"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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L’età augustea di M.Consuelo Cristofori
(da Zetesis, 1988-2)(*) Premessa I termini
imperium e imperator sono
analizzati con cura da A. Valvo in Nuova Secondaria, 6, 1988,
pag. Documento del dissidio Oriente ~ Occidente e del timore per le sorti della stessa Roma è il ben noto Carm. I, 37 di Orazio, nel quale il poeta, pur senza mai nominare Antonio, rievoca i momenti in cui Capitolio / regina dementis ruinas / funus et imperio parabat : e Cleopatra, fatale monstrum, incombeva sulla città.
Augusto stesso affronta nelle
Res gestae, XXXI-XXXV,
questo aspetto della questione:
In consulatu sexto et septimo, postquam bella civilia exstinxeram per
consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea
potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro
merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis
postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam
fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum
populumque Romanum dare virtutis clementiaeque et iustitiae et
pietatis causa testatum est per eius clupei inscriptionem. Post id
tempus auctoritate omnibus praestiti,
potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri, qui mihi quoque in
magistratu conlegae fuerunt.
35. Tertium decimum consulatum cum
gerebam, senatus et equester
ordo populusque Romanus universus appellavit me patrem patriae
idque in vestibulo aedium
mearum inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug. sub quadrigis,
quae mihi ex s. c. positae sunt, censuit. Cum scripsi haec, annum agebam
septuagensumum sextum. D'altro canto, se poniamo mente alle quattro titolature attribuite ad Augusto, notiamo che esse di per sé non comporterebbero particolari poteri. Soffermiamoci in breve su questo aspetto. Caesar evidentemente indica la parentela, l'eredità ideale e politica che Ottaviano vuole raccogliere e far fruttare: se osserviamo come questo e gli altri titoli vengono accolti ed usati nella parte greco-orientale dell'impero, notiamo che Caesar viene semplicemente translitterato (Καῖσαρ); Imperator risulta già più impegnativo: è il titolo di lode del "generale vincitore", ma non comporta un imperium maius, né infinitum. Essendo però assegnato a vita, contrariamente alla prassi comune, è comprensibile che in Oriente sia reso con αὐτοκράτωρ, termine che in fondo descrive la realtà dei fatti in modo molto più realistico ("colui che si dà il potere da sé", "autocrate“). Princeps è per Roma colui che in senato ha il diritto di pronunciarsi per primo, o viceversa per ultimo: non implica una speciale prerogativa, ma non si può negare che tale attribuzione finisca col paralizzare, nell'uno o nell'altro caso, la facoltà dei senatori di pronunciare liberamente il loro parere. La lingua greca non fornisce molte possibilità a questo proposito, così che il termine è reso semplicemente con ἡγεμών. Augustus presenta, nella sua novità, aspetti particolarmente interessanti. Usato in principio solo nel linguaggio religioso, connesso con l'auctoritas, il riconoscimento della quale dava al cittadino romano la superiorità morale sul resto della popolazione, viene assunto da Ottaviano in due sensi, attivo e passivo. E' sinonimo di Fortunatus, il favorito dalla sorte, "colui che è stato accresciuto", e ricorda il soprannome di Felix attribuito a Silla. Nel mondo greco è proprio questa sottolineatura a prevalere: Augusto diventa il "Venerabile", Σεβαστός. D'altra parte, non si può trascurare ciò che l'auctoritas implica per i Romani: Augusto si serve abilmente di essa, specificando che, se egli praestat auctoritate omnibus, ciò avviene solo perché la sua autorevolezza si nutre di virtus, clementia, iustitia, pietas. L'antico ideale nobiliare di Catone si fonde con la clementia Caesaris e con lo stoicismo romano, che sarà anche di Tiberio: il princeps deve rappresentare un exemplum, la sua non è una posizione di privilegio ma un "posto di guardia" (la statio principis) fondato sulla constantia e sulla fortitudo. A me pare quindi si possa a ragione affermare che Augusto rivoluzionò tutto, senza cambiare nulla; ciò che probabilmente fu più alieno al mos maiorum (noi diremmo anticostituzionale) fu l'iterazione delle cariche, attribuite più volte e per parecchi anni, fatto che si era verificato già, ad es., con Mario e Cesare, collegato peraltro alla crisi stessa della repubblica. Tuttavia, poiché la mia affermazione può sembrare quantomeno gattopardesca, desidero riportare quanto Tacito afferma a proposito di Augusto e del suo dominio (Annales, I, 2; 3, 6-7; 4, l): 2.l. Postquam Bruto et Cassio caesis nulla iam publica arma, ... nisi Caesar dux reliquus, posito triumviri nomine consulem se ferens et ad tuendam plebem tribunicio iure contentum, ubi militem donis, populum annona, cunctos dulcedine otii pellexit, insurgere paulatim, munia senatus magistratuum legum in se trahere, nullo adversante, ... 3.7. Domi res tranquillae, eadem magistratuum vocabula; iuniores post Actiacam victoriam, etiam senes plerique inter bella civium nati: quotus quisque reliquus, qui rem publicam vidisset? 2. Non è facile far comprendere a dei ragazzi di seconda superiore le ragioni (o le giustificazioni) della nascita di un impero, specie in un'epoca come il nostro secolo che ha assistito alla fine degli imperi del passato e alla nascita di nuove dominazioni, diverse e a volte poco "visibili", ma non meno violente delle precedenti; tuttavia è necessario compiere questo sforzo, se vogliamo dare ragione, a noi e a loro, delle origini del mondo europeo e di quanto ne è poi seguito. A questo proposito, mi pare che il testo più indicato per offrire chiarimenti e strumenti di lavoro resti ancora l'Eneide di Virgilio, affiancata se mai da altre fonti. Rileggiamo quindi Verg. Aen. VI, 788/807; 847/853:
Huc geminas nunc
flecte acies: hanc aspice gentem
Romanosque tuos. Hic Caesar et omnis Iuli
progenies, magnum caeli ventura sub axem.
Hic vir, hic est,
tibi quem promitti saepius audis,
Augustus
Caesar, Divi genus, aurea condet saecula
qui rursus Latio, regnata per arva Saturno
quondam, super et Garamantas et Indos proferet
imperium: iacet extra sidera tellus, extra
anni solisque vias ubi caelifer Atlas axem
umero torquet stellis ardentibus aptum... Excudent
alii spirantia mollius aera, credo
equidem, vivos ducent de marmore voltus, orabunt
causas melius caelique meatus
describent radio et surgentia sidera dicent: tu regere
imperio populos, Romane, memento. Hae tibi
erunt artes, pacisque inponere morem, parcere subiectis et debellare superbos. Non si tratta, a mio parere, di una semplice esaltazione di Augusto e della sua politica, esaltazione che potrebbe così ridursi a captatio benevolentiae o a lode dell'imperialismo romano; senza voler ridire cose peraltro già note ai più, mi pare che i versi riportati vadano ben oltre. Augusto, per bocca di Anchise, diventa il vir atteso da lunghissimo tempo per regnare non solo sull'Italia, ma sul mondo allora conosciuto. Le parti omesse contengono infatti la determinazione, in chiave mitologica oltre che geografica, dei territori dominati da Roma, comprese "le bocche del settemplice Nilo" che tanto spavento avevano arrecato; anzi il dominio di Roma andrà extra sidera, al di là delle stelle e di Atlante. Augusto sembra persino superiore agli dèi: di stirpe divina come Cesare, regnerà su un territorio più vasto di quello percorso da Eracle e Dioniso. Con lui ritorneranno nel Lazio gli aurea saecla e il mos pacis. L'imperium di Augusto non è solo politico, ma anche sacrale, e così la pax Augusti: non si tratta solamente di mancanza di guerre, bensì di un "patto", degli uomini con gli dei e degli uomini tra loro. Questo passo virgiliano dà alla
pax Augusti una connotazione,
se così si può dire, messianica. Tale aggettivo potrebbe sembrare
improprio, se non avessimo prove del clima di speranza e di attesa
creatosi in molti luoghi negli anni a cavallo tra il I sec. a.C. e il I
d.C.: se dell'Occidente razionale ed ostile alle confusioni tra il
divino e l'umano (si pensi a Tiberio che non vuole essere chiamato
divus) sono i passi ccitati
di Virgilio, all'Oriente ellenistico corrispondono esplicite
affermazioni di attese messicaniche. Riporto come esempio il decreto del
Koinòn delle città greche
d'Asia, con il quale, nel
I Greci dell'Asia deliberarono, su proposta del sacerdote Apollonio, figlio di Menofilo, di Aezani (città frigia): poiché la provvidenza, che ordinò ogni cosa nella nostra vita, dimostrando sollecitudine e premura attuò ciò che è la perfezione della vita, in quanto ci ha portato Augusto, che essa ricolmò di virtù a beneficio degli uomini, quasi avendo mandato, per noi e per i nostri posteri, il Salvatore che farà cessare ogni guerra e che tutto ordinerà; e poiché Cesare con la sua epifania soddisfece le speranze di quanti con la mente anticipano le buone novelle. avendo egli non solo superato i benefattori che furono prima di lui, ma non avendo neppure lasciato ai futuri la speranza di superarlo; e poiché il giorno natale del dio costituì per il mondo la prima delle buone novelle annunciate per lui (Augusto)… (CIL III, 12240; 13651; 14159 = Dittenberger, Syll., 458, II, pag. 30). (clicca qui per un approfondimento)
Augusto, come più tardi Tiberio, non doveva apprezzare molto questo genere di elogio, ma lo accettò perché costituiva lo scotto per essere riconosciuto legittimo successore dei re ellenistici, il "Venerabile" di cui già si è detto. Il contenuto più preciso di quale sia il dovere di Augusto e dei Romani tutti ci è dato da Virgilio in Aen. VI, 851-853: si tratta dell' imperium, non delle arti belle in cui altri popoli eccelleranno, del saper imporre un mos e una pax mediante le leggi o le armi, non delle scienze o della letteratura, lasciate di buon grado ad alii. Il passo virgiliano ci permette il collegamento con il punto seguente, riguardo al quale propongo alcuni spunti di lavoro. Penso valga la pena di soffermarsi su questo argomento, accennando a qualcuna fra le diverse provincie, a titolo d'esempio. Diverso il caso della Gallia. Augusto si occupa personalmente di essa, soggiornandovi a lungo, almeno tre anni. Essendo la base di partenza per le spedizioni contro i Germani, deve sviluppare economia, vie di comunicazione, commerci all'interno e all'estero. Ricca e vicina all'Italia, assume la civilizzazione romana, ma non a tutti i livelli: le divinità celtiche continuano ad essere adorate molto a lungo, anche se con nomi romani, ed in seguito le città manterranno il nome delle etnie che vi abitavano. Qualche esempio: Parigi deriva da Lutetia Parisiorum, Sens da Agedincum Senonum, Saintes da Mediolanum Santonum, Lisieux da Noviomagus Lexoviorum. L'Egitto diventa provincia nel In connessione col riordinamento delle province,
Augusto compie anche la riorganizzazione dell'esercito. Una delle
maggiori innovazioni del principe consiste proprio nel fatto che egli lo
rende stanziale, limitando la sua presenza alle regioni non ancora
pacificate. Augusto non intende conquistare nuovi territori, ma
preferisce fare opera di consolidamento, specie dopo aver sperimentato
quale mole di mezzi e di uomini occorrerebbe per assoggettare paesi
come, ad es., Poiché i fondi dell'aerarium exercitus non sono sufficienti per "liquidare" i congedati, si concedono ai 100.000 veterani non denaro, ma terre acquistate, od espropriate, anche fuori dall'Italia, dove ormai non ce ne sono quasi più a disposizione. E' il caso notissimo di Virgilio, che si vede
espropriare, ad onta delle sue "raccomandazioni", il campicello avito.
Nelle provincie si stanziano colonie militari, di legionari, cioè di
cives Romani, soprattutto di
Italici, e soprattutto nel
periodo augusteo. Essi tendono a raggrupparsi insieme, nei
conventus civium Romanorum,
cui in seguito si dà il titolo di
municipium o di colonia.
In un periodo più tardo, si assiste alla nascita delle cosiddette
canabae, baraccamenti posti
all'esterno dei castra, dove
vivono mercanti, donne, figli, e dove i legionari si fermano al momento
del congedo, poiché la scarsità di terre e di denaro non consente più il
ritorno al paese d'origine. Spesso le
canabae acquisiscono lo
status di colonie e di municipi, e si sviluppa così, a livello europeo,
la vita cittadina, basata sui
mores Romani: si tratta, in parecchi casi, di isole romane agli
estremi confini dell'impero. Hanno questa origine Moguntiacum (Magonza),
Lambaesis (Lambèse, in Numidia), Carnuntum (Petronell, sul Danubio).
Città la cui fondazione è dovuta ad Augusto sono poi Augusta Treverorum
(Trier o Trèves, Treviri), Augusta Taurinorum (Torino), Augusta
Praetoria (Aosta), Augusta Vindelicorum (Augsburg); rafforzata da lui,
ma fondata da Munazio Planco nel
4. La pax
Augusta, come si è potuto concludere dalle sommarie osservazioni fin
qui svolte, favorisce e promuove la diffusione della romanità in gran
parte dell'ecumene, tanto a livello linguistico - culturale, quanto
politico - giuridico, per non dire poi dell'aspetto economico e
commerciale. Viene però spontaneo chiedersi se l'espansione del periodo
augusteo sorga inopinatamente nella storia, o se vi siano precedenti,
anche lontani. Che i Romani avessero coscienza della loro capacità di
espansione, peraltro dovuta alla forza delle armi, ci risulta con
sufficiente chiarezza già per quanto riguarda il periodo repubblicano.
Ho scelto in proposito alcune fonti greche, dalle quali emergono non
solo la percezione di sé che i Romani avevano, ma anche il giudizio che
di essi davano gli altri popoli, in questo caso i Greci. Polibio, III, Tiberio
lottava per un'idea bella e giusta, con un'eloquenza che avrebbe
adornato anche una causa abbietta; ed era formidabile, invincibile, ogni
volta che, salito sulla tribuna, col popolo affollato intorno a sé,
cominciava a parlare per i poveri. “Le fiere che abitano l'Italia, -
soleva dire - hanno ciascuna una tana, un covile in cui riposare; coloro
che per l'Italia combattono e muoiono, non hanno che l'aria, la luce, e
nient'altro. Senza casa, senza fissa dimora, vagano con la moglie e i
figli; i comandanti li ingannano, questi soldati, quando nelle battaglie
li esortano a difendere dagli assalti del nemico il proprio focolare, e
la tomba degli avi, poiché nessuno di questi Romani, e sono moltissimi,
ha il suo altare familiare, nessuno ha un sepolcro avito; ma combattono
e muoiono per difendere l'altrui ricchezza, il lusso altrui, e vengono
chiamati padroni del mondo, mentre non hanno una sola zolla di terra che
sia loro". E' ben vero che dai passi citati si potrebbe arguire
anche soltanto una vocazione al potere di tipo imperialistico; però,
senza addentrarmi in una problematica troppo vasta per questa sede, mi
pare si possa comunque evincere dalle fonti la coscienza che Roma, in un
modo o nell'altro, deve estendere la sua influenza al di fuori
dell'Italia. Essa non è più una
polis, ma una potenza internazionale, anche se ciò comporta a sua
volta nuovi problemi. Sappiamo, per esempio, che non tutto il senato
romano approva una così vasta espansione all'estero: Catone deve
faticare non poco per convincere i colleghi a distruggere Cartagine, e
muore prima che la sua proposta venga approvata e portata a termine. La
conquista di terre su larga scala importa in effetti problemi pratici di
governo non da poco (si “inventano” infatti le province e le pro
magistrature) e altrettanto gravi problemi di tipo culturale e ideale.
Quali rapporti intrattenere con civiltà diversissime da Roma? Mantenere
le distanze o lasciarsene "contagiare"? Polibio, VI, ci viene in
soccorso con la sua netta affermazione:
Fra tutti i popoli, i Romani
assimilano di più ciò che serve loro di altrui. In seguito,
Sallustio, De con. Cat., 51,
37, farà dire a Cesare nel suo discorso in senato:
Maiores nostri, Patres
conscripti, neque consilii neque audaciae numquam eguere; neque illis
superbia obstabat, quo minus aliena instituta, si modo proba erant,
imitarentur.
Il criterio del probum, dunque, guida la scelta dei Romani: ciò che è probum può non solo essere approvato, ma anche entrare a far parte delle istituzioni romane. Roma è sufficientemente forte per accogliere dai popoli stranieri quanto possa esserle utile, e, del pari, per accogliere essa stessa singole persone, popoli e magistrature. Il mos maiorum, per Cesare, è sempre stato quello di superare i fattori etnici attraverso l'idea politica sovranazionale della civitas. Tuttavia l'applicazione del probum come criterio non è affatto pacifica: mos maiorum vuol dire anche conservare gelosamente tutto ciò che è romano, mantenersi scrupolosamente nella traditio. Per Roma, come per i Greci, tutto ciò che è novum contiene una connotazione di pericolosità politica e sociale. Mi pare fondamentale ricordare che, in latino, innovare significa primariamente "sovvertire l'ordine stabile", mentre res novas moliri, "macchinare cose nuove", ha valore di "fare la rivoluzione", e in un senso non certo positivo. Esiste quindi, già solo a livello linguistico, una dialettica molto forte tra probum e novum, che si esplica, nella prassi politica, nella concessione, o no, della civitas romana. Penso valga la pena di proporre qualche esempio. Cesare, come accennato più sopra, intendeva forse pareggiare le provincie all'Italia, e in ogni caso concesse spesso la cittadinanza virtutis causa, seguendo le orme di Caio Mario, che aveva già proceduto in tal modo nei confronti di intere legioni di alleati italici, oppure singolarmente (viritim). Dopo la conquista della Gallia e il trionfo su di essa, Cesare pensò probabilmente di integrarne a Roma i nobili più ricchi e più colti, mediante la civitas prima e l'adlectio in senato poi. Si trattava di Narbonesi, membri da tempo della Provincia, ma essi non furono ugualmente ben visti ai romani, e a maggior ragione preoccupavano i Transalpini. Svetonio ci narra questo fatto, riportando schiettamente i commenti dei concittadini per niente propensi a considerare "dei loro" gli antichi nemici: Vita Caesaris, I, 80: Peregrinis in senatum allectis, libellus propositus est. - Bonum factum: ne quis senatori novo curiam monstrare velit - ; et illa vulgo canebatur: - Gallos Caesar in triumphum ducit, idem in curiam. / Galli bracas deposuerunt, latum clavum sumpserunt. Più sopra, aveva già detto senza mezzi termini (Vita Caes. I, 76): (Caesar) civitate donatos et quosdam e semibarbaris Gallorum recepit in Curiam.. Né il trionfo gallico né l'uccisione di Vercingetorige bastarono a placare gli animi (si può ricordare a questo proposito de bello Gallico VII, 89), sicché è comprensibile l'avarizia di Augusto nel concedere la civitas, così come ci risulta giustificata la valorizzazione dell'Italia rispetto alle province e all'Oriente nemico.
Se la dialettica
probum/novum si attenua sotto
l'impero di Augusto, anche perché “non vi è nessuno che si opponga",
almeno direttamente e con grande forza, come afferma Tacito, essa
riemerge più oltre, con l'imperatore Claudio. Quest'ultimo aveva
proposto, mediante i consoli di quell'anno, il Claudio dunque (CIL., XIII, 1648 =
Dessau,
ILS., II, 212, pag. 52-53) inserisce la sua proposta di dignità
senatoriale nel più ampio contesto della storia di Roma, dalle origini
fino al suo tempo. Anche se il suo stile oratorio non è particolarmente
elevato, la sua conoscenza e la sua intelligenza storica non sono da
poco. A suo avviso, infatti, Roma non ha mai smesso, fin dai suoi primi
passi, di assimilare dai popoli con i quali è stata in contatto tutto
ciò che essi potevano avere di positivo; egli chiede di riflettere a
quam multa in hac civitate novata
sint. Da Romolo, cui successe Numa, un Sabino,
vicinus quidem, sed tunc
externus, Claudio passa a ricordare l'innovazione della
translatio dalla monarchia
alla repubblica, la creazione ed eventualmente la deposizione di cariche
come il consolato, la dittatura, il decemvirato. Anche il divo Augusto e
Tiberio Cesare vollero inserire in Curia
florem ubique coloniarum ac
municipiorum, bonorum scilicet virorum et locupletium, servendosi
così di un nuovo more. Quanto
alla Gallia in particolare, Claudio ricorda i personaggi che da essa
sono già pervenuti da tempo, i legami che lui stesso e il padre Druso
ebbero con la sua popolazione, e la fedeltà che La rielaborazione di Tacito conferma in modo
sostanziale il testo epigrafico: anche per lui molte fra le nobili
famiglie di Roma hanno origine da altri gruppi etnici, e tuttavia questo
fatto non ha danneggiato la città, anzi l'ha resa più forte e sicura.
Tacito ricorda che furono chiamati in senato uomini da tutta Italia,
dall'Etruria, dalla Lucania, dalla zona subalpina, così che
non modo singuli viritim, sed
terrae, gentes in nomen nostrum coalescerent. Con la concessione
della civitas ai Transpadani,
poi, cum specie deductarum per
orbem terrae legionum additis provincialium validissimis fesso imperio subventum est. Non nasconde motivi venali insieme a quelli ideali e politici: Iam moribus artibus adfinitatibus nostris mixti (Galli) aurum et opes suas inferant potius quam separati habeant. La sua conclusione chiarisce in modo rapido e preciso il pensiero storico - politico dell'imperatore:
Inveterascet hoc quoque, et
quod hodie exemplis tuemur, inter exempla erit. Ciò che ora è vigente, è stato anch'esso
novum exemplum per essere poi
superato: purchè le istituzioni e le persone siano
proba, la
traditio significa
innovare. Roma non conosce
quindi l'immobilismo e la chiusura: nessun popolo per principio è
escluso dall'assumere il nomen
Romanum, dall'entrare in questa comunità giuridico - sacrale. La
potenza di Roma è proprio fondata su questa consapevolezza, che permette
di stringere "foedera" e "fida
pax" anche con i vecchi nemici, cosa che non fecero Spartani ed
Ateniesi, segnando in tal modo il proprio destino di decadenza:
Quid aliud exitio Lacedaemoniis
et Atheniensibus fuit, quamquam armis pollerent, nisi victos quod pro
alienigenis arcebant?
BIBLIOGRAFIA A.H.M JONES, Augusto, Laterza 1974. M.A.LEVI, Augusto e il suo tempo, Rusconi 1985 L CANALI, Potere e consenso nella Roma di Augusto, Laterza 1975. A.VALVO, Imperium, “Nuova Secondaria", 6, 1988, pag. 70. R PARIBENI, L'età di Cesare e di Augusto, Cappelli 1950. R.SYME, La rivoluzione romana, Einaudi 1974 E.MANNI, Roma É l'Italia nel Mediterraneo antico, Torino 1973. A.PASSERINI, Linee di štoria romana in età imperiale, Milano 1972. V.ARANGIO-RUIZ, Storia del diritto romano, E.Jovene, Napoli 1977 LIBRI DI TESTO ESAMINATI C.A GIANNELLI, Storia critica del mondo antico, ed. Bulgarini F.CASSOLA-C.RUGGINI, Storia antica delle grandi
civiltà, ed.
A.BRANCATI, I popoli antichi, ed.
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