"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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E' morto Giovanni Paolo II
Nell'apprendere la notizia è impossibile nascondere la nostra grande tristezza, perché ci viene meno la presenza visibile e la vicinanza della sua grande figura, ma siamo anche sostenuti dal conforto e dalla certezza della Resurrezione. Ci uniamo al dolore della Chiesa e del mondo per la morte del Santo Padre riproponendo un articolo che avevamo pubblicato su Zetesis e ripreso nel sito. E' il nostro modo di ricordare la grandissima, indimenticabile figura di questo pontefice, per risentirne la voce, per sentirne la presenza accanto al nostro lavoro e ai nostri interessi, per ricavarne insegnamento e indicazioni di lavoro anche nello specifico ambito di riflessione che trattiamo nel nostro sito. Questo contributo apparirà certamente piccolo, di fronte alla grandezza di un Papa che ha segnato in maniera indelebile la storia della Chiesa e del mondo nel Novecento, ma è un contributo che proponiamo con tutto il nostro cuore.
Giovanni Paolo II, l’Europa e la cultura classica
(da Zetesis, 1996, 2, con aggiornamenti)
A più riprese nel corso del suo lungo pontificato Giovanni Paolo II ha
insistito sulla necessità cite l’uomo europeo sia cosciente della tradizione di
valori che forma l’identità culturale del nostro continente e ha richiamato a
una fedeltà e continuità nei confronti di questi valori. Solamente a queste
condizioni è possibile il progetto di una “nazione europea” che non sia fondato
su logiche puramente mercantili. Secondo l’insegnamento del Papa, l’apporto
fondamentale alla formazione dell’identità culturale europea è stato dato dal
Cristianesimo (tanto che non sarebbe concepibile un’identità europea che
prescindesse dai valori e dalla tradizione cristiana), ma viene ampiamente
ribadita l’importanza della cultura classica. In particolare, i grandi
personaggi che hanno contribuito in misura determinante alla formazione
dell’identità europea (per esempio San Benedetto) hanno ricevuto la grande
eredità culturale del pensiero latino o greco. Al fondo dell’insegnamento di
Giovanni Paolo II vi è il richiamo a non ritenere che l’inizio dell’identità
culturale europea sia da porre nell’Illuminismo, che viene visto conte un
momento di deviazione o di rottura più che di continuità: il vero volto
dell’anima europea va riscoperto nei secoli che precedono l’Illuminismo, non in
quelli che lo seguono.
Di questa dottrina articolata e profonda rechiamo qui alcuni stralci (quelli
che presentano maggior interesse ai fini immediati del nostro lavoro), scelti,
senza alcuna pretesa di completezza, all’interno di un corpo di scritti e di
interventi molto ampio e ricco di sollecitazioni.
Ma voi avete voluto riflettere in particolare sul diritto alla vita del concepito e il destino dell’Europa. È facile notare la stridente contraddizione che v’è fra la legalizzazione dell’aborto, ormai in atto, purtroppo, in quasi tutta l’Europa, e ciò che costituisce la grandezza della cultura europea. Questa, che ha le sue fonti maggiori nell’eredità greca e latina, ha trovato nel cristianesimo l’illuminante apporto che le ha consentito di spingersi verso traguardi di superiore grandezza. Col cristianesimo l’Europa ha scoperto la dignità di ogni singola persona umana come tale: una scoperta che ha fatto della cultura europea una cultura eminentemente umanistica. Radicata nella latinità, essa è stata la scuola del diritto, inteso come razionale organizzazione del vivere sociale sul fondamento della giustizia. Erede della cultura greca, la cultura europea ha visto nel retto uso della ragione – concepita come facoltà di cogliere la realtà non lasciandosi dominare dai propri interessi particolari – uno dei segni più chiari della grandezza dell’uomo.
Ai partecipanti al Convegno di studio su "Il diritto alla vita e l’Europa", 18
dicembre 1987
La storia della formazione delle nazioni europee va di pari passo con quella della loro evangelizzazione, a tal punto che le frontiere dell’Europa coincidono con quelle della penetrazione del Vangelo. Questa identità europea, dalle radici cristiane, è una realtà che oggi ancora deve sostenere i benemeriti sforzi di tutti coloro che operano per il superamento delle divisioni e per la sparizione dei «muri», che gli uomini hanno così spesso artificiosamente creato.
Ai cardinali e alla Curia romana. 22 dicembre 1989
Tutta l’Europa s’interroga sul suo avvenire, quando il crollo di regimi
totalitari esige un profondo rinnovamento delle politiche e provoca un vigoroso
ritorno delle aspirazioni spirituali dei popoli. L’Europa, per necessità, cerca
di ridefinire la sua identità al di là dei sistemi politici e delle alleanze
militari. Essa si riscopre continente di cultura, terra irrigata dalla
millenaria fede cristiana e, al tempo stesso, nutrita da un umanesimo laico
percorso da correnti contraddittorie.
In questo momento di crisi, l’Europa potrebbe essere tentata di ripiegarsi su se
stessa, dimenticando momentaneamente i legami che la uniscono al vasto mondo. Ma
forti voci, dall’Est all’Ovest, la esortano a innalzarsi alla dimensione della
sua vocazione storica, in quest’ora al tempo stesso drammatica e grandiosa.
Spetta a voi, nella vostra posizione, di aiutarla a ritrovare le sue radici e a
costruire il suo avvenire, conformemente al suo ideale e alla sua generosità. I
giovani che ho incontrato con gioia sui cammini di Santiago de Compostela hanno
manifestato con entusiasmo che questo ideale viveva in loro.
Al Pontificio Consiglio per la cultura, 12 gennaio 1990
Se la memoria storica dell’Europa non si spingerà oltre gli ideali
dell’illuminismo, la sua nuova unità avrà fondamenti superficiali e instabili.
II Cristianesimo, portato in questo Continente dagli Apostoli e fatto penetrare
nelle varie sue parti dall’azione di Benedetto, Cirillo, Metodio, Adalberto e di
una innumerevole schiera di santi. è alle radici stesse della cultura europea.
Il processo verso una nuova unità dell’Europa non potrà non tenerne conto! Che
ne sarebbe, dell’affascinante panorama di questa «Città dalle cento torri», se
vi sparisse il profilo della cattedrale e quello dei molti monumenti che
costituiscono altrettanti gioielli della cultura cristiana? Come diventerebbe
povera la vita spirituale, morale e culturale di questa nazione, se dovesse
esserne escluso tutto ciò che era, è e sarà ispirato dalla fede cristiana.
Ai rappresentanti del mondo della cultura nel Castello di Praga, 21 aprile 1990
Non ci sono dubbi che alla base dell’Europa degli uomini c’è l’immagine
dell’uomo che la rivelazione cristiana ci ha lasciato e che la Chiesa cattolica
continua ad annunciare e a servire. Si tratta dell’uomo nella sua piena verità,
in tutte le sue dimensioni, dell’uomo concreto, storico, di ogni uomo compreso
nel mistero della redenzione, amato da Dio e destinato alla grazia, come ho già
lungamente esposto nell’enciclica Redemptor hominis. Questa immagine dell’uomo
ha segnato in maniera particolare la cultura europea e sarà sempre per noi il
principio fondamentale di ogni umana dignità. È su questa base che si costruisce
l’Europa degli uomini e dei popoli, e non solamente quella del progresso
materiale e tecnico.
Ai giuristi e ai giudici della Corte europea, 10 novembre 1990
... gli uomini e le donne di questo vecchio Continente dalla storia così
tormentata devono riacquistare la coscienza di ciò che fonda la loro identità
comune, di ciò che continua a essere la loro grande memoria divisa. Certo,
l’identità europea non è una realtà facile da circoscrivere. Le fonti lontane di
questa civiltà sono numerose, provenienti dalla Grecia e da Roma, da substrati
celtici, germanici e slavi, dal Cristianesimo che li ha plasmati profondamente.
E sappiamo quanta diversità di lingue, di culture, di tradizioni giuridiche ci
sia fra le nazioni, le regioni e anche le istituzioni. Ma, agli occhi degli
altri continenti, l’Europa appare come una sola unità, anche se questa coesione
è meno chiaramente percepita da quelli che la costituiscono.
(...) Sentiamo spesso pronunciare frasi di rammarico nel vedere i giovani
restare in qualche modo estranei alla memoria dei patrimonio culturale
costituito dai popoli europei in più di due millenni. Si prova anche una certa
inquietudine per la conservazione stessa di questo patrimonio. Se parlo
brevemente di questo problema, (...) è perché sono convinto che l’incomparabile
patrimonio culturale di questo Continente non debba essere semplicemente
preservato per restare a disposizione degli sguardi distanti o indifferenti che
si rivolgono alle vestigia.
È importante che, da una generazione all’altra, si possano trasmettere, affidare le testimonianze di una cultura viva, le opere, le scoperte e le esperienze che hanno progressivamente contribuito a formare l’uomo in Europa. Ecco perché ci tengo a incoraggiare non solo gli sforzi notevoli compiuti per salvare dalla scomparsa le ricchezze del passato, ma anche gli sforzi per farne la ricchezza di oggi.
Al Consiglio d’Europa, 8 ottobre 1988
Per
questo, io, Giovanni Paolo, figlio della nazione polacca, che si è sempre
considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali,
slava tra i latini e latina tra gli slavi; io, successore di Pietro nella sede
di Roma, sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo
sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, vescovo di Roma
e pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica
Europa: «Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le
tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua
storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua
unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le
genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.
Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili
conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua
grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu
puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli
altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo
diede a Cristo: "Lo posso"».
Discorso tenuto a Santiago de Compostela, 9 novembre 1982
... migliaia di europei danno l’impressione di vivere senza memoria spirituale,
come degli eredi che hanno dilapidato il loro patrimonio sacro. (...)
D’altronde, riconosciamolo, le prove e le divisioni che hanno lacerato questo
vecchio Continente costituiscono, anch’esse, un pressante invito per gli
europei, li impegnano a ritornare alle fonti della loro storia, per ritrovare la
loro fratellanza comune e la loro cultura indelebile. Rispettando il pluralismo
delle società moderne sappiamo ridare vita e significato all’eredità cristiana
dell’Europa. Eredità non vuol dire passato antiquato, come se lo immaginano
troppe persone che hanno la tendenza a vedere il Cristianesimo attraverso alcune
istituzioni vecchie e sorpassate. Per noi che lo viviamo, il patrimonio
cristiano è sempre attivo e creatore di cultura.
Ai partecipanti a un convegno culturale, 20 aprile 1986
Ma è tuttavia essenziale per l’università, come istituzione, fare costantemente
riferimento al retaggio intellettuale e spirituale che ha plasmato la nostra
identità europea nel corso dei secoli.
Qual è questo retaggio? Pensiamo per un momento ai fondamentali valori della
nostra civiltà: la dignità della persona, il carattere sacro della vita, il
ruolo centrale della famiglia, l’importanza dell’istruzione, la libertà di
pensiero, di parola e di professione delle proprie convinzioni o della propria
religione, la tutela legale degli individui e dei gruppi, la collaborazione di
tutti per il bene comune, il lavoro inteso come partecipazione all’opera precisa
del Creatore, l’autorità dello Stato, a sua volta governato dalla legge e dalla
ragione.
Questi valori appartengono al tesoro culturale dell’Europa, un tesoro che è il
risultato di lunghe riflessioni, dibattiti e sofferenze. Essi rappresentano una
conquista spirituale di ragione e giustizia che fa onore ai popoli dell’Europa
che cercano di mettere in pratica nell’ordine temporale lo spirito cristiano di
fratellanza insegnato dal Vangelo.
Le università dovrebbero essere il luogo speciale per dare luce e calore a queste convinzioni che sono radicate nel mondo greco-romano e che sono state arricchite ed elevate dalla tradizione giudeo-cristiana. È stata questa tradizione a sviluppare un concetto più alto della persona umana vista come immagine di Dio, redente da Cristo e chiamata a un destino eterno, dotata di diritti inalienabili e responsabile del bene comune della società. l dibattiti teologici relativi alle due nature di Gesù Cristo hanno consentito l’elaborazione di un concetto di persona, che è la pietra angolare della civiltà occidentale.
All’Università di Uppsala, 9 giugno 1989
La Chiesa e l’Europa sono due realtà intimamente legate nel loro essere e nel
loro destino. Hanno fatto insieme un percorso di secoli e rimangono marcate
dalla stessa storia. L’Europa è stata battezzata dal Cristianesimo; e le nazioni
europee, nella loro diversità, hanno dato corpo all’esistenza cristiana. Nel
loro incontro si sono mutuamente arricchite di valori che non sono solo divenuti
l’anima della civiltà europea, ma anche patrimonio dell’intera umanità. Se nel
corso di crisi successive la cultura europea ha cercato di prendere le sue
distanze dalla fede e dalla Chiesa, ciò che allora è stato proclamato come una
volontà di emancipazione e di autonomia in realtà era una crisi interiore alla
stessa coscienza europea, messa alla prova e tentata nella sua identità
profonda, nelle sue scelte fondamentali e nel suo destino storico.
L’Europa non potrebbe abbandonare il Cristianesimo come un compagno di viaggio
diventatole estraneo, così come un uomo non può abbandonare le sue ragioni di
vivere e di sperare senza cadere in una crisi drammatica.
V
Simposio dei vescovi d’Europa, 5 ottobre 1982
... Queste date (scil. i millenari dell’evangelizzazione della Polonia,
966, dell’Ungheria, 972, e della Rus’ di Kiev, 988) ci riportano a radici
cristiane particolarmente ricche e ispiratrici perché poggiano sulla stessa
fede, si riferiscono alla stessa Chiesa indivisa e hanno dato linfa a una
cultura e a un umanesimo cristiano di eccezionale valore. Esse sono oggi
custodite dalla memoria materna della Chiesa, la quale ce le ricorda come
particolarmente significative e importanti nella situazione odierna, in cui in
alcuni ambienti e da talune correnti di pensiero si tende a cancellarle dalla
memoria e dalla vita. L’amnesia del proprio atto di nascita e del proprio
sviluppo organico è sempre un rischio e può condurre perfino all’alienazione.
D’altra parte, dobbiamo anche considerare che queste radici comuni sono
dicotomiche. Esse, infatti, si sono configurate come due correnti di tradizioni
cristiane teologiche, liturgiche, ascetiche e due modelli di cultura diversi,
non opposti, anzi complementari e mutualmente arricchentisi. Benedetto ha
permeato la tradizione cristiana e culturale dell’Occidente con lo spirito della
latinità, più logica e razionale; Cirillo e Metodio sono gli esponenti
dell’antica cultura greca, più intuitiva e mistica, e sono venerati come padri
della tradizione dei popoli slavi.
Sta a noi raccogliere l’eredità di questo pensiero ricco e complementare, e trovare i mezzi e i metodi appropriati per la sua attualizzazione e una più intensa comunicazione spirituale tra Oriente e Occidente.
VI Simposio dei vescovi d'Europa, 11 ottobre 1985
... egli (San Benedetto), padre dei monaci, legislatore della vita monastica in
Occidente, divenne anche indirettamente il pioniere di una nuova civiltà.
Ovunque il lavoro umano condizionava lo sviluppo detta cultura, dell’economia,
della vita sociale, lì giungeva il programma benedettino dell’evangelizzazione,
che univa il lavoro alla preghiera e la preghiera al lavoro. (...) Si può
staccare il lavoro dalla preghiera e farne l’unica dimensione dell’esistenza
umana. L’epoca contemporanea porta in sé questa tendenza. Essa si differenzia
dai tempi di Benedetto da Norcia, perché allora l’Occidente guardava indietro,
ispirandosi alla grande tradizione di Roma e del mondo antico. (...) Non si può
vivere per il futuro senza intuire che il senso della vita è più grande della
temporalità, che è al di sopra di essa. Se le società e gli uomini del nostro
Continente hanno perso l’interesse per questo senso, devono ritrovarlo. Possono,
a questo scopo, tornare indietro di quindici secoli`? Ai tempi nei quali nacque
san Benedetto? No, tornare indietro non possono. li senso della vita devono
ritrovarlo nel contesto dei nostri tempi. Non è possibile diversamente. Non
devono e non possono tornare indietro ai tempi di san Benedetto, ma devono
ritrovare il senso dell’ esistenza umana sulla misura di Benedetto. Solo allora
vivranno per il futuro. E lavoreranno per il futuro. E moriranno nella
prospettiva dell’eternità.
Omelia a Norcia, 23 marzo 1980
Nel Messaggio del Santo Padre al Card. Antonio María Javierre Ortas In
occasione del Convegno per il 1200° anniversario dell'incoronazione imperiale di
Carlo Magno (16 dicembre 2000) il Santo Padre ravvisava nella figura e
nell'opera di Carlo Magno un ideale punto di riferimento per la nascita
dell'Europa moderna, risultante da una sintesi tra cultura classica e culture
germanica e celtica. Cristianesimo e cultura classica ebbero quell'ampiezza di
respiro e quella visione universalistica (non per nulla la Chiesa prende il nome
di cattolica) che poteva favorire una sintesi tra culture diverse ("grandiosa
sintesi ... operata sulla base del Vangelo di Gesù Cristo" afferma il
Papa); nello stesso tempo la cultura classica, continuata e trasfigurata nella
vita e nella predicazione della Chiesa, offriva ai popoli germanici e celtici
gli strumenti per prendere coscienza delle proprie potenzialità espressive e
dare così vita a nuove culture e nuove tradizioni, sempre nell'ambito europeo
Al Venerato Fratello nell'Episcopato il Signor Cardinale Antonio María Javierre
Ortas
Con piacere ho appreso che il 16 dicembre prossimo Ella presiederà una seduta
accademica dedicata al 1200E anniversario dell'incoronazione imperiale di Carlo
Magno, compiuta dal Papa Leone III nel Natale dell'800. Volendo partecipare
almeno spiritualmente alla celebrazione della storica ricorrenza, Le invio
questo mio Messaggio, con il quale intendo far pervenire a Lei ed alla distinta
assemblea il mio beneaugurante saluto.
La commemorazione dello storico evento ci invita a volgere lo sguardo non
soltanto al passato, ma anche all'avvenire. Essa, infatti, coincide con la fase
decisiva della stesura della "Carta dei diritti fondamentali" dell'Unione
Europea. Questa fausta coincidenza invita a riflettere sul valore che anche oggi
conserva la riforma culturale e religiosa promossa da Carlo Magno: il suo
rilievo, infatti, è ben maggiore dell'opera da lui svolta per la materiale
unificazione delle varie realtà politiche europee dell'epoca.
È la grandiosa sintesi tra la cultura dell'antichità classica, prevalentemente
romana, e le culture dei popoli germanici e celtici, sintesi operata sulla base
del Vangelo di Gesù Cristo, ciò che caratterizza il poderoso contributo offerto
da Carlo Magno al formarsi del Continente. Infatti, l'Europa, che non costituiva
una unità definita dal punto di vista geografico, soltanto attraverso
l'accettazione della fede cristiana divenne un continente, che lungo i secoli
riuscì a diffondere quei suoi valori in quasi tutte le altre parti della terra,
per il bene dell'umanità. Al tempo stesso, non si può non rilevare come le
ideologie, che hanno causato fiumi di lacrime e di sangue nel corso del XX
secolo, siano uscite da un'Europa che aveva voluto dimenticare le sue fondamenta
cristiane. L'impegno che l'Unione Europea si è assunto di formulare una "Carta
dei diritti fondamentali" costituisce un tentativo di sintetizzare nuovamente,
all'inizio del nuovo millennio, i valori fondamentali ai quali deve ispirarsi la
convivenza dei popoli europei.
Segnaliamo infine questo breve passo, tratto dal volume autobiografico
Dono e mistero (Libreria Editrice Vaticana, 1996, p. 11) in cui il Papa
sottolinea il valore formativo degli studi filologici e linguistici:
...
la mia scelta della Filologia polacca [scil. alla Facoltà di Filosofia
dell’Università Jaghellonica] era motivata da una chiara predisposizione verso
la letteratura. Tuttavia, già durante il primo anno, attirò la mia attenzione lo
studio della lingua stessa. Studiavamo la grammatica descrittiva del polacco
moderno ed insieme l’evoluzione storica della lingua, con un particolare
interesse per il vecchio ceppo slavo. Questo mi introdusse in orizzonti
completamente nuovi, per non dire nel mistero stesso della parola.
La parola, prima di essere pronunciata sul palcoscenico, vive nella storia dell’uomo come dimensione fondamentale della sua esperienza spirituale. In ultima analisi, essa rimanda all’imperscrutabile mistero di Dio stesso. Riscoprendo la parola attraverso gli studi letterari e linguistici, non potevo non avvicinarmi al mistero della Parola, di quella Parola a cui ci riferiamo ogni giorno nella preghiera dell’Angelus: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare i mezzo a noi» (Gv. 1, 14). Capii più tardi che gli studi di Filologia polacca preparavano in me il terreno per un altro genere di interessi e di studi. Predisponevano il mio animo ad accostarsi alla filosofia e alla teologia.
(a cura della Redazione)
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