"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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Il patrimonio greco, criticamente purificato,
è una parte integrante della fede cristiana
"Il vicendevole avvicinamento interiore, che si è
avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero
greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia
delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci
obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il
cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante
nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in
Europa" (Benedetto XVI)
Il discorso del Santo Padre a Ratisbona (12 settembre 2006) si presta ad alcune riflessioni anche dal punto di vista specifico del nostro lavoro. Proponiamo qui alcuni primi spunti, e ringraziamo quanto vorranno offrire ulteriori contributi su queste parole così chiare e autorevoli che c'interpellano tanto da vicino in quanto docenti o studiosi del mondo classico.
Il discorso è incentrato sulla tematica del rapporto tra ragione e ricerca teologica, svolta attraverso una serie di affermazioni e di esempi che coprono praticamente tutta la storia della filosofia e della scienza occidentale (ma non solo).
Fin
dall'esordio il Santo Padre richiama alla "comune responsabilità per il retto
uso della ragione" che deve diventare "esperienza viva" anche nella quotidianità
del lavoro accademico.
Tutto il discorso richiama poi all'intima coerenza che esiste nella religione
cristiana tra fede e ragione: la sovrapposizione tra l'inizio del Vangelo di
Giovanni ("in inizio era il λόγος") e l'inizio della Genesi ("in principio creò
Dio...") mostra quanto sia totale questa identificazione tra Dio e ragione,
tanto da identificare Dio con la ragione stessa (λόγος
per l'appunto):
"Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio,
la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica
raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi". Dio è ragione e agisce con
la ragione: "non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio". Passando
ad analizzare in modo più approfondito la tesi che "agire contro la ragione sia
in contraddizione con la natura di Dio" il Papa insiste sul fatto come "in questo
punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso
migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia". In questa
coincidenza tra Dio e ragione Benedetto XVI coglie anche una delle più
importanti differenze del Cristianesimo rispetto all'Islam, dove la visione di
Dio è totalmente trascendente, sottraendo così Allah anche alle esigenze della
razionalità. Il Papa insiste con vigore sull'analogia che esiste tra la
razionalità umana e il piano di Dio, cosicché, pur nell'infinita inconoscibilità
del disegno divino, esiste comunque la possibilità di intravedere una coerenza,
almeno analogica, tra il Creatore e la Sua creatura (fatta ad immagine e
somiglianza di Dio secondo le parole della Bibbia): "Dio non diventa più divino
per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed
impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come
logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore".
Nella prospettiva
richiamata da Benedetto XVI, la sintesi tra cultura greca e annuncio
biblico-cristiano diventa una fusione indissolubile per cui l'accoglimento da parte del
Cristianesimo primitivo di quanto di positivo aveva elaborato il pensiero greco
diventa parte integrante e costitutiva del Cristianesimo stesso, tanto che
pensare di eliminare l'elemento di derivazione greca, quasi azzerando due
millenni di elaborazione del
Cristianesimo fino a riportarlo al suo momento originario, comporterebbe una
perdita non leggera. Anche se "nel tardo Medioevo si sono sviluppate nella
teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito
cristiano" (il Papa accenna soprattutto a Duns Scoto e a linee di pensiero che
seguono una impostazione volontaristica oppure accentuano l'aspetto del "credo
quia absurdum", trovando anche analogie tra queste linee interpretative e
linee di pensiero che si colgono in alcuni teologi o mistici dell'Islamismo), la
richiesta della "dis-ellenizzazione" del cristianesimo emerge in modo prepotente
nella ricerca teologica degli ultimi secoli, e ad essa il Papa dedica una parte
rilevante del suo discorso. Nel processo di dis-ellenizzazione il Papa coglie tre momenti: i primi
due sono la Riforma del XVI secolo e la teologia liberale del XIX secolo (Harnack)
sul cui sfondo si intuisce la spinta a identificare "scientificità" con le
certezze derivanti dalla sinergia di scienze matematiche e osservazione
sperimentale della realtà:
questa spinta a "riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna,
liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come
per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio" comporta in
ultima analisi una riduzione e una perdita anche per gli studi teologici,
perché il tentativo di "riportare il cristianesimo in armonia con la ragione
moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e
teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di
Dio" esclude dalla ricerca scientifica una quantità di elementi importanti e
impoverisce lo stesso messaggio cristiano facendone un manifesto umanitario e
moralistico, e soprattutto perché "è l'uomo stesso che con ciò subisce una
riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del
'da dove' e del 'verso dove', gli interrogativi della religione e dell'ethos,
non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla
'scienza' e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo", e, come
ulteriore conclusione, "il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che
cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa
in definitiva l'unica istanza etica". Aggiungiamo incidentalmente che gli
interrogativi "del 'da dove' e del 'verso dove'" sono quelli che più
appassionano l'uomo greco e lo rendono attento nei confronti di sé stesso e del
mondo che lo circonda. Nella parte finale del suo discorso il
Papa insisterà nuovamente sul fatto che "l'occidente, da molto tempo, è
minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua
ragione, e così può subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi
all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il
programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica,
entra nella disputa del tempo presente". A questa conclusione il Papa arriva
richiamandosi anche a un passo del Fedone platonico, in cui Socrate ribatte ad alcune
considerazioni sbagliate del suo interlocutore con queste parole: "Sarebbe ben
comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il
resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo
denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un
grande danno".
Ma di rilevantissimo interesse è anche la riflessione del Papa a proposito del
terzo momento di dis-ellenizzazione, quello attuale, che, vedendo nell'inculturazione
del Cristianesimo nel mondo greco solamente un modello di inculturazione (qualcosa
di contingente e casuale dunque), afferma la necessità di depurare il Cristianesimo dei suoi
tratti ellenistici per permettere ad altre tradizioni culturali di far proprio
il messaggio cristiano. La risposta di Benedetto XVI non lascia spazio a
dubbi: "Il Nuovo Testamento è stato scritto in lingua greca e
porta in sé stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era
maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono
elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere
integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano
il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di
fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua
natura." E in modo altrettanto esplicito il Papa esprime il suo pensiero su questo
tema in un altro punto del discorso: "Il qui accennato vicendevole
avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul
piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo
dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia
universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non
è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo
sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta
storicamente decisiva in Europa". In un altro punto il Papa aveva
anche affermato che la traduzione in greco dei libri ebraici e aramaici
dell'Antico Testamento (la cosiddetta versione dei Settanta) non è semplicemente un "accidente" della tradizione
testuale di questi libri, ma è un momento in cui prende forma l'incontro fra
tradizione biblica e pensiero ellenistico che maturerà e darà frutto nel Nuovo
Testamento: "Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento,
realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare
forse in modo poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una
testimonianza testuale a sé stante e uno specifico importante passo della storia
della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per
la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato
decisivo". Rileviamo incidentalmente che anche da un punto di vista meramente
linguistico il greco della Settanta ha un'importanza decisiva nella formazione
del greco del Nuovo Testamento, il cui richiamo alla Settanta è continuo e
palese: la Settanta diventa dunque un nodo cruciale, un passaggio decisivo in
vista della formazione del greco neotestamentario, in quanto il legame fra
tradizione ebraica e tradizione ellenistica si fa organico, toccando anche le
categorie linguistiche (e quindi il modo stesso di esprimersi e di pensare).
Il discorso del Santo Padre contiene altri numerosissimi spunti che
meriterebbero ampia riflessione: ad esempio vi sono accenni al metodo di
indagine scientifica ("le scienze "interrogandosi sulla ragionevolezza della
fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas
scientiarum ... È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che
invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi
stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.") la cui pregnanza
meriterebbe di essere valutata attentamente da parte di chi opera
quotidianamente nell'università e nella scuola. Tutta la parte Iniziale in cui
afferma che la conversione religiosa non deve essere mai imposta con la violenza
dovrebbe essere letta attentamente, anche alla luce di quanto di positivo in
questo senso ha elaborato il pensiero occidentale moderno e in una prospettiva
di reale ecumenismo. Infine richiamiamo tutta la sezione del discorso in cui il
Papa, fedele agli ideali di rispetto della persona ampiamente elaborati e
radicati nella cultura moderna, insiste con vigore sul fatto che nessuna
conversione religiosa può essere imposta con la forza, traendo lo spunto per
alcune argomentazioni da una rilettura critica di un testo appartenente alla
letteratura bizantina, la VII controversia (in forma di dialogo tra un greco e
un orientale, διάλεξις – controversia) dell'imperatore Manuele II
Paleologo.
Per leggere il discorso nella sua integralità:
http://www.vatican.va/.../regensburg_it.html
per accedere al testo originale in tedesco:
http://www.vatican.va/.../-regensburg_ge.html
Appendice su Manuele II Paleologo
Rechiamo qui qualche
breve riferimento sulla figura di questo imperatore bizantino colto e
appassionato.
Figlio di Giovanni V, nacque nel 1350 e fu associato all'impero dal padre
Giovanni V nel 1379. Succedendogli nel 1391 Manuele II adoperò tutta la sua vita
per salvare i resti dell'impero, limitati ormai a Costantinopoli e alla Morea.
Dopo aver ricevuto notizie della morte di suo padre nel febbraio 1391,
Manuele abbandona la corte ottomana e mette in
sicurezza la capitale contro ogni possibile aspirazione al trono di suo nipote
Giovanni VII. Nel frattempo una crociata anti-ottomana comandata dal Re
ungherese Sigismondo del Lussemburgo era fallita nella battaglia di Nicopoli, il 25
settembre del 1396. I rapporti di Manuele con Giovanni VII migliorarono
progressivamente, mentre il sultano ottomano Bayezid I poneva sotto assedio
Costantinopoli dal 1394 al 1402. Dopo circa cinque anni di assedio, Manuele II
affidò la città a suo nipote e si imbarcò verso un lungo viaggio teso ad
incontrare e sensibilizzare le corti reali occidentali (tra queste il Regno
d'Inghilterra, Francia, il Sacro Romano Impero, e Aragona) per cercare
assistenza militare e logistica contro l'Impero Ottomano.
Dopo la terribile sconfitta inflitta ai Turchi da Tamerlano ad Ankara nel 1402,
Manuele II ottenne la restituzione di Tessalonica e della Morea, riuscendo a
stabilire buoni rapporti coi nuovi sultani. Quando Manuele II fece ritorno a
casa nel 1403, solertemente suo nipote gli consegnò il controllo di
Costantinopoli, e venne ricompensato con il governatorato di Tessalonica, allora
recentemente riconquistata. Manuele II Paleologo utilizzò questo periodo di
breve respiro per migliorare le difese del Despotato di Morea, anche se in quel
periodo l' Impero Bizantino si stava espandendo ai danni dei resti dell'Impero
Latino. A Morea Manuele II diresse la costruzione della muraglia Hexamilion
attraverso l'istmo di Corinto, pensato per difendere il Peloponneso dagli
ottomani.
Ma, finita l'era di Tamerlano, i Turchi ripresero presto l'offensiva. Durante
gli ultimi anni della sua vita, Manuele II trascurò molti dei suoi doveri
ufficiali, delegandoli a suo figlio ed erede Giovanni VIII Paleologo, e nel 1424
i Bizantini furono forzati a firmare un trattato di pace con i turchi ottomani,
in seguito al quale l'Impero Bizantino si impegnava a pagare un tributo al
sultano. Manuele II, dopo aver ceduto il potere al figlio Giovanni VIII nel
1421, si ritirò in un convento, dove morì il 21 luglio 1425.
Manuele II compose un trattato in 157 capitoli sulla Processione dello Spirito
Santo, uno dei problemi fondamentali della teologia dell'Oriente greco, una
Apologia Contro l'Islam, in 26 dialoghi, e inoltre lettere, poemi, trattati di
teologia e retorica oltre ad un epitaffio per il fratello Teodoro I Paleologo.
La Chiesa ortodossa lo annovera tra i santi.
Prime indicazioni bibliografiche.
In rete:
Ampie informazioni su Manuele II (con ricca bibliografia) si possono leggere
nella pagina di Wilhelm Baum, dell'Università di Graz (in inglese):
http://www.roman-emperors.org/manuel2.htm
Qualche passaggio dei suoi scritti (testo greco e traduzione inglese) in
http://www.ellopos.net/elpenor/greek-texts/fathers/manuelpalaeologus.asp
Cartaceo:
Il testo più facilmente accessibile è l'ampia introduzione all'edizione di
Manuel II Paléologue, Entretiens avec un Musulman (VIIe Controversie), Ed. Le Cerf, Paris, 1963 [nella collana "Sources Chrétiennes": è l'edizione a cui si rifà Benedetto XVI citando questo testo].
Di questo libro esiste ora un'ottima traduzione italiana, curata da Federica Artioli (che ha anche provveduto all'aggiornamento della bibliografia e alla eliminazione di alcune incongruenze lasciate nella precedente edizione francese), distribuita dalla esd (Edizioni Studio Domenicano) nell'edizione italiana della collana francese.
Manuele II Paleologo, Dialoghi con un musulmano (VII discussione), esd, Bologna, 2007
Un'utile integrazione e uno strumento per una riflessione sulle problematiche suscitate sia da questo testo sia dal discorso del Santo Padre si possono trovare nel volume della stessa casa editrice (col testo del Papa e contributi di Carlo Caffarra, Angelo Scola e Giuseppe Barzaghi)
Logos. la ragione in Dio. Dialoghi con un musulmano, esd, Bologna, 2007.
Altri
testi:
Manuel II
Palaeologus, Emperor of the East, 1350-1425. The letters of Manuel II
Palaeologus: text, translation, and notes. Washington: Dumbarton Oaks Center
for Byzantine Studies, Trustees for Harvard University; Locust Valley, N.Y.:
distributed by J. J. Augustin, 1977.
In questi libri si troveranno anche le necessarie informazioni sull'accessibilità (in edizioni moderne) degli altri scritti dell'autore. Per leggere molti scritti di Manuele Paleologo si deve ancora ricorrere al vol. 156 della Patrologia Graeca (testo greco con traduzione latina).
Dal punto di vista storico:
J.W. Barker, Manuel II Palaeologus (1391-1425): A study in late Byzantine Statesmanship, Rutgers University Press, 1969.
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