Benedetto XVI
e l'identità dell'Europa
La cultura
dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma
Nota
Sul problema
dell'identità europea Benedetto XVI è più volte intervenuto nei suoi
scritti e nei suoi discorsi, sia prima sia dopo la sua elezione al
Pontificato.
Nel
discorso tenuto al Parlamento tedesco (22 settembre 2011) Benedetto XVI
ha espresso nella forma più sintetica possibile le sue idee
sull'argomento, affermando che l'identità Europea nasce dall'incontro
fra cultura greca, romana ed ebraica: in particolare per ciò che
riguarda il diritto l'incontro tra le idee della filosofia stoica e la
tradizione giuridica romana ha dato vita alla tradizione giuridica
occidentale. Sottesa alla tradizione culturale dell'Occidente e parte
fondamentale di essa è la convinzione dell'idea di un Dio creatore.
(...)
Come si riconosce ciò che è giusto? Nella storia, gli ordinamenti
giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla
base di un riferimento alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è
giusto. Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non
ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un
ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato
alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato
all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però
presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di
Dio. Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento
filosofico e giuridico che si era formato sin dal secolo II a. Cr.
Nella prima metà del secondo secolo precristiano si ebbe un incontro
tra il diritto naturale sociale sviluppato dai filosofi stoici e
autorevoli maestri del diritto romano. In questo contatto è nata la
cultura giuridica occidentale, che è stata ed è tuttora di
un’importanza determinante per la cultura giuridica dell’umanità. Da
questo legame precristiano tra diritto e filosofia parte la via che
porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico
dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Diritti umani e fino alla
nostra Legge Fondamentale tedesca, con cui il nostro popolo, nel 1949,
ha riconosciuto “gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo come
fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel
mondo”. (...)
A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale
dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio
creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea
dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza
dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la
consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire.
Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria
culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe
un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe
della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro
tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di
Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di
Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa.
Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel
riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo,
questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è
nostro compito in questo momento storico.
Al giovane re Salomone, nell’ora dell’assunzione del potere, è stata
concessa una sua richiesta. Che cosa sarebbe se a noi, legislatori di
oggi, venisse concesso di avanzare una richiesta? Che cosa chiederemmo?
Penso che anche oggi, in ultima analisi, non potremmo desiderare altro
che un cuore docile – la capacità di distinguere il bene dal male e di
stabilire così un vero diritto, di servire la giustizia e la pace. Vi
ringrazio per la vostra attenzione.
Per il testo integrale:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20110922_reichstag-berlin_it.html
Per il testo originale in tedesco:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20110922_reichstag-berlin_ge.html
per il video dell'evento (il discorso del Santo Padre comincia al
minuto 41'):
http://player.rv.va/vaticanplayer.asp?language=it&tic=VA_U6I4DMP9
Significativi
anche il discorso di Ratisbona (settembre 2005), la cui estrema
importanza rileviamo in altra pagina del sito (clicca qui), e il discorso tenuto ai Parigi,
al Collège des Bernardins, anch'esso richiamato in altra pagina del
sito (clicca qui). Tra i molti altri interventi in
cui il tema viene più o meno diffusamente trattato, segnaliamo un passo
del recente discorso di Santiago de Compostela, letto dal Papa nel
corso del viaggio apostolico a Santiago de Compostela e Barcellona.
(...) Vengo come
pellegrino in questo Anno Santo Compostelano e porto nel cuore lo
stesso amore a Cristo che spingeva l’Apostolo Paolo a intraprendere i
suoi viaggi, con l’anelito di giungere anche in Spagna (cfr Rm
15,22-29). Desidero unirmi così alla grande schiera di uomini e donne
che, lungo i secoli, sono venuti a Compostela da tutti gli angoli della
Penisola Iberica e d’Europa, e anzi del mondo intero, per mettersi ai
piedi di san Giacomo e lasciarsi trasformare dalla testimonianza della
sua fede. Essi, con le orme dei loro passi e pieni di speranza,
andarono creando una via di cultura, di preghiera, di misericordia e di
conversione, che si è concretizzata in chiese e ospedali, in ostelli,
ponti e monasteri. In questa maniera, la Spagna e l’Europa
svilupparono una fisionomia spirituale marcata in modo indelebile dal
Vangelo.
Provo
una gioia profonda nell’essere di nuovo in Spagna, che ha dato al mondo
una moltitudine di grandi Santi, fondatori e poeti, come Ignazio di
Loyola, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce, Francesco Saverio, fra
tanti altri; Spagna che nel secolo XX ha suscitato nuove istituzioni,
gruppi e comunità di vita cristiana e di azione apostolica e, negli
ultimi decenni, cammina in concordia e unità, in libertà e pace,
guardando al futuro con speranza e responsabilità. Mossa dal suo ricco
patrimonio di valori umani e spirituali, cerca pure di progredire in
mezzo alle difficoltà e offrire la sua solidarietà alla comunità
internazionale.
Questi
apporti e Iniziative della vostra lunga storia, e anche di oggi,
insieme al significato di questi due luoghi della vostra bella
geografia che visiterò in questa occasione, mi spronano ad allargare il
mio pensiero a tutti i popoli di Spagna e d’Europa. Come il Servo di
Dio Giovanni Paolo II, che da Compostela esortò il Vecchio Continente a
dare nuovo vigore alle sue radici cristiane, anch’io vorrei esortare la
Spagna e l’Europa a edificare il loro presente e a progettare il loro
futuro a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che
rispetta questa verità e mai la ferisce, e dalla giustizia per tutti,
Iniziando dai più poveri e derelitti. Una Spagna e un’Europa non solo
preoccupate delle necessità materiali degli uomini, ma anche di quelle
morali e sociali, di quelle spirituali e religiose, perché tutte queste
sono esigenze autentiche dell’unico uomo e solo così si opera in modo
efficace, integro e fecondo per il suo bene. (...)
(per il testo integrale del discorso
clicca qui per la versione italiana,
qui per l'originale spagnolo).
Riproponiamo
inoltre brani di un discorso pronunziato al Senato italiano il 13
maggio 2004, in cui sono affrontate in modo esplicito queste tematiche .
Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani
L'Europa - Cos'è essa
propriamente? Questa domanda è stata sempre nuovamente posta, in
maniera espressa, dal cardinal Józef Glemp in uno dei circoli
linguistici del Sinodo Episcopale sull'Europa: dove comincia, dove
finisce l'Europa? Perché ad esempio la Siberia non appartiene
all'Europa, sebbene essa sia abitata anche da europei, la cui modalità
di pensare e di vivere è inoltre del tutto europea? E dove si perdono i
confini dell'Europa nel sud della comunità di popoli della Russia? Dove
corre il suo confine nell'Atlantico? Quali isole sono Europa, e quali
invece non lo sono, e perché non lo sono? In questi incontri divenne
perfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tutto secondaria è
un concetto geografico: l'Europa non è un continente nettamente
afferrabile in termini geografici, ma è invece un concetto culturale e
storico.
Il sorgere dell'Europa
Questo risulta in modo assai evidente se tentiamo di risalire
alle origini dell'Europa. Chi parla dell'origine dell'Europa, rinvia
solitamente ad Erodoto (ca. 484-425 a. C.), il quale certamente è il
primo a conoscere l'Europa come concetto geografico, e la definisce
così: "i Persiani considerano come cosa di loro proprietà l'Asia e i
popoli barbari che vi abitano, mentre ritengono che l'Europa e il mondo
greco siano un paese a parte". I confini dell'Europa stessa non vengono
addotti, ma è chiaro che terre che oggi sono il nucleo dell'Europa
odierna giacevano completamente al di fuori del campo visivo
dell'antico storico. Di fatto con la formazione degli stati ellenistici
e dell'Impero Romano si era formato un continente che divenne la base
della successiva Europa, ma che esibiva tutt'altri confini: erano le
terre tutt'attorno al Mediterraneo, le quali in virtù dei loro legami
culturali, in virtù dei traffici e dei commerci, in virtù del comune
sistema politico formavano le une insieme alle altre un vero e proprio
continente. Solo l'avanzata trionfale dell'Islam nel VII e all'inizio
dell'VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo
ha per così dire tagliato a metà, cosicché tutto ciò che fino ad allora
era stato un continente si suddivideva adesso oramai in tre continenti:
Asia, Africa, Europa.
In oriente la trasformazione del mondo antico si compì più lentamente
che in occidente: l'Impero Romano con Costantinopoli come punto
centrale resistette laggiù - anche se sempre più spinto ai margini -
fino al XV secolo. Mentre la parte meridionale del Mediterraneo attorno
all'anno 700 è completamente caduta fuori di quello che fino ad allora
era un continente culturale, si verifica nel medesimo tempo una sempre
più forte estensione verso il nord. Il limes, che sino ad allora era
stato un confine continentale, scompare e si apre verso un nuovo spazio
storico, che ora abbraccia la Gallia, la Germania, la Britannia come
terre-nucleo vere e proprie, e si protende in maniera crescente verso
la Scandinavia. In questo processo di spostamento dei confini la
continuità ideale con il precedente continente mediterraneo, misurato
geograficamente in termini differenti, venne garantita da una
costruzione di teologia della storia: in collegamento con il libro di
Daniele, si considerava l'Impero Romano rinnovato e trasformato dalla
fede cristiana come l'ultimo e permanente regno della storia del mondo
in generale, e si definiva perciò la compagine di popoli e di stati che
era in via di formazione come il permanente Sacrum Imperium Romanum.
Questo processo di una nuova identificazione storica e culturale è
stato compiuto in maniera del tutto consapevole sotto il regno di Carlo
Magno, e qui emerge ora nuovamente anche l'antico nome di Europa, in un
significato mutato: questo vocabolo venne ora impiegato addirittura
come definizione del regno di Carlo Magno, ed esprimeva al tempo stesso
la coscienza della continuità e della novità con cui la nuova compagine
di stati si presentava come la forza propriamente carica di futuro.
Carica di futuro proprio perché si concepiva in continuità con la
storia del mondo fino ad allora e ultimamente ancorata in ciò che
permane sempre.
Nell'autocomprensione che andava così formandosi è espressa parimenti
la consapevolezza della definitività, così come al tempo stesso la
consapevolezza di una missione.
È vero che il concetto di Europa è pressoché nuovamente scomparso dopo
la fine del regno carolingio ed è rimasto solamente conservato nel
linguaggio dei dotti; nel linguaggio popolare esso trapassa solamente
all'inizio dell'epoca moderna - certo in connessione con il pericolo
dei Turchi, come modalità di autoidentificazione -, per imporsi in
generale nel XVIII secolo. Indipendentemente da questa storia del
termine, il costituirsi del regno dei Franchi come l'Impero Romano mai
tramontato e ora rinato significa di fatto il passo decisivo verso ciò
che noi oggi intendiamo quando parliamo di Europa.
Certo non possiamo dimenticare che c'è anche una seconda radice
dell'Europa, di un'Europa non occidentale: l'Impero Romano aveva in
effetti, come già detto, resistito a Bisanzio contro le tempeste della
migrazione dei popoli e dell'invasione islamica. Bisanzio intendeva se
stessa come la vera Roma; qui di fatto l'Impero non era mai tramontato,
ragion per cui si continuava ad avanzare una rivendicazione nei
confronti dell'altra metà, quella occidentale, dell'Impero. Anche
questo Impero Romano d'Oriente si è esteso ulteriormente verso il nord,
fin dentro il mondo slavo, e si è creato un proprio mondo,
greco-romano, che si differenzia rispetto all'Europa latina
dell'occidente in virtù di una diversa liturgia, una diversa
costituzione ecclesiastica, una diversa scrittura, e in virtù della
rinuncia al latino come comune lingua insegnata.
Certamente ci sono anche sufficienti elementi unificanti, che possono
fare dei due mondi un unico, comune continente: in primo luogo la
comune eredità della Bibbia e della Chiesa antica, la quale del resto
in entrambi i mondi rinvia aldilà di se stessa verso un'origine che ora
giace al di fuori dell'Europa, e cioè in Palestina; inoltre la stessa
comune idea di Impero, la comune comprensione di fondo della Chiesa e
quindi anche la comunanza delle fondamentali idee del diritto e degli
strumenti giuridici; infine io menzionerei anche il monachesimo, che
nei grandi sommovimenti della storia è rimasto l'essenziale portatore
non solamente della continuità culturale, bensì soprattutto dei
fondamentali valori religiosi e morali, degli orientamenti ultimi
dell'uomo, e in quanto forza pre-politica e sovra-politica divenne
portatore delle sempre nuovamente necessarie rinascite.
Tra le due Europe, pur in mezzo alla comunanza dell'essenziale eredità
ecclesiale, c'è tuttavia ancora una profonda differenza, alla cui
importanza ha accennato specialmente Endre von Ivanka: a Bisanzio
Impero e Chiesa appaiono quasi identificati l'uno con l'altro;
l'imperatore è capo anche della Chiesa. Egli intende se stesso come
rappresentante di Cristo, e in collegamento con la figura di
Melchisedek, che era al tempo stesso re e sacerdote (Gen 14,18), porta
dal VI secolo il titolo ufficiale di "re e sacerdote". Per il fatto che
a partire da Costantino l'imperatore se ne era andato via da Roma,
nell'antica capitale dell'Impero poté svilupparsi la posizione autonoma
del vescovo di Roma come successore di Pietro e pastore supremo della
Chiesa; qui già dall'inizio dell'era costantiniana viene insegnata una
dualità di potestà: imperatore e papa hanno in effetti potestà
separate, nessuno dispone della totalità. Il papa Gelasio I (492-496)
ha formulato la visione dell'Occidente nella sua famosa lettera
all'imperatore Anastasio e ancor più chiaramente nel suo quarto
trattato, dove egli di fronte alla tipologia bizantina di Melchisedek
sottolinea che l'unità delle potestà sta esclusivamente in Cristo:
"questi infatti, a causa della debolezza umana (superbia!), ha separato
per i tempi successivi i due ministeri, affinché nessuno si
insuperbisca" (c. 11). Per le cose della vita eterna gli imperatori
cristiani hanno bisogno dei sacerdoti (pontifices), e questi a loro
volta si attengono, per il corso temporale delle cose, alle
disposizioni imperiali. I sacerdoti devono seguire nelle cose mondane
le leggi dell'imperatore insediato per ordine divino, mentre questi
deve sottomettersi nelle cose divine al sacerdote. Con ciò è introdotta
una separazione e distinzione delle potestà, la quale divenne di
massima importanza per il successivo sviluppo dell'Europa, e che per
così dire ha posto i fondamenti di ciò che è propriamente tipico
dell'Occidente.
Poiché da ambo le parti di contro a tali delimitazioni rimase vivo
sempre l'impulso alla totalità, la brama di porre il proprio potere al
di sopra dell'altro, questo principio di separazione è divenuto anche
la sorgente di infinite sofferenze. Come esso debba essere vissuto
correttamente e concretizzato politicamente e religiosamente rimane un
problema fondamentale anche per l'Europa di oggi e di domani.
(...)
L'universalizzazione
della cultura europea e la sua crisi
(...)
L'Europa, proprio in questa ora del suo massimo successo, sembra
diventata vuota dall'interno, paralizzata in un certo qual senso da una
crisi del suo sistema circolatorio, una crisi che mette a rischio la
sua vita, affidata per così dire a trapianti, che poi però non possono
che eliminare la sua identità. A questo interiore venir meno delle
forze spirituali portanti corrisponde il fatto che anche etnicamente
l'Europa appare sulla via del congedo.
C'è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il
futuro, vengono visti come una minaccia per il presente; essi ci
portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Essi non vengono
sentiti come una speranza, bensì come un limite del presente. Il
confronto con l'Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava
ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quelli
che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso non aveva più alcuna
energia vitale.
(...)
A che punto siamo oggi?
Così ci troviamo davanti alla questione: come devono andare
avanti le cose? Nei violenti sconvolgimenti del nostro tempo c'è
un'identità dell'Europa, che abbia un futuro e per la quale possiamo
impegnarci con tutto noi stessi? Non sono preparato per entrare in una
discussione dettagliata sulla futura Costituzione europea. Vorrei
soltanto brevemente indicare gli elementi morali fondanti, che a mio
avviso non dovrebbero mancare.
(...)
C'è qui un odio di sé dell'Occidente che è strano e che si può
considerare solo come qualcosa di patologico; l'Occidente tenta sì in
maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma
non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto
ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di
percepire ciò che è grande e puro. L'Europa, per sopravvivere, ha
bisogno di una nuova - certamente critica e umile - accettazione di se
stessa, se essa vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che
viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta
soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle
cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti
in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri.
Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro.
Di essa fa parte l'andare incontro con rispetto agli elementi sacri
dell'altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non
è estraneo a noi stessi. Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò
che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli
altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò
che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso - del Dio che
ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani,
dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è
diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà
al dolore dignità e speranza.
Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l'identità dell'Europa,
bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno
diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si
è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo.
Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto
proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi
stessi.
Come andranno le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei
diritti fondamentali può essere un primo passo, un segno che l'Europa
cerca nuovamente in maniera cosciente la sua anima. In questo bisogna
dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da
minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi
come una tale minoranza creativa e contribuire a che l'Europa
riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio
dell'intera umanità.
Il testo integrale può essere letto
nel sito
http://papabenedettoxvitesti.blogspot.com/2009/07/europa-i-suoi-fondamenti-spirituali.html
Le tematiche dell'identità dell'Europa e
del suo rapporto con la tradizione che ne forma la base portante, che
il Papa ha affrontato, come si vede, in molteplici occasioni, hanno un
interesse rilevante per il nostro lavoro e per il nostro studio.
Ricordiamo che il Santo Padre ha scelto come motto le parole Cooperatores
veritatis: è un motto che interpella direttamente anche noi e il
nostro lavoro, perché nella nostra attenzione ai classici e alle radici
dell'Europa non dobbiamo dimenticare che ciò che ci muove è sempre la
ricerca del significato, cioè della verità più profonda
dell'uomo, del suo vivere, del suo agire: alla ricerca di questo
significato ultimo ha dedicato tanta parte delle sue forze interiori,
in modo appassionato e talora persino drammatico, l'umanità pagana, che
pure non era in grado di arrivare da sola fino in fondo alla sua
ricerca, perché non era guidata dalla luce della Rivelazione.
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