Da
Costantino a Teodosio: il IV secolo d.C.
di Alfredo Valvo
Breve riflessione su aspetti sostanziali
del IV secolo e del passaggio al Tardoantico
Il Tardoantico.
Esso porta con sé la difficile questione
della periodizzazione: sono gli eventi c.d. epocali che determinano nella
coscienza storiografica ma, prima ancora, nella coscienza dei
contemporanei agli avvenimenti la consapevolezza di vivere un momento
della storia che segna
un cambiamento e un passaggio. Oggi si parla di discontinuità.
Il IV secolo è, per la maggior parte degli storici, il secolo del tardoantico (Spätantike /
Frühbyzantinisches): l’antichità
classica si fonde progressivamente con un nuovo spirito ecumenico che
si sovrappone a quello ellenistico-romano: si tratta di un fenomeno
imponente che coinvolge tutto e tutti, a cominciare
dalla idea di stato e di chi lo regge (e finisce per identificarsi con esso, come lasciano intendere le Res Gestae; Louis XIV); la
forma prevalente e generalizzata di governo è quella di un vero e
proprio stato totalitario, che non ha più nulla a che vedere con l’idea
di stato che aveva Cicerone: cfr. de re publica I 25, 39: res publica,
res populi); conseguentemente si
modifica anche il vincolo di auctoritas sul quale Augusto aveva fondato il suo principato: agli
imperatori è quasi universalmente riconosciuto un carattere sacro e a
loro si presta un culto; il sovrano è il riflesso di Dio sulla terra;
altezza delle statue del sovrano (ricordare il Colosso neroniano);
questo vale anche per Costantino, al quale viene attribuito una sorta
di potere episcopale esteso a tutto l’impero: con questo imperatore
avviene il passaggio decisivo dallo stato pagano allo stato cristiano).
Un altro aspetto del cambiamento è
l’adattamento delle categorie del
pensiero filosofico classico
(platonico) alle sollecitazioni provenienti dall’affermazione del
cristianesimo (età dei Padri della Chiesa, fortissime
personalità nel pensiero e nella vita personale), che porta con sé
attese di carattere escatologico di ampi strati di popolazione
(diffusione del cristianesimo; primo stato a diventare ufficialmente
cristiano
il regno di Edessa/Osroene, con Abgar IX, 179-216).
Più pronunciato che in precedenza è il
distacco fra la vita cittadina, dove si moltiplicano le scuole e si affermano nuovi e
raffinati itinerari di pensiero, alimentati
dalla retorica, e i cristiani possono finalmente accedere, a Roma, alle
cariche pubbliche e assumere responsabilità di governo [323 consolato; 325
prefettura dell’Urbe; 329 prefettura del pretorio]; un altro aspetto
caratteristico è la dispersione dei lavoratori della terra, che si allontanano sempre di più dal ‘centro’ (anche il
Cristianesimo si afferma nelle campagne con ritardo rispetto alle
città) e così via.
L’età tardoantica è un momento di
straordinaria ricchezza culturale, di rinnovata ricerca della verità, che non è più quella della filosofia greca – anche se
ne impiega gli strumenti – dopo la delusione degli dei pagani, ma è
espressione dell’avvento di una nuova e non ancora
sperimentata maturità di pensiero (pleroma).
Tutto questo, anche se detto in breve,
spiega perché il IV secolo d.C. non è una età di
decadenza.
Entriamo ora nell’argomento che ci porta
finalmente al c.d. editto di Costantino e alle sue conseguenze.
Dalla tolleranza alla libertà di culto.
Lattanzio, storico vissuto alla corte di
Costantino, scrive: «Dalla distruzione della Chiesa alla sua
restaurazione erano trascorsi dieci anni e circa quattro mesi». Con
queste
parole tratte dal de mortibus
persecutorum 48, 13, egli conclude il
capitolo nel quale ha esposto i provvedimenti di Costantino e di
Licinio emanati nel 313. Il
testo più che di un editto è quello di una ‘circolare’ che i due
Augusti, Costantino e Licinio, avevano concordato nel loro incontro di
Milano all’inizio del 313. Il documento, conservato anche
nella traduzione greca da Eusebio di Cesarea, garantiva ai cristiani
non soltanto la libertà di professare la loro fede ma prevedeva la
restituzione dei beni che erano stati loro espropriati; riconosceva
inoltre a tutti
i cittadini dell’impero il diritto di professare liberamente la propria
fede religiosa. Questa la sostanza del contenuto. Leggere cap. 48, 2-3.
Il decennio al quale fa riferimento
Lattanzio va dal 23 febbraio 303 al 13 giugno 313. Il 23 febbraio 303,
per volontà dell’Augusto Diocleziano e istigazione del Cesare
Galerio (allora l’impero romano era diviso in quattro parti, due
governate dagli Augusti e due dai Cesari, destinati nel disegno di
Diocleziano a succedere agli Augusti automaticamente) fu emesso il
primo di quattro
editti che ripristinavano la legislazione anticristiana e persecutoria
di quasi mezzo secolo prima, al tempo di Valeriano, interrotta
dall’imperatore Gallieno nel 262. Suonava beffardo nei confronti dei
cristiani che
in quello stesso giorno cadesse anche la festa del dio Terminus, protettore dei
confini, con implicito riferimento alla fine imminente del
cristianesimo. La seconda
data, 13 giugno 313, segna la fine di Massimino Daia, un altro
concorrente all’impero e implacabile persecutore dei cristiani.
Un passo indietro.
Due anni
prima che fosse emanato il documento
steso a Milano da Costantino e Licinio era stato emesso un editto di
tolleranza (come lo era stato quello di Gallieno del 262), detto di
Serdica (od. Sòfia) dal luogo nel
quale fu firmato da Galerio, o anche di Nicomedia, dove venne
pubblicato il 30 aprile del 311 (Lact. mort. 35, 1). In ciò sta principalmente la differenza:
l’editto di Costantino riconosceva la libertà di culto ai cristiani e a tutti, senza
bisogno che lo Stato lo consentisse o potesse impedirlo, mentre Galerio
consentiva (senza riconoscere ancora il diritto) che i Cristiani
ricostituissero le loro comunità e adorassero il proprio dio. Il testo
dell’editto di tolleranza
del 311 ci è conservato da Eusebio (H.E. VIII 17, 3-10) e da Lattanzio (de mort. 34), il quale
restituisce con queste parole il contenuto dell’editto redatto in prima
persona da Galerio: «siccome moltissimi [cristiani] perseverano nella
propria scelta e noi vediamo che questi non tributano agli dei il culto
e la venerazione dovuta… in nome della nostra mitissima clemenza e
della costante abitudine in ogni occasione di perdonare a tutti gli
uomini, abbiamo
ritenuto di dover mostrare pure con loro senza esitazione la nostra
indulgenza. In tal modo potranno essere nuovamente cristiani e
ricostituire le loro comunità, fatto salvo da parte loro il rispetto
assoluto dell’ordine
costituito.» E’ importante anche ciò che segue e conclude il testo
dell’Editto: «in ossequio a questa nostra indulgenza [i cristiani]
dovranno pregare il loro dio per la nostra salute [Galerio
era ormai alla fine], quella dello Stato [da sottolineare] e la loro
propria, affinché lo Stato si conservi sicuro dappertutto ed essi
possano vivere tranquilli nelle loro sedi».
Il seguito (dopo Costantino)
La Chiesa cattolica
ricevette uno statuto giuridico privilegiato e trasferì, fin dalle
forme iniziali del proprio diritto, in quello che sarà il diritto
canonico, gran parte
del depositum iuris che era appartenuto alla scienza del diritto romano.
Forse anche per questo le sentenze del tribunale episcopale, anche in
materia puramente civile, vennero riconosciute valide anche dallo Stato
(una forma di
prassi concordataria, della quale – a tutt’oggi – non si è ancora
trovata un forma più efficace per regolare i rapporti fra Stato e
Chiesa); agli enti ecclesiastici venne riconosciuta la capacità
successoria, e ciò fu all’origine dell’accrescimento del patrimonio
ecclesiastico. Iniziò la costruzione di edifici di culto capaci di contenere tutti i fedeli: la basilica di
Aquileia, 313, vescovo
Teodoro.
Un altro capitolo delle novità
amministrative fu la concessione della immunitas, cioè l’esenzione dalle tasse riconosciuta al clero.
Poiché, oggi diremmo, il saldo delle entrate non poteva subire tagli,
gli oneri fiscali venivano
traferiti in egual misura sugli altri cittadini delle comunità alle
quali appartenevano gli esponenti del clero, con una duplice
conseguenza: da una parte l’incremento delle ‘vocazioni’ e dall’altro
l’aggravio sempre meno sostenibile per i ceti elevati delle comunità.
Ma non mancarono, da subito, le
difficoltà sul piano dottrinale. Per comporre le fratture – eresie, tra
le quali donatismo e arianesimo – fu richiesto l’intervento
diretto dell’imperatore che si trovò a dover svolgere un duplice
compito: conservare la pace dell’impero e comporre questioni di
carattere religioso. La «coscienza missionaria» (A. Alföldi),
come fu definito, con espressione felice, l’impegno di Costantino nel
mettere ordine nelle questioni religiose, apriva le porte ad una
ingerenza stabile, sebbene sollecitata dalle parti interessate, nelle
vicende religiose.
Più che ad un «principe sagrestano» vien fatto di pensare ad una
concezione messianica della propria presenza sulla terra di Costantino,
strettamente legata alla concezione del potere. Era sua convinzione,
che lo accompagnava da Ponte Milvio, che esistesse un rapporto
privilegiato tra lui e la divinità, già individuata nel Dio dei
Cristiani, anche se l’adesione ad essa non fu immediata (egli venne
battezzato
in punto di morte.)
Laicità dello stato
L’attribuzione di competenze
giurisdizionali ai vescovi nuoceva alla separazione fra Stato e Chiesa
e spingeva nei fatti verso una forma di teocrazia strisciante ma
ugualmente marcata. Tuttavia, la libertà (non più tolleranza) di culto
è all’origine della laicità dello stato, cioè della indipendenza di entrambi, della
non subordinazione di una all’altro e viceversa.
Giustamente perciò questo è stato
considerato l’initium libertatis dell’uomo moderno. La libertà religiosa proclamata da
Costantino e dal collega Licinio
metteva sullo stesso piano tutte le religioni professate nell’impero e
per la prima volta lo stato romano rinunciava a farsi arbitro della
liceità dei culti, come aveva fatto fino allora attraverso organi
politico-religiosi,
come i collegi destinati alla regolamentazione dei culti, che
garantivano il rispetto e la continuità della tradizione. Lo stato era
perciò strettamente vincolato al culto religioso, quando addirittura
gli imperatori
non finivano per identificarsi con la divinità e pretendere il culto
religioso per se stessi. Ma nessuno stato antico poteva immaginare di
separare i propri destini da un corretto rapporto con gli dei.
Proprio in questo il provvedimento di
Costantino era rivoluzionario: esso interrompeva la
condizione di soggezione dello stato romano ai vincoli della religione. La libertà di culto, della quale avrebbero goduto da
allora in poi i cristiani e i fedeli di tutte le altre religioni, aveva
un rovescio altrettanto importante, per lo più ignorato dalla moderna
storiografia: lo stato si sarebbe affrancato dal legame, che si può
definire ontologico – condizione della sua stessa esistenza – che lo
aveva vincolato fino allora. Si può dire che proprio il ‘distacco’
dello Stato romano dalla religione che esso aveva scelto come garanzia
della sua sopravvivenza ne permise l’emancipazione e gli conferì una
autonomia che gli era stata fino allora preclusa. Perciò senza
libertà religiosa lo Stato romano sarebbe rimasto uno Stato teocratico:
la libertà religiosa è funzionale alla laicità dello stato – oggi come allora – e,
anzi, lo stato deve garantire la libertà religiosa per garantire la
libertà a se stesso. In definitiva la libertà religiosa è
condizione della libertà per lo stato e come tale la precede.
Questo ha naturalmente valore in una
situazione nella quale si possa parlare di ‘libertà religiosa’, e
poteva valere, al tempo di Costantino, per tutto l’ecumene
romano, dove la legge era una sola.
Perciò la condizione perché lo stato
affermi la sua laicità – cioè la propria
libertà – è difendere la propria
autonomia dalla religione; altrimenti se non si vuole dare a Dio quello
che è di Dio non si potrà dare
neppure a Cesare quello che è di Cesare.
La libertà è un tema fortemente presente nel pensiero del IV secolo
(come lo era stato anche
a Roma alla fine della Repubblica, mentre aveva perduto di mordente
dopo l’avvento del Principato.) Ambrogio (vescovo di Milano dal 373 al
397), nell’Esamerone (cfr. J. Milton, Paradiso perduto; Tasso, Sette giornate mondo creato), avvicina due forme di costituzione nelle quali labor e dignitas, nella prima, potestas e servitium, nella seconda, sono «secondo natura» cioè sono
«ugualmente in funzione
del bene comune ed impongono una devozione tanto più leale quanto più
libera» (Sordi). Ciascuna di esse è a
natura accepta, è cioè aderente alle
finalità stabilite da Dio. Ambrogio, uomo politico (consularis) e uomo di
cultura raffinata, trasferiva i contenuti dell’esperienza politica e
giuridica di Roma nella nuova dimensione di un principato assoluto sì
ma
fondato sopra la solida base del Cristianesimo. Così egli fa propria
l’idea ciceroniana di libertas. Cicerone, che costituisce il punto più alto della
riflessione sullo stato romano, aggiunge che la libertà abita soltanto
dove il governo della città è lasciato al popolo, che non
è un’accozzaglia di uomini che si sono incontrati per caso ma un
insieme di persone che si sono riunite liberamente e che condividono
due elementi essenziali della loro alleanza (societas): il diritto (consensus iuris) e il
perseguimento del bene comune (utilitatis
communio) (De
re publ. I 25, 39; 31, 47): e non è
forse quella di Ambrogio la trascrizione di quanto vuole dirci
Cicerone? Questo appena svolto è uno dei mille esempi di come
e quanto la cultura romana, con le sue radici antiche, entri a far
parte del pensiero tardoantico.
Teodosio e la fine della libertà
religiosa
L’affermazione del cristianesimo,
peraltro già ampiamente radicato in tutto l’impero, offrì l’opportunità
di una diffusione ancora maggiore; nascevano
nuove sedi episcopali e il Vescovo di Roma accresceva la propria
influenza, riconosciuto come il fondamento della continuità apostolica,
da Pietro in poi. Costantinopoli contendeva ad Alessandria il ‘secondo
posto’
fra le sedi episcopali;
l’attività degli studi teologici era
intensissima grazie soprattutto ai Padri della Chiesa che nel IV secolo
svolsero un lavoro imponente.
Anche sotto il punto di vista politico
il comportamento dei successori immediati di Costantino e di quelli
meno immediati – con l’eccezione di Giuliano l’Apostata,
che tentò una restaurazione del paganesimo su basi nuove (legge che
proibiva ai cristiani l’insegnamento delle lettere classiche),
sostenuto da uomini della vecchia guardia, tra i quali spiccano lo
storico Ammiano
e senatori ancora legati alla tradizione pagana – non lasciavano dubbi
sulla continuità della politica iniziata da Costantino. L’imperatore
Valentiniano, imperatore dal 364, proclamò nuovamente la
libertà di coscienza per tutti. Ma soprattutto con l’avvento di
Teodosio (379-395) l’impero tende a divenire un impero cristiano; e
nella sua forma ortodossa il cristianesimo diventa, praticamente,
religione
di stato. Il 28 febbraio 380, a Tessalonica, egli promulga un editto
che impone a tutti coloro che gli sono sottoposti l’ortodossia
cattolica, cioè il Cattolicesimo romano, professato dal successore di
Piero (allora
Papa Damaso). Vengono cacciati gli eretici (381), i culti pagani sono
proibiti, i templi vengono chiusi o distrutti (391).
Con l’affermazione del cristianesimo come
religione di stato si conclude la breve stagione della libertà
religiosa, espressione di lungimiranza e riconoscimento del
diritto a professare il proprio credo religioso come diritto
irrinunciabile e inalienabile della persona, senza che ciò sia più
accaduto e che oggi, purtroppo, ci sia ancora speranza che accada (oggi
sono 123,
secondo quanto rilevato da organismi internazionali, le nazioni dove la
libertà religiosa non è riconosciuta o garantita). Essa, al tempo di
Costantino, fu resa possibile grazie all’unità ‘sovranazionale’ dell’impero; con Teodosio, invece, la religione cristiana ortodossa,
divenuta la religione ufficiale dell’impero, aveva
la funzione di garantire l’unità di esso.
(I tempi erano di una durezza
difficilmente descrivibile e comprensibile. All’interno della logica
del potere assoluto si possono collocare – senza peraltro giustificarli
–
i crimini di Costantino verso i suoi stessi e più prossimi familiari e
la strage di Tessalonica, nel 390, in cui furono uccisi 7000 persone
inermi per ordine di Teodosio. La penitenza alla quale si sottopose per
comando
di S. Ambrogio restituì, almeno in quella occasione, la distinzione fra
Stato e Chiesa.)
Così vengono poste le basi della nuova
civiltà cristiana che sarà – ed è – per sua evoluzione – potremmo dire
per un fatto genetico
ed evolutivo – il fondamento ormai inestinguibile della nostra società. |
Nelle immagini: 1. Il vescovo
Teodoro, Ritratto ideale presente nella Sala del trono del Museo
diocesano di Udine ; 2. L. Agretti, Ambrogio caccia Teodosio (1908),
Duomo di Milano.
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