"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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LA RELIGIONE DI EURIPIDE (da Zetesis, II, 1, giugno 1982) L'epiteto di filosofo della scena, che gli antichi attribuiscono a Euripide (1), ha una sua ragion d'essere: in Eschilo e in Sofocle lo svolgimento di una problematica è attuato con mezzi puramente poetici e teatrali, in Euripide l'intervento diretto del poeta sulla scena, per bocca dei suoi personaggi o, talora, sovrapponendosi addirittura ad essi, è frequente e dà in molti punti 1'impressione di un procedere declamatorio estraneo a un'opera di teatro. Profondamente partecipe alla crisi morale e politica cui al suo tempo versa la polis come istituzione, incapace di trovar conforto in molti dei valori è degli ideali che formavano un patrimonio trasmesso da una tradizione culturale sviluppatasi attraverso secoli e sottoposto alla critica demolitrice della sofistica, Euripide mostra nei suoi drammi, sia per il contenuto, sia per il taglio con cui sceglie, affronta e sviluppa la materia, forti elementi di novità, tali da proiettare la sua figura verso il modo di pensare dell'Ellenismo più di quanto la facciano sentire legata al mondo della polis. Tanto la sua figura di poeta doctus, che trae dalla lettura e dallo studio approfondito della letteratura lo punto per i suoi drammi, quanto il suo modo di affrontare la materia poetica, l'uso del mito, l'introspezione psicologica accurata, il rinnovamento del linguaggio in senso “borghese” sono tutti elementi che i poeti ellenistici assumeranno da Euripide, fino a sentirlo come il vero iniziatore e maestro della loro arte. In questo atteggiamento decisamente novatore anche il modo in cui Euripide affronta il tema religioso non può che presentare importanti novità rispetto alle conclusioni a cui Eschilo era giunto o a cui il suo contemporaneo Sofocle, attraverso un cammino spirituale ricco di tormento e sofferenza, stava giungendo. Difficilmente si potrebbe negare che al fondo della concezione religiosa di Euripide vi sia un'ansia profonda di ritrovare una divinità più morale di quella che la cultura greca aveva immaginato fino allora e che la sua critica alla religiosità tradizionale sia mossa da un desiderio inappagato di far luce sul1'enigma della vita. Eppure, quando ci si accosta al teatro di Euripide nel tentativo di individuarne le istanze più profonde, non si può fare a meno di provare un vago senso di disagio. Imbevuto di filosofia eraclitea, e non soltanto eraclitea, legato agli ambienti della sofistica e probabilmente vicino a Socrate (2), tanto da citarlo in un frammento (3),e da meritarne sincera ammirazione ed elogi, Euripide riprende con forti accentuazioni polemiche la critica all'antropomorfismo tradizionale, che era stata già iniziata con Senofane, e giunge a conclusioni che sono definite spesso razionalistiche e illuministiche. L'aspetto razionalistico del pensiero euripideo è il più usuale criterio di lettura con cui sia gli antichi sia i moderni affrontano le tragedie dell'ultimo grande tragediografo. Wilhelm Nestle, nel suo libro Euripides, der Dichter der griechischen Aufkärung, ha dato di questa interpretazione la sistemazione più coerente e completa: si tenta di vedere quasi in ogni passo del poeta l'influsso di dottrine eraclitee e sofistiche e si considera Euripide alla stregua di un filosofo che, forte di una dottrina profonda e di un sistema coerente di pensiero, si avvicina alle conclusioni a cui in epoca moderna pervenne 1'Illuminismo. All’estremità opposta troviamo il volume del Masqueray, Euripide et ses idées, scritto agli inizi del ventesimo secolo, in cui si tenta di dimostrare che Euripide, non avendo idee precostituite su nessun argomento, è l'uomo delle contraddizioni, e la contraddizione è l'essenza stessa del suo genio. Tra queste due tesi contrastanti è forse possibile trovare una terza strada, che, senza esaltare eccessivamente un sostrato ideologico, peraltro esposto ad incertezze, dell'autore, permette di vedere lo sforzo di ricerca e la tensione con cui egli giunge a conclusioni spesso pessimistiche e disperate. Atteggiamenti diversi e contraddittori fra una tragedia e l'altra sono innegabili: è il contraddirsi del1'uomo che, privo di una verità a cui aggrapparsi, cerca disperatamente con lo sforzo della ragione e con la disponibilità del suo animo una conclusione che ogni volta si rivela limitata e non appagante. Nella nota che segue tenteremo di rilevare in pochi spunti questo lavorio di ricerca che Euripide ci fa conoscere. Escluderemo deliberatamente qualsiasi accenno alle Baccanti, attorno alle quali sono state proposte ipotesi diverse e nettamente contrastanti e tali da aprire, per la differenza di atteggiamento rispetto a tutte le altre tragedie euripidee, una serie di interrogativi a cui é impossibile dare una risposta precisa in poco spazio. Con Euripide penetra per la prima volta nel teatro tragico critica alle divinità olimpiche, già intrapresa molto prima dagli autori della scuola ionica e poi riaffermatasi nella Sofistica. La polemica contro l'antropomorfismo religioso e, secondariamente, contro gli aedi che di questa brutale riduzione della divinità sono stati gli artefici e iniziatori, si trova più volte in quasi tutte le tragedie (4). L'egoismo, la malvagità, il modo capriccioso con cui trattano gli uomini, l'abbandonarsi al furto, all'adulterio e ad ogni genere di azioni inaccettabili tra gli uomini, la pretesa di sacrifici anche umani, sono tutti elementi contro cui si appuntano le critiche euripidee. Il limite estremo di questo atteggiamento si può trovare nell'Eracle, una tragedia che non lascia il minimo spazio ad una concezione positiva della divinità. L'accanimento con cui Era, preda della gelosia, colpisce il più popolare eroe greco e lo conduce ad azioni inconcepibili, come l'uccisione della moglie e dei figlioletti, sono tali da rendere sgomento persino Lyssa, il demone della follia, a cui Era ha affidato 1'incarico di accecare Eracle: “Perché far del male a un mortale così buono, che non ha mai fatto mancare nulla a noi, che ha reso servigi agli dèi, che ha restaurato il nostro culto quando era distrutto dagli uomini empi?” (5). E Anfitrione, in balìa del tiranno Lico, può affermare con grande vanto la superiorità dell'uomo morale rispetto al dio : “O Zeus, vanamente io ti ho avuto come compagno di matrimonio e vanamente noi ti chiamiamo comune padre del figlio. Tu eri un amico inferiore rispetto a quanto sembravi. Io, che sono un mortale, ti vinco per virtù, nonostante che tu sia un grande dio: io infatti non ho tradito i figli di Eracle: tu invece sei stato capace di giungere a un congiungimento nascosto e ti sei preso la moglie di altri senza che alcuno te la desse, ma non sei capace di salvare gli amici. Tu sei un dio sciocco oppure non sei giusto” (6). La parte finale della tragedia, quando Eracle si è reso conto del male fatto e ha cercato conforto presso Teseo, é costituita da un lungo dialogo in cui il poeta, per bocca di Eracle, ribatte con forza ad alcune delle rappresentazioni tradizionali della divinità. Teseo, riprendendo 1'immagine degli dèi che gli aedi avevano data, cerca di consolare 1'eroe convincendolo del1'esistenza di una forza superiore che accomuna in un unico soffrire gli uomini agli dei e rende necessario affrontare la vita con rassegnazione: anche gli dèi si son resi colpevoli di molti mali e hanno subito questa loro condizione; a maggior ragione deve farlo un mortale, di tanto inferiore a un dio. Le parole con cui Eracle ribatte non lasciano dubbio: “Ahimé, questo non ha attinenza con le mie disgrazie: io non credo che gli dèi abbiano mai avuto amori non giusti e non ho pensato né mai mi convincerò che mettano mano a catene né alcun dio sia diventato signore di un altro. Infatti Zeus, se veramente é un dio, non ha bisogno di nulla: questi sono infelici discorsi degli aedi.” (7). Vediamo cosi affermata una notazione positivistica: la assoluta perfezione del dio, che deve avere come conseguenza 1'estraniarsi della divinità dalle vicende del mondo: una sua partecipazione ad esse costituirebbe una contaminazione inaccettabile di ciò che è per definizione beato. Nell'Ifigenia Taurica la protagonista rifiuta di credere veri i banchetti divini di Tantalo, e che si siano cibati di un bimbo: “Io credo che le persone di quaggiù, che sono, loro sì, capaci di uccidere gli uomini, riferiscano agli dèi la loro pochezza; io penso che nessun dio sia cattivo” (8). “Se gli dèi compiono iniquità, vuol dire che non sono dèi” leggiamo in un frammento dei Bellerofonte (9). Ed è in versi come questi che si può misurare la differenza tra la concezione religiosa di Euripide e quella di Sofocle. Quello che gli dèi vogliono, secondo Sofocle, non può essere male: credere che gli dèi possano volere il male sull'uomo, e la conseguente ritrosia ad accettarne le volontà, che conduce alla perdizione il protagonista dell'Edipo re, così come è piena accettazione della volontà degli dei a riscattarlo nell'Edipo a Colono. Indubbiamente la volontà degli dèi può apparire difficile da accettare, misteriosa (Aiace, Trachinie); ma è la disponibilità ad accoglierne liberamente il volere che può indicare all'uomo la via per capire se stesso e di conseguenza realizzarsi pienamente. Ciò che gli dèi fanno è di per sé buono: l’uomo religioso greco deve accettare il volere degli dèi con la stessa umiltà con cui Abramo accetta di sacrificare anche suo figlio, se questo vuole Dio da lui. Ma di fronte a questa prospettiva Euripide si ribella. La concezione razionalistica presume una perfezione anche etica da parte della divinità. Di fronte al pasto di Tantalo l'animo religioso di Pindaro aveva espresso il suo stupore e manifestato il silenzio di chi non vuol proferire nessuna parola che possa essere empia (10); Euripide manifesta il suo rifiuto. La critica contro il modo di agire degli dèi é particolarmente forte nell'Ifigenia in Tauride e nell'Ippolito: ma accenti significativi si trovano anche altrove. Basti citare il prologo delle Troiane, in cui due divinità si accordano per sfogare il proprio rancore su una folla di uomini, del tutto insensibili alla sofferenza di quelli. La critica euripidea si esercita anche nei confronti del mito, e conseguentemente il mito stesso, da parte integrante di una storia religiosa a cui l'uomo aderisce e da portatore di verità, frutto di una saggezza antica e degna di rispetto, diventa in Euripide un semplice pretesto drammatico. L'accentuazione dell'intreccio (con la conseguente introduzione del deus ex machina), l'uso di versioni secondarie del mito stesso (come nell'Elena o nel1'Ifigenia in Tauride), la ricerca dei motivi più truci delle stesse vicende mitiche portate sulla scena (come nell'Ecuba o negli Eraclidi) sono tutti elementi i quali indicano come per Euripide il mito sia una storia come un'altra: gli elementi costitutivi e l'ossatura dei suoi drammi egli non li ritrova a partire dalla tradizione della polis e dalla sua coscienza religiosa: egli per la prima volta si presenta come poeta dotto, che va alla ricerca degli spunti teatrali a partire innanzitutto dalla sua cultura: è possessore di una biblioteca privata e studia e conosce in maniera pressoché perfetta i drammi dei suoi predecessori: sono tutti fatti che indicano una diversa visione della vita in Euripide rispetto a Eschilo e Sofocle. Strettamente connessa con la polemica contro l'immaginario tradizionale della divinità è la polemica contro la mantica: così si scaglia contro gli indovini in un frammento del Filottete: “Perché mai voi, sedendo sui vostri troni di indovini, giurate di conoscere in maniera chiara le cose degli dèi? Gli uomini non hanno la possibilità d'inventare parole su questo: chi si vanta di sapere qualcosa intorno agli dèi, non sa fare altro che persuadere con la sua loquela” (11). L'uomo non ha mezzi per conoscere il futuro: è solo con la sua prudenza, con la c
on la γνώμη ... ἤ τ᾿εὐβουλία a cui accenna Elena
(12).
Unico strumento di conoscenza é dunque la ragione umana: ciò che supera
la ragione è inconoscibile, e qualunque tentativo di oltrepassare il
limite del razionale pare illusorio; il mistero esiste, ma il velo che
lo nasconde agli occhi degli uomini non può essere squarciato da
nessuno strumento, e quindi è vano argomentare su di esso. Nell'illustrazione:
un vaso apulo ad anse datato attorno al 330-320 a.C., conservato nel
Michael C. Carlos Museum di Atlanta, raffigurante nella parte inferiore
il mito di Melanippe.
BIBLIOGRAFIA W.NESTLE, Euripides, der Dichter der griechischen Aufklärung, Stuttgart 1901 A.V.VERRALL, Euripides the Rationalist , Cambridge 1895 P. MASQUERAY, Euripides et ses idées , Paris 1908 G. MURRAY, Euripides and his Age, trad.it. col titolo Euripide e i suoi tempi, Bari 1932 (1'edizione inglese è del 1913) V. DI BENEDETTO, Euripide, teatro e società, Torino 1971 A. FRENKIAN, Les dieux dans la conception d'Euripide, “Studii de Liter.Univ. de Bucuresti” 1956, pag.141 ss. J. ALSINA, Eurípides y la crisis de la conciencia helénica, “Estudios c1àsicos” VII (1962-3), pag.225 ss. A.LEVI, Le idee religiose di Euripide e la sua visione della vita, “Rendiconti Istituto Lombardo”, 1930, pag. 909 ss. Questa bibliografia indica solamente alcuni strumenti di lavoro e approfondimento iniziali: sarà poi naturalmente utile il ricorso alle ampie sintesi del POHLENZ e del WILAMOWITZ, così come alle principali storie della letteratura greca (CROISET, LESKY, ecc.) e della religiosità greca (NESTLE, NILSSON): in questi manuali si troveranno poi gli ulteriori rinvii. NOTE (1) Athen. IV 158 E, XIII (2) Diog. Laert. II 22; Ael., Var. Hist. II 13. (3) Fr. 52 N2; sulla polemica Socrate-Euripide cfr. Di Benedetto, op. cit., pag. 5-23. (4) Cfr., fra i tanti, Iph. Taur. 1403; Iph. Aul. 411; Tr. 27 e 1042; Hel. 971 ss.; Or. 28 ss. Sui sacrifici umani cfr. particolarmente Iph. Taur. 380 ss. (5) Her., 853. (6) Her., 339 ss. (7) Her., 1340 ss. (8) Iph. Taur., 386-391. (9) Fr. 292 N2, v. 7. (10) Ol. I 35 ss. (11) Fr. 795 N2. (12) Hel. 757 ss. (13) Hec. 488 ss. (14) Fr. 839 N2. (15) Tr. 884-890. (16) Cfr. Hec. 55 ss.; Her. 739; Andr. 439. (17) Ion. 1312 ss.; Oed. fr. 98 Austin. (18) vv. 363 ss. (19) Hipp. 473-5. (20) vv. 798 ss. (21) Fr. 901 N2; 1030 N2 . (22) Tr. 969 ss. (23) L’argomento è descritto in Dion. Alic., Rhet. 9-11. (24) Fr. 506 N2. (25) Hipp. 1102 ss. (26) Cfr. anche Her. 674 ss. (27) Po1ydam., fr. 638 N2. (28) Hipp. 191 ss. (29) Richiamo sicuro alla vicenda dei Melii. (30) Hel. 1137 ss. |
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