti tradizionali del
rapporto dell’impero con il divino, che nella promozione della libertà
religiosa così come la intendiamo noi moderni.
Ugualmente
la portata delle conseguenze di questa svolta fu notevole.
Con
acutezza Maraviglia rileva che l’operazione costantiniana di
rendere il cristianesimo organico all’impero si scontra con due
elementi di questa nuova religione irriducibili alla prassi politica:
la dimensione individuale, inaccessibile allo stato e la dimensione
escatologica che implica la relativizzazione di ogni regno umano.
Tuttavia
proprio la conseguente assunzione sistematica, anche se non
pacifica, entro l’impero di una religione dell’interiorità e di una
religione escatologic
Sergio
Russo, Quando il mare profuma
d'ambrosia, Roma, Aracne, 2017
Il
mare profuma di ambrosia, il cibo incorruttibile degli immortali. Dal
mare nasce Afrodite, madre di Armonia, sul mare scivola la flotta di
Cadmo, che alla signora di Cipro, mediante sua figlia, lega il proprio
nome, sancendo un patto di rispetto e fedeltà attraverso giuste nozze.
Nascono quattro fanciulle e un bambino. Se glorioso fu il matrimonio di
Cadmo e Armonia, drammatica, al contrario, fu la sorte della prole. Le
figlie di Cadmo sperimentano la potenza del dolore su di loro e sui
loro cari, mentre Polidoro subisce l’ignominia dell’esilio. A
un’esistenza terrena segnata dalla sofferenza, però, corrisponde la
beatitudine dell’apoteosi, guadagnata a caro prezzo. Ino la ottiene
dopo un gesto estremo: lanciandosi da una rupe insieme al piccolo
Melicerte, alla ricerca della morte tra le scogliere. Accolta dalle
Nereidi, Ino diventa Leucotea, la dea bianca invocata dai marinai che
in lei ripongono le speranze del ritorno a casa. Anche Melicerte viene
innalzato alla condizione divina: assunto il nuovo nome di Palemone,
guida gli equipaggi e le imbarcazioni. L’opera ripercorre la storia di
queste divinità vitali nella ritualità greca, italica e orientale.
Essere
e Divenire del “Classico” – Atti del Convegno
Internazionale (Torino-Ivrea 21-22-23 ottobre 2003)- a cura di
U.Cardinale, UTET 2006
Nell’ottobre 2003
si è
svolto un
amplissimo convegno patrocinato dal MIUR e sostenuto dall’Università di
Torino. L’origine era l’incarico affidato dal ministero al liceo
classico Carlo Botta di Ivrea
di istituire un’équipe di docenti e ricercatori con l’obiettivo di
preparare e diffondere materiali didattici nell’ambito delle discipline
umanistiche: un incarico prestigioso, di cui non conosciamo l’uguale in
altri ambiti scolastici: proviamo anzi un certo stupore. Il convegno si
svolse col titolo La classicità come identità plurale
della nuova Europa: il futuro ha un cuore antico?, titolo
modificato nell’edizione degli Atti pubblicati dalla UTET tre anni
dopo, a cura del dirigente scolastico del liceo.
La prima
osservazione,
oltre allo stupore
già detto, riguarda la quantità di personaggi implicati nel Convegno e
negli Atti: sfilano nomi famosi delle
università e di altri ambiti culturali dell’inizio secolo: Severino,
G.B.Conte, Dionigi, Vegetti, Odifreddi, Andreoni Fontecedro, Gianotti,
Pennacini, Ghiselli, Rocca, Pretagostini, Canfora, Bertini, Polacco,
Bertagna, per citarne solo alcuni. Una vera chiamata a raccolta, che
vale comunque la pena di prendere in considerazione, seppur brevemente.
Gli Atti sono
divisi in
sei parti. La
prima, Il mondo classico e i fondamenti dell’identità
europea, vede quattro interventi, di cui tre più propriamente
legati al tema allora di attualità (ora piuttosto decaduto, forse
perché sono decaduti l’idea stessa di Europa e il suo interesse). Il
quarto, un po’ fuori dal coro, è l’intervento di Ivano Dionigi, Classici perché, classici per chi (pagg. 32-38), che
consigliamo come il più valido di tutto il testo.
La seconda parte
riprende nel titolo il
famoso binomio di Snow: Le “due culture”: il conflitto
inesistente. Tutti e sette gli interventi svolgono la tesi già
presente nel titolo, contestando cioè in vario modo il contrasto fra
sapere umanistico e scientifico/tecnico.
Spunti
interessanti
troviamo nella terza
parte, La permanenza del classico:
il mondo grecoromano rivissuto in diverse epoche, fino al
secolo scorso.
Parte quarta:
Attualità
della grammatica e della retorica: un punto particolarmente attuale,
onsiderando il grande sviluppo della scienza della comunicazione, della
retorica e dell’argomentazione.
Con le ultime due parti si entra nel tema della didattica, sia liceale
sia universitaria (La didattica delle lingue e delle culture classiche
e Ricerca, Università, Scuola e progetti di riforma). Alcuni spunti
interessanti sono forniti da interventi riguardanti la cultura classica
in Germania e Spagna e da progetti in atto (ad esempio sulla
traduzione), anche se ormai un po’ datati.
T.
Boatwright,
"Women and gender in the Forum Romanum” in Transactions of the
American
Philological Association 141 (2011) 105-141.
Fino
dagli
anni Settanta la storia dei sessi o la storia di genere, come è
consuetudine dire traducendo dall’inglese la parola gender senz’altro
più eloquente, non era interesse degli accademici e studiosi del mondo
antico.
A partire da quell’epoca invece l’interesse è sorto e si è sviluppato
in particolare con attenzione al problema della costruzione sociale del
genere come base per l’organizzazione politica.
In questo senso sono famosi e universalmente conosciuti gli studi di
Eva Cantarella.
Da una parte la studiosa sviluppa i suoi studi sull’indagine degli
stereotipi che hanno dato origine alla discriminazione fra i due sessi
basata sulla differenza, dall’altra fornisce svariati e fondamentali
elementi sulle conseguenze giuridiche della differenza di genere.
Ultimamente gli studi attorno a questi argomenti hanno avuto
un’ulteriore ripresa, ampliando il campo dell’analisi.
Notevole mi pare il metodo di lavoro di Mary T. Boatwright documentato
dal suo articolo “Women and gender in the Forum Romanum” in Transactions
of the American Philological Association 141
(2011)
105-141. Combinando il metodo di indagine della storia e
dell’archeologia, la studiosa concentra si concentra sull’analisi delle
tracce della presenza delle donne in un luogo storicamente e
spazialmente identificabile, integrando i risultati emersi dall’analisi
archeologica con i giudizi espressi nelle fonti letterarie sulla
presenza delle donne in quello stesso spazio.
Fondamentale per i fini di questa ricerca è la scelta del Foro Romano
quale luogo rappresentativo della identità pubblica e politica del
cittadino romano nonché della gloria e del potere di Roma. In tal senso
quindi luogo peculiarmente tipico dell’attività maschile. Il periodo in
esame è la Roma repubblicana, la Roma Augustea e Giulio-Claudia, infine
il II e III sec. D.C.
L’evidenza che emerge dai dati dell’archeologia ci porta a osservare
una sporadica presenza delle donne in epoca repubblicana e augustea,
sempre peraltro giudicata straordinaria se non trasgressiva dalle fonti
letterarie. Invece è evidente il cambiamento nel secondo e terzo
secolo, quando i dati risultano completamente diversi. Statue e edifici
che onorano figure femminili diventano molto più numerosi e sembrano
legati all’importanza che le figure femminile assumono sia per la
longevità e potenza dell’impero sia per enfatizzare i valori
dell’armonia familiare e coniugale.
Nonostante la difficoltà dell’indagine anche dovuta a una non grande
abbondanza di dati, la ricerca di Mary T. Boatwright amplia il capo
degli studi di genere nel mondo antico nella prospettiva di indagare
non solo il punto di vista degli autori sul rapporto fra donne e vita
pubblica, ma anche la reale presenza delle donne romane in luoghi al di
fuori degli spazi privati e domestici.
(Olivia Merli)
Innocenzo Mazzini, Esopo e Fedro. Le favole più famose,
2017
Pubblicato inizialmente come ebook, il libro è stato poi edito in
cartaceo per Amazon, col sottotitolo Dal passato al presente.
Umanità senza tempo, civiltà, cultura, lingua. Scopo del curatore è
quello di rendere attuali gli autori classici ai lettori odierni: a
questo fine introduce i testi con una breve presentazione del genere
della favola e della storia dei due favolisti e della loro tradizione e
fortuna, mentre accompagna le favole tradotte (26 per Esopo, 33 per
Fedro) con note esplicative in forma di domanda e risposta. A
conclusione troviamo Osservazioni e domande di fine lettura e
una bibliografia piuttosto ampia e aggiornata.
Innocenzo Mazzini, Miti senza tempo dal mondo antico,
2018
Anche questo libro è uscito come ebook e successivamente edito in
cartaceo da Amazon col sottotitolo Racconti dal poeta Ovidio,
scelti, tradotti e spiegati. Il fine del curatore è analogo a quello
visto per la raccolta di favole, rendere presenti testi classici
all’uomo moderno. Il libro ha una breve introduzione sul mito e sul
poeta Ovidio e ampi passi tradotti dalle Metamorfosi, ciascuno
seguito da note esplicative in forma di domanda e risposta. La scelta è
presentata per temi: dopo il capitolo più ampio, che comprende diverse
trasformazioni, altri capitoli più brevi raccolgono episodi simili fra
loro per contenuto e tematiche.Curiosità e domande di fine lettura
concludono l’opera, oltre ad una bibliografia minima. Dello stesso
curatore è uscito nel 2019 Amore e sesso dell’antichità pagana e
cristiana: testimonianze di intellettuali, poeti, medici, asceti, gente
comune, pittori e scultori, tradotte e spiegate con la stessa
metodologia.
Monaci Bizantini, La divina Pedagogia, Poeti di Dio,
esd, Bologna, 2021,pag. 688
Il volume si inserisce nella Collana I Talenti che
presenta testi della Cristianità primitiva occidentale e orientale: è
un'opera molto ampia e densa, raccoglie il testo di numerosi inni usati
nella liturgia ortodossa in occasione di alcune grandi festività
dell'anno liturgico (in particolare del periodo pasquale), con il testo
greco e una traduzione italiana molto accurata. Oltre al grande valore
storico e culturale di questi testi, alcuni opera di anonimi monaci,
altri di autorevoli Padri e grandi scrittori (da Gregorio Nazianzeno a
Giovanni Damasceno per fare dei nomi), il lettore ha la possibilità di
accostare dei veri e propri tesori di poesia, per la massima parte
sconosciuti e finora inaccessibili al pubblico italiano non
specialista. In questo senso il volume costituisce una assoluta novità
per il lettore italiano, ma anche una prima edizione a livello
mondiale, trattandosi di materiale che non ha praticamente circolazione
al di fuori dell’ambito specifico per cui viene usato (la liturgia
greco-ortodossa appunto) Curatore del volume è il Prof. Pietro (Pigi)
Galignani, specialista di liturgia del mondo bizantino e slavo, che in
una ricca introduzione fornisce al lettore tutte le necvessarie
informazioni per districarsi tra i complessi problemi di questo genere
letterario, sulla sua genesi e i suoi sviluppi, sugli autori dei testi.
Inoltre vi sono repertori bibliografici molto ampi per chi desidera
approfondire l'argomento.Si tratta in sostanza di un corpus molto ampio
e articolato, la cui lettura può offrire prospettive inattese anche al
lettore non specialista.
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