Ultimo aggiornamento 7
maggio 2016
Le radici cristiane
dell'Europa
Il vecchio continente
è ormai decrepito
e, come tanti vecchi,
purtroppo soffre di amnesia
Indice di alcuni contenuti:
Alessio II
Marta Sordi
Papa Giovanni Paolo
II
Papa Benedetto XVI/Card. Ratzinger
Papa Francesco
Marcello Pera
Marcello Veneziani
cristianofobia
La querelle della Costituzione europea
La nuova Costituzione europea ha dimenticato gli elementi più preziosi
e prestigiosi dell'identità culturale europea, gli elementi che
definiscono l'Europa come tale: le radici cristiane e l'eredità
greco-romana (la definizione di democrazia tratta da Tucidide è stata
eliminata dal preambolo). Non vogliamo commentare questa decisione: è
difficile dire se quella che emerge da questo lungo travaglio, frutto
di compromessi tra spinte contrastanti, è l'immagine di un'Europa senza
passione culturale o di un'Europa giacobina che ritiene di trovare la
linfa dei suoi valori nell'Illuminismo e nelle parole d'ordine della
rivoluzione francese. Certo è un'Europa con un respiro culturale assai
modesto, è un'Europa di mercanti e di banchieri, e (con tutto il
rispetto per queste categorie, che pure hanno avuto delle benemerenze
di fronte alla storia) questo non ci basta. Torneremo sulla questione
in modo più ponderato nei prossimi numeri di Zetesis. Qui ci limitiamo
a riferire alcune opinioni "a caldo" seguite all'approvazione del
Trattato.
Noteremo anche che,
passata la polemica sulla Costituzione europea e tramontata (grazie
anche ad alcuni referendum che testimoniavano la sostanziale
insoddisfazione dei popoli europei verso questa forma di Europa), la
deriva verso un'ideologia sempre più ostile alla traduzione culturale
europea, e soprattutto verso le sue radici cristiane, si è consolidata
nel tempo, come appare anche da talune iniziative e posizioni prese in
tempi recenti. Si veda a questo proposito il lucido e preoccupato passaggio di M. Veneziani
riportato in calce.
Leggi l'editoriale
di Zetesis 1/2003, che affrontava questa stessa tematica
La vibrata reazione di
Giovanni Paolo II
CITTA' DEL VATICANO - "Non
si tagliano le radici dalle quali si è nati". Con forza e visibilmente
irato il Papa, parlando in polacco, ha criticato la non menzione delle
radici cristiane nella Costituzione europea.
"Ringrazio la Polonia - ha detto il Papa in polacco, salutando un
gruppo di suoi connazionali radunati in piazza san Pietro per l'Angelus
- che nelle istituzioni europee ha difeso fedelmente le radici
cristiane del nostro continente, dalle quali è cresciuta la cultura e
il progresso civile dei nostri tempi".
"Non si tagliano le radici dalle quali si è nati", ha concluso con
forza e accento esclamativo. Giovanni Paolo II sembrava parlare a
braccio.
(Notizia ANSA)
Niente radici cristiane nella Costituzione
Il rammarico di Giovanni Paolo II
"Non si tagliano le radici dalle quali si è nati". Lo dice in
polacco, alla fine della preghiera domenicale, improvvisando dalla
finestra di piazza san Pietro quando tutti non se l'aspettano più. Che
cosa pensasse Giovanni Paolo II di una costituzione europea mutilata
del riferimento alle radici cristiane dell'Europa era facile
immaginarlo. Due anni e mezzo di appelli e di lavorio diplomatico per
evitare la nascita di una Europa senz'anima, secondo la definizione di
Giovanni Paolo II, parlavano chiaro. E se non fossero bastati c'era
stato, a costituzione appena approvata, il commento del direttore della
sala stampa vaticana, Joaquim Navarro Valls, che aveva espresso il
rammarico della santa sede per l'opposizione di alcuni governi al
riconoscimento esplicito delle radici cristiane dell'Europa. Un dito
puntato contro Svezia, Finlandia, e gli ancor più colpevoli, perché
paesi di tradizione cattolica, Belgio e Francia. Si tratta - aveva
precisato Navarro - di un misconoscimento dell'evidenza storica e
dell'identità cristiana delle popolazioni europee. Insomma un errore
secondo il Vaticano, una miopia grave, appena mitigata
dall'apprezzamento per l'approvazione di un articolo, il 51, a favore
dello status delle chiese nelle differenti dimensioni nazionali. C’era
l'attesa di una parola diretta del Papa, ma Giovanni Paolo secondo ha
tirato dritto, parlando prima dei rifugiati e salutando poi i gruppi di
pellegrini presenti in piazza. Un silenzio pesante e già significativo.
Solo in polacco c'era ancora qualcosa da dire. Improvvisando a braccio
Giovanni Paolo II ha ringraziato la Polonia, capofila dei sette paesi
che non hanno risparmiato sforzi a favore del riconoscimento, per aver
difeso davanti alle istituzioni europee le radici cristiane del vecchio
continente. E lanciato il suo monito a tutti gli altri: Non si tagliano
le radici dalle quali si è nati.
(dal sito di Tg5)
Il documento ufficiale della Santa Sede
1) I mezzi di comunicazione sociale hanno riferito circa l'adozione per
consenso, a Bruxelles, del trattato costituzionale europeo, da parte
dei Capi di Stato o di Governo dei 25 Stati membri.
La Santa Sede esprime soddisfazione per questa nuova ed importante
tappa nel processo d'integrazione europea, sempre auspicata ed
incoraggiata dal Romano Pontefice.
2) È anche motivo di soddisfazione l'inserimento nel trattato della
disposizione che salvaguarda lo status delle confessioni religiose
negli Stati membri ed impegna l'Unione a mantenere con esse un dialogo
aperto, trasparente e regolare, riconoscendone l'identità ed il
contributo specifico.
3) La Santa Sede non può tuttavia non esprimere rammarico per
l'opposizione di alcuni Governi al riconoscimento esplicito delle
radici cristiane dell'Europa.
Si tratta di un misconoscimento dell'evidenza storica e dell'identità
cristiana delle popolazioni europee.
4) La Santa Sede esprime vivo apprezzamento e gratitudine a quei
Governi che, nella consapevolezza del passato e dell'orizzonte storico
in cui prende forma la nuova Europa, hanno lavorato per dare concreta
espressione alla sua riconosciuta eredità religiosa.
Né va dimenticato il forte impegno profuso da varie istanze per far
menzionare il patrimonio cristiano dell'Europa in tale trattato,
stimolando la riflessione dei responsabili politici, dei cittadini e
dell'opinione pubblica su una questione non secondaria nell'odierno
contesto nazionale, europeo e mondiale.
Dal Vaticano, 19 Giugno 2004
(dal Sito Ufficiale del Vaticano)
Il comunicato della
Presidenza della Conferenza Episcopale Polacca
Accogliamo questo fatto
[del mancato inserimento delle radici cristiane nel preambolo della
Costituzione europea] con sdegno come una falsificazione della verità
storica, una consapevole emarginazione del cristianesimo che per secoli
è stato e continua ad essere la religione di una parte decisiva degli
europei. Il laicismo ideologico che ha trovato la sua manifestazione
nelle prese di posizione di alcuni governi europei suscita la nostra
ferma opposizione e una proeccupazione per i destini futuri
dell'Europa. Di fronte a questa situazione esortiamo tutti gli uomini
di buona volontà a riflettere sul futuro di un'Europa costruita con
l'omissione dei valori fondamentali.
Alcune
affermazioni dell'allora Cardinale
Ratzinger (poi Papa Benedetto XVI)
Il Cardinale
Joseph Ratzinger si è detto contrario all'ingresso della Turchia
nell'Unione Europa. «Nella storia, la Turchia ha sempre rappresentato
un continente diverso, in permanente contrasto con l'Europa», ha
dichiarato il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede
in un'intervista al settimanale allegato a "Le Figaro". «Sarebbe un
errore rendere uguali i due continenti, significherebbe una perdita di
ricchezza, la scomparsa della cultura in favore dei benefici in campo
economico». Il cardinale è tornato poi a stigmatizzare il fatto che
nella Costituzione europea non si accenni alle radici cristiane del
Vecchio Continente. «Dovremmo continuare a discuterne», ha detto,
«perché credo che dietro all'opposizione» di alcuni paesi a inserire un
riferimento «si nasconda un odio che l'Europa ha verso sé stessa e la
sua grande storia».
(da Avvenire, 13 agosto
2004)
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L'opinione di alcuni
cristiani impegnati ...
... Giorgio Vittadini,
che ha creato la Compagnia delle Opere (vicina a CL) e ora è presidente
della Fondazione per la Sussidiarietà si spinge più in là: "Se ci sarà
il referendum voterò contro: il problema non è il preambolo, ma tutta
la Costituzione, voluta dalla massoneria internazionale e scritta da
quel nazionalista imperialista che è il presidente francese Chirac.
Perché non ha messo al centro l'uomo, ma solo i meccanismi che
consentono di conservare il potere a un gruppo ristretto".
Luigi Bobba
delle Acli insiste sul fatto che "l'affermazione dell'identità non è la
negazione del dialogo, anzi il suo presupposto". Che "non si tratta di
confessionalismo, ma solo di riconoscere la storia". (...)
Mario Marazzitti
ricorda che la "Comunità di Sant'Egidio ha più volte invitato a
considerare l'esplicito riferimento alle radice cristiane e alla
tragedia della Shoah, come a fatti decisivi per la Costituzione
europea". Ora però "sta a noi vivere in profondità quei valori
spirituali e umani a cui l'Europa non può rinunciare". Un appello
lanciato recentemente durante il meeting dei movimenti cristiani a
Stoccarda: cattolici, protestanti e ortodossi per la prima volta
insieme, proprio alla ricerca di "un'anima per l'Europa"
(Corriere della Sera, 21
giugno 2004)
... e quella di alcuni
musulmani che vivono in Italia
Khaled Fouad Allam,
professore di Islamistica all'Università di Trieste
Ma c'è anche qualcosa di più profondo, che ha segnato in modo
indelebile questo continente le cui frontiere culturali sono molteplici
ma in cui riconosciamo un'unica essenza, che difficilmente si riesce ad
elaborare razionalmente in modo univoco ma che è presente nel cuore più
profondo dell'essere europeo: la passione per la libertà - ovvero le
passioni democratiche – e il sentirsi partecipi di una storia comune,
che ha fatto del cristianesimo il punto focale intorno cui l'Europa si
è definita. È così che ci si commuove dinanzi a un Cristo di Cimabue o
ci si sente incantati dalle Madonne rinascimentali, che ci si sente
travolti all'ascolto di un mottetto di Bach o del Requiem di Mozart.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza quel debito. L'Europa è
debitrice verso il cristianesimo: perché, che lo voglia o no, esso le
ha dato forma, significato e valori. Rifiutare tutto ciò significa, per
l'Europa, negare se stessa.
La questione delle radici cristiane d'Europa, in un momento in cui
tutti parlano di eterogeneità delle culture e di multietnicità, suscita
altre problematiche: come accogliere l'altro se si nega se stessi? Come
saldare un patto fra le comunità umane se l'Europa rifiuta di
riconoscersi? Le radici affondano nella terra, dove incontrano e
incontreranno altre radici. Se le radici del cristianesimo affondano
nel mondo ebraico e in quello greco, oggi esso incontra l'islam, domani
l'Asia e l'Africa.
L'incontro è possibile soltanto se si è consapevoli delle proprie
radici. Pensare alle radici d'Europa significa pensare ai possibili, a
volte inediti, prolungamenti del continente. Oggi l'America, la Cina,
l'Africa ci interrogano, ognuna con le proprie radici fatte di dolore e
di speranza, mentre in terra d'Europa l'inquietudine ha già preso forma
e si sta diffondendo. L'Europa, faccia a faccia con se stessa, è ricca
di saperi ma restia ad accettarsi. Ma per me essa rappresenta l'albero
d'ulivo che nel Corano, al versetto 35 della Sura della Luce, è "né
d'oriente né d'occidente".
(dall'intervento riportato in www.emilianet.it)
Magdi Allam,
vicedirettore del "Corriere della Sera"
Cosa pensa un islamico della
richiesta di inserire le radici giudaico-cristiane nella Costituzione
europea?
“Posso dire ciò che penso
io, e credo sia un’opinione condivisa da chi desidera un’Europa forte
anche sul piano religioso. Sono favorevole, perché soltanto chi ha
un’identità forte e completa può aprirsi agli altri. Viceversa le
conseguenze sono negative per tutti. In Italia ad un islamico non viene
concessa la cittadinanza prima dei 18 anni, e diventare maggiorenne
potrebbe non bastare. Si determina così una smagliatura pericolosa
nell’identità di un individuo.”
(dall'intervista rilasciata
nel corso del Meeting per l'amicizia fra i Popoli del 2004 e pubblicata
su
Corriere Meeting; la conversione di Magdi Allam al Cristianesimo è
avvenuta in un momento successivo)
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Reazioni del mondo politico: il Presidente del
Senato Marcello Pera
"No, non è questa, non è
ancora questa l'Europa dei Padri. Quella era una comunità spirituale,
di valori, di civiltà. La nostra è una comunità di libero mercato,
entro i suoi confini, di sicurezza". Marcello Pera, partecipando a
Berlino a una conferenza sulle figure di Konrad Adenauer e Alcide De
Gasperi, avverte che "C'è ancora molto da fare" per arrivare a
quell'Europa che i Padri (il presidente del Senato cita anche Robert
Schuman) avevano in mente.
La seconda carica dello Stato parla nella sala plenaria del bundesrat
sottolineando i risultati ottenuti ma anche le mancanze dell'Unione
europea e ponendo come punto di riferimento soprattutto le intuizioni
di Alcide De Gasperi.
Marcello Pera ricorda come per De Gasperi "la vera funzione dell'Europa
non era militare, bensì politica, morale e spirituale". Per il
Presidente del Senato l'idea dell'Europa concepita dai "padri
fondatori" è quella di "un'Europa della civiltà cristiana. Cristiane,
sosteneva De Gasperi, sono le radici culturali dell'Europa" ricorda
Pera, "cristiana secondo De Gasperi è la democrazia", "cristiano,
infine, l'occidente, compresa l'America" aggiunge il Presidente del
Senato, che parla di un'Europa così come immaginata da De Gasperi,
Adenauer e Schuman "cristiana, ma non monolitica" in quanto "non esiste
un pensiero dominante", non il liberalismo - sostiene il Presidente del
Senato ricordando ancora le parole di De Gasperi -, non il socialismo e
neppure il cristianesimo.
La seconda carica dello Stato si pone, quindi una domanda: "questa
nuova Europa, per cui De Gasperi si batté fino all'ultimo, è la stessa
che abbiamo realizzato?". La risposta è affermativa se si considera
"che i nostri governi hanno sottoscritto un trattato costituzionale
europeo. Ma se si guarda piu' a fondo - dice Pera - dobbiamo avere la
forza e il coraggio di dire che le cose non stanno esattamente così".
Per il Presidente del Senato "i padri avevano in mente l'Europa come
'unica comunità di sicurezza', con un solo esercito, la situazione -
continua - ancor oggi è del tutto diversa. Né in politica estera, né
nella politica di difesa l'Europa parla con una sola voce e intende
farlo, come da ultimo mostrano anche le divergenze sulla riforma
dell'Onu".
La seconda carica dello stato sottolinea come "i padri avevano in mente
l'Europa come 'unica comunità politica'.
Ancor oggi non è così. La nostra Europa - riflette il presidente del
Senato - è un grande spazio economico, ma resta divisa su questioni
fondamentali, mentre riaffiorano divergenze anche fra i sei paesi
fondatori, nascono alcune tentazioni egemoniche, si manifestano
perplessità sull'allargamento e, oggi come 50 anni fa, c'è ancora il
timore che il trattato costituzionale non venga ratificato da tutti i
paesi".
Marcello Pera inoltre osserva come "i Padri avevano in mente un'Europa
Federale e identitaria. Le desolanti polemiche, prima, e il rifiuto,
poi, del richiamo alle radici cristiane nel preambolo del trattato
indicano che siamo ancora lontani da questo obiettivo". Infine - dice
Pera - De Gasperi, Adenauer e Schuman "avevano in mente un'Europa come
parte della stessa 'civiltà euro-atlantica'".
(Notizia AGI)
Reazioni dal mondo
politico: Alleanza Nazionale
Roma. "Un grave tributo è stato pagato alle culture solo esclusivamente
illuministiche omettendo nel preambolo della costituzione il
riconoscimento dovuto e storico delle radici cristiane dell'Europa". Lo
afferma Roberto Salerno, senatore di An, che si associa al rammarico
del vice presidente del Consiglio Fini e di altri colleghi di partito
di Alleanza nazionale che "non hanno visto il giusto premio ai tanti
sforzi compiuti affinché questo riconoscimento fosse inserito". "Grave
quindi il mancato riconoscimento anche in termini culturali -conclude-
Auspico infine che vi sia ancora nel tempo l'occasione di porre rimedio"
(Notizie Adnkronos)
Reazioni dal mondo
politico: il ministro degli esteri Frattini
Tornando alle «radici
cristiane», il Vaticano ha «espresso rammarico»...
«E’ anche il nostro. Perché noi, più di altri Paesi, ci siamo
battuti fino all’ultimo per cambiare il testo del preambolo. La nostra
proposta in extremis era quella di aggiungere due sole parole: "notamment chrétienne
", "in particolare cristiana", subito dopo il passaggio che
richiama "l’eredità religiosa". Ma abbiamo incontrato un’opposizione
pregiudiziale che risponde a una concezione di laicismo invalicabile.
Belgio, Francia, Finlandia ci hanno fatto sapere che in nessun caso si
poteva accettare la nostra idea, salvo mettere a rischio l’esistenza
stessa del preambolo».
(Corriere della Sera, 20 giugno 2004)
Reazioni dal mondo politico: il ministro Buttiglione
"Un'Europa che non sa dire una parola forte sulla propria identità è
un'Europa che è ancora alla ricerca di se stessa. Nei paesi dell'Est,
la battaglia contro il comunismo e per la libertà è stata
contemporaneamente una battaglia per l'Europa ed una battaglia per
l'identità cristiana della propria nazione e dell'intero continente.
Questa Europa, che deve tanto alla predicazione di Giovanni Paolo II,
non è stata capace di raccogliere questa eredità e di proporla al mondo
come segno di speranza. In questo è l'incompiutezza del cammino". Così
il ministro per le politiche comunitarie, Rocco Buttiglione, in
un'intervista a Radio Vaticana commentando il via libera alla
Costituzione europea venuto ieri da Bruxelles.
Per Buttiglione, quel mancato riconoscimento non deve pero' significare
la fine, tutt'altro: "Noi dobbiamo guardare a questo con serenità.
Questo non è il punto di arrivo del processo storico dell'unificazione
europea, ci saranno altre tappe". Piu' in generale, il ministro delle
politiche comunitarie ritiene che la Costituzione Ue così com'è stata
definita "è un buon compromesso. Rimane, infatti, un carattere
costituzionale. Non ci si è allontanati troppo dal risultato della
Convenzione, quindi non è un semplice trattato fra gli stati. È un
documento che unisce i popoli con un patto fra cittadini, perche' è
stato redatto dai rappresentanti dei cittadini".
Quanto al sistema di voto adottato, Buttiglione sottolinea
nell'intervista a Radio Vaticana che esso "corrisponde allo stato
attuale della situazione. In molti casi è un compromesso migliorabile,
nel senso che c'è la possibilità, attraverso delle cosiddette
passerelle, di passare da questo sistema ad un sistema piu' efficace.
Il passaggio pero' va deciso sulla base di un accordo unanime dei
partecipanti. Fa parte della natura di questo lavoro che prosegue, che
non è terminato, di cui questa Costituzione certamente rappresenta un
passo in avanti, un passo positivo, ma se ci si fermasse qui non
sarebbe sufficiente".
(da www.agi.it)
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C'è chi si accontenta...
BRUXELLES - Nel preambolo
del Trattato costituzionale europeo non è stato inserito il riferimento
alle radici cristiane, nonostante le ripetute richieste di Italia,
Polonia e altri cinque paesi. Il testo definitivo è così quello
proposto dalla presidenza irlandese, da cui scompare anche la
definizione di democrazia dello storico greco Tucidide.
Nel primo paragrafo del testo finale -ampiamente rimaneggiato rispetto
a quello che era uscito dalla Convenzione- compare pero' un riferimento
"all'eredità culturale, religiosa ed umanistica dell'Europa". Romano
Prodi, presidente uscente della Commissione Ue, ha fatto osservare che
il preambolo contiene "il riconoscimento delle grandi radici religiose
e culturali dell'Unione"; e poi c'è l'art. 51 che "riconosce i diritti
delle Chiese e il dialogo strutturale fra le istituzioni europee e le
Chiese". Secondo Prodi proprio l'art. 51 "è una parte fondamentale
della Costituzione" e il risultato raggiunto "è serio, forte, anche se
non è esattamente quello che avevo auspicato e sostenuto".
(Notizia ANSA)
... e c'è persino chi si
entusiasma
L'approvazione della
Costituzione è "un passo importantissimo" per la vita dell'Unione
europea. Lo ha sottolineato il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino
che, parlando con i giornalisti nel corso dell'inaugurazione della
Fiera della Casa, ha fatto un parallelo tra la nostra Magna carta e
quella europea. "I valori della nostra Costituzione - ha detto - sono
ancora non soltanto capaci di governare l'attualità, ma anche di
segnare una prospettiva per il paese. Se la nuova Costituzione europea
sarà, come si avvia ad essere, all'altezza dei valori di pace, di
solidarietà e di integrazione tra i popoli, significherà l'inizio di un
periodo di pace e di sviluppo che spero non si arresti mai".
(Notizia AGI)
E ancora: da un
editoriale di Ernesto Galli della Loggia
...Tra il cristianesimo
cattolico e i principi in cui si riconosce l' Europa come istituzione
esiste una incompatibilità sostanziale. Ma non è solo questione del
cattolicesimo, si badi: fino a prova contraria, infatti,
disapprovazione dell'omosessualità e concezione bisessuale del
matrimonio sono comuni anche all' ebraismo e all' islamismo. I
Saint-Just in sedicesimo di Bruxelles hanno dunque messo al bando d' un
sol colpo né più né meno i tratti fondamentali dell' antropologia dell'
intero monoteismo. È questa la conclusione - non so se più ridicola o
agghiacciante - dell' incontrastata egemonia, culturale prima che
politica, che nel nostro Continente è sul punto di arridere ormai all'
ideologia del politicamente corretto. Ciò vale particolarmente per la
socialdemocrazia e per la sinistra in genere. Svaniti nell' ultimo
trentennio tutti i suoi tradizionali punti di riferimento (la
centralità operaia e sindacale, il maestoso welfare di un tempo, lo
statalismo, perfino il comunismo), essa si ritrova sospinta dallo
spirito dei tempi tra i due fuochi dell' individualismo libertario da
un lato e del radicalismo movimentista dall' altro. A collegare i due,
l' ideologia per l' appunto del politicamente corretto. L' ideologia
cioè dell' obbligatorio e generale relativismo dei valori e della
conseguente accusa di intolleranza per chi obietta, della radicale
delegittimazione per ciò che riguarda i comportamenti personali di ogni
vincolo rappresentato dalla storia e dal passato culturale, la
tendenziale riduzione a «diritto» di ogni inclinazione o scelta
individuali.
(Corriere della sera, 13
ottobre 2004)
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La scristianizzazione
dell'Europa
... e da un editoriale
di Angelo Panebianco
La scristianizzazione dell'
Europa è un fatto. La testimoniano, in giro per l' Europa, i dati sulla
frequenza alle funzioni e le inchieste sulle credenze e gli
atteggiamenti morali. La prova definitiva del radicamento di un
maggioritario pregiudizio anticristiano è stata data dal rifiuto di
inserire un riferimento alle radici cristiane nel preambolo identitario
del trattato costituzionale europeo. A parte le Chiese cristiane, quasi
nessuno protestò. (...) Perché in nome dei suoi (nuovi) pregiudizi
l'Europa arrivò al punto di cancellare una storia bimillenaria e di
fingersi nata ieri (con l' illuminismo e la rivoluzione francesi).
Senza comprendere che rinnegare la propria storia significa negarsi
anche una credibile identità. La laicità delle istituzioni europee non
sarebbe stata compromessa da quel riferimento ma sarebbe stata
rispettata la verità storica. Senza la quale non ci può mai essere
alcuna seria pretesa di identità. (...) Resta però un interessante
paradosso. E riguarda proprio i temi dell' omosessualità e della
famiglia. Il diffuso pregiudizio anticristiano vieta ai cattolici di
dichiararsi solidali con le posizioni della propria Chiesa su questi
temi. Nel frattempo, si è ormai accasato in Europa un islam militante
che su omosessualità, donne e famiglia dice cose terribili. Cose che la
Chiesa non sostiene più da tanto tempo. Ma l'Europa, in questo caso,
finge di non sentire. Scherzi (atroci) del relativismo culturale.
(Corriere della Sera, 16
ottobre 2004)
Dall'intervista a una nota studiosa, Marta Sordi
Sguardi di ammirazione e di
stupore si sono colti fra i politici dell'intero continente convenuti
sul Campidoglio per la storica firma del Trattato. Forse qualcuno tra
quelli dell'Est vedevano Roma per la prima volta; ma più d'uno non può
che aver sentito di essere proprio sopra le radici d'Europa. Hanno
firmato sotto lo sguardo di due grandi Papi in bronzo, rinascimentali,
su quel colle dove sorgeva il tempio arcaico di Giove Capitolino, cuore
della romanità; dove Marco Aurelio filosofo e imperatore è ancora lì a
cavallo; dove si affaccia la chiesa romanica di Santa Maria in Ara
Pacis; e la piazzetta nitida è di Michelangelo, la cui arte è satura
delle forme di Roma antica. Altro che «radici»: è un vecchio tronco di
tremila anni, ricco di innesti, e ancora vivo.
Radici romane o radici cristiane? Lo chiedo a Marta Sordi, la
storica della Romanità. E lei, pronta:
«Non c'è contraddizione: c'è innesto e reciproca, cordiale
integrazione. Si ricordi che Roma è già 'cattolica' prima di diventare
cristiana».
In che senso?
Nel senso letterale: "cattolico" vuol dire universale, e l'antica Roma
fu proprio questo, l'integrazione di ogni popolo entro il diritto
universale. E' quel che distingue Roma dai Greci: per questi l'unità
che contava era, come dice Erodoto, essere dello stesso sangue, lingua,
costumi...
L'unità etnica.
Roma invece, dice Sallustio, fa di popoli diversi per sangue lingua e
costumi una concordis civitas. E quando i notabili della Gallia
Comata vengono ammessi come senatori, Tacito sottolinea con quale
prontezza Roma fa dei cittadini di quelli che erano fino a ieri nemici.
Roma è il solo spazio antico dove uno schiavo, un prigioniero di
guerra, può essere liberato e diventare cittadino, anzi magistrato.
Rutilio Namaziano, un gallo pagano, potrà cantare le lodi di Roma ormai
al tramonto con le celebri parole: fecisti patriam diversis
gentibus unam, hai reso una sola patria etnie diverse.
Per questo la Chiesa si dice Romana? Per questa tensione generosa ad
integrare?
San Paolo dice che con Cristo "non c'è più né giudeo né greco". Non
avrebbe potuto dire, e nemmeno pensare, "non più giudeo né romano",
perché "giudeo" è un'etnia, e "romano" è un fatto giuridico, una
cittadinanza. Un cristiano non cessa di essere romano, anzi.
Anzi?
Sant'Ambrogio rivendica con orgoglio la "fides" di Attilio Regolo,
il valore di Camillo e degli Scipioni: insomma accetta tutta la
tradizione politico-militare romana, pur rigettandone la religione. In
questo, però, è molto romano: anche Polibio notava come i romani siano
pronti ad accettare cose nuove, se le giudicano buone. Colpiva i greci
come i romani fossero insieme i più tradizionalisti e i più innovatori
del mondo antico.
Dice Rémy Brague, un arabista della Sorbona, che la forza di Roma
stava nel riconoscersi «seconda». Potenza mondiale, si riconosce alunna
dei greci. La Chiesa è anch'essa una religione che in un certo modo si
sa «seconda»: riconosce di derivare dall'ebraismo. Secondo Brague,
questa è la differenza con l'islam. L'islam è la radice di se stesso,
Roma e la Chiesa, invece, si sanno nate da altre radici che vanno
continuamente a rinnovare, a recuperare...
«Per questo è assurdo che l'Europa rifiuti le radici cristiane: perché
rifiuta con ciò le radici romane e greche, ossia umane.
Umane?
Il concetto di Humanitas è centrale in Roma, e in
Occidente. Roma riconosce un «diritto delle genti», non scritto ma
valido per l'intera umanità. È significativo che San Paolo, che innesta
consapevolmente la piccola nascente comunità ebraica di Cristo nel
tronco di Roma, lo fa aderendo al diritto romano. Il cristianesimo non
ha una sharia, come l'islam, ha un diritto che viene da Roma ed è
«umano». Non si legge nei testi sacri, ma si decide nei tribunali,
secondo equità e ragione. Ciò, fra l'altro, esclude ogni integralismo.
(dall'intervista di
Maurizio Blondet a Marta Sordi, Avvenire 30 ottobre 2004.
Clicca qui per leggere l'intervista nella sua
integralità)
E l'approvazione di un
noto opinionista, Paolo Mieli
In occasione della firma a Roma del trattato costituzionale europeo,
lei, caro Mieli, ha scritto che l' Europa ha un grande problema con la
propria storia. Tra le righe mi è parso che lei si riferisse alla
questione del mancato inserimento in quella carta delle radici giudaico
cristiane.
Francesco Mengoni Ascoli Piceno
Caro signor Mengoni, perché
quell' omaggio - ma sarebbe più giusto definirlo riconoscimento - è a
Roma più che alla Chiesa. In un' intervista di qualche giorno fa ad
Avvenire, la grande studiosa dell'antichità greca e romana Marta Sordi,
ha spiegato che l'Europa quando respinge le radici cristiane, non
rifiuta una fede, ma Roma ossia l'humanitas, la ragione, la
natura. Ricordava poi, la stessa Marta Sordi, che l' esercito romano
non fu mai l'orda di Gengis Khan, la mera violenza, ma la sentinella
armata dello spazio giuridico che creava. E vi chiamava tutti i popoli,
con un' enorme apertura politica e culturale che è passata alla
Chiesa». (...). «Roma», è stata la conclusione di Marta Sordi, «non
avrebbe avuto problemi a far diventare "romani" i turchi; ma noi, senza
radici, come faremo a integrare popoli così diversi?» Sono parole che,
pur essendo io in ogni caso favorevole all' ingresso della Turchia
nell'Unione europea, mi hanno indotto a qualche riflessione. E mi sono
domandato se l'aver trascurato questi temi non sia imputabile a quel
conformismo del nuovismo europeista che rischia di portare fuori strada
anche chi all'Europa ci crede davvero. All' indomani delle elezioni
europee, su queste colonne Ernesto Galli della Loggia ha ricordato come
da anni giornalisti e grand commis da tempo in area di
parcheggio, accademici a caccia di incarichi e politici ambiziosi
girano di convegno in convegno, di seminario in seminario, alimentando
incessantemente la sempre medesima retorica della costruzione europea e
dei suoi problemi, buona soltanto a scrivere papers e libri
che nessuno legge e a impedire a chiunque altro di pensare qualcosa.
«Bisogna spezzare questo circolo vizioso», aggiunse, «fare entrare aria
nuova, riconoscere gli errori commessi, cambiare uomini e regole. Con
il passare degli anni l' europeismo è diventato una professione, spesso
lucrosa: è necessario che torni a essere quella scommessa politica e
quel rischio intellettuale che esso fu nella sua stagione più degna».
Sono d' accordo con lui e - al di là della questione delle radici
cristiane - tra gli errori commessi ritengo che il primo sia stato
quello di non aver messo in evidenza il rapporto che ci deve essere tra
il nostro passato e il nostro futuro.
(Corriere della sera, 4 novembre 2004)
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L'opinione di un altro
noto studioso: Gianfranco Morra
Niente riferimenti al
Cristianesimo nella Costituzione dell'Unione Europea. Eppure essa prese
le mosse dall'opera di tre politici (demo)cristiani: Konrad Adenauer,
Robert Schuman e Alcide De Gasperi. E, ancor più, non v'è storico delle
civiltà, cattolico o laico che sia, che non riconosca nel Cristianesimo
la principale forza fondativa dell'Europa, senza con ciò sottovalutare
né Grecia né Roma e neppure il ruolo, peraltro minore, dei popoli
barbarici e dello stesso Islam. Tanto che per tutto il medioevo la
stessa parola "Europa" scompare, sostituita dalla coincidente
"Christianitas" o "Respublica Christiana". Diciamo con Federico Chabod:
«(...) Il cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di
pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c'è fra
noi e gli antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un
contemporaneo di Pericle e di Augusto, è proprio dovuta a questo gran
fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il
verbo cristiano. Anche i cosiddetti "liberi pensatori", anche gli
"anticlericali" non possono sfuggire a questa sorte comune dello
spirito europeo» (Storia dell'idea d'Europa, 1943-44, Laterza,
Bari, 1964).
Preoccupato primariamente di problemi economici, tecnologici e
politici, volto ad estendere a tutte le nozioni europee il nichilismo e
l'indifferentismo etico, il parlamento di Strasburgo ha dimenticato che
ogni paese in esso rappresentato è nato culturalmente dalla diffusione
del messaggio cristiano - un'antropologia del tutto diversa da quelle
di altre aree culturali, che ha trasformato un piccolo spazio
geografico, una "appendice dell'immensa Asia", in qualcosa di
originale, distinto da ogni altra parte del mondo, una civiltà, un
"modo di essere", una "individualità storica" caratterizzata da un
originale modo di sentire, di pensare e di agire, da sistemi filosofici
e politici inconfondibili, da «tradizioni memorie speranze; è l'eredità
dei padri - ricorda ancora Chabod -, antica ormai di millenni».
È interessante notare che non soltanto filosofi e storici, come appunto
Croce e Chabod, hanno sottolineato l'eidos inconfondibilmente cristiano
dell'Europa, ma anche letterati e poeti. (...)
(Da L'Europa nel segno di
Vienna, Il Domenicale, anno 3, numero 46, sabato 13 novembre 2004)
Un intervento
chiarificatore di Padre Piero Gheddo
Caro Romano, per capire le
«radici cristiane» dell'Europa, non serve notare, come lei fa, che ci
sono molte Chiese cristiane, che i Papi hanno sbagliato, che l'identità
originaria è stata spesso modificata da guerre, commerci, scambi umani
e culturali; e nessuno pensa di «cancellare dalla storia d'Europa tutto
ciò che è stato fatto contro la Chiesa o a dispetto della sua volontà».
Si parla di «radici», non di «storia» dell'Europa. Le differenze si
vedono dal confronto fra le civiltà diverse: i missionari le conoscono
bene. Lei richiama «la gloriosa rivoluzione inglese, la grande
rivoluzione francese, il suffragio universale, il voto alle donne».
Ma da dove vengono queste
rivoluzioni che hanno portato allo «sviluppo moderno» nell'Occidente
cristiano o cristianizzato? Dall'affermarsi di quei principi della
Bibbia e del Vangelo (assenti nelle altre religioni e culture) che
stanno alla base della nostra civiltà: l'uomo creato da Dio a sua
immagine e con dignità superiore a quella degli animali, l'uguaglianza
di tutti gli uomini, la famiglia monogamica, l'autorità come servizio
al popolo, l'amore e il perdono delle offese, la nobiltà del lavoro
anche manuale come contributo all'opera della creazione, il senso del
futuro e del progresso (noi siamo una «civiltà progressista»; altre
«civiltà conservatrici» o «circolari», come dicono gli studiosi di
civiltà). Nehru, nella sua «Autobiografia» (del 1946), si chiede perché
l'India, con 5.000 anni di grande civiltà, ha dovuto attendere
l'Inghilterra del sec. XIX per avere tutto quel che è «mondo moderno»:
libertà di pensiero e di stampa, elezioni, giustizia sociale, eccetera.
La differenza vitale era
questa: in Europa forze invisibili ribollivano all'interno delle sue
masse facendole continuamente evolvere. In India invece la natura
statica della società indiana rifiutava di evolversi». Se non è dalle
«radici ebraico-cristiane», come si può spiegare, senza cadere nel
razzismo, il fatto che la Carta dei Diritti dell'Uomo e il «mondo
moderno» sono nati in Europa?
...e la risposta di
Sergio Romano
Approfitto della sua lettera per ripetere che
non ho mai negato l'importanza della cristianità nella storia europea.
Credo tuttavia che a nessuna istituzione, nell'ambito della società di
uno Stato laico, debba essere riconosciuto il diritto di stabilire ciò
che è o non è cristiano. E temo che questo sarebbe accaduto se i membri
della Convenzione avessero accolto la richiesta della Santa Sede.
(Corriere della Sera, 16 settembre 2005)
La posizione
della Chiesa ortodossa
La posizione della Chiesa
ortodossa
Nel maggio 2006 Alessio
II, patriarca di tutte le Russie, concede un'intervista all'Agenzia
Ansa in cui, oltre a considerazioni molto positive sulla figura e
sull'operato di Papa Benedetto XVI, fa anche alcune considerazioni
sulla tradizione cristiana dell'Europa. Leggiamo tra l'altro:
Il
destino (dell'Europa) "è indissolubilmente legato al Cristianesimo, la
cui cultura si è nutrita nel tempo, e in modo organico, di valori
cristiani. Le scoperte scientifiche, quelle tecnologiche così come i
capolavori artistici parlano proprio di questo legame. Conquiste che
sono state possibili col contributo di molte generazioni di europei che
hanno professato la fede cristiana''. Un presupposto che si scontra con
una "civiltà europea che fa riferimento sempre più ad altro, ad
autorità non cristiane e questo non può che allarmare". Alessio II cita
nichilismo, decadimento morale, ma anche secolarizzazione. ''Stato
laico - dice - non vuol dire marginalizzare la religione dalla vita
pubblica della società'', perché ''una società senza spiritualità è
anche una società senza futuro".
L'incontro
"Ridare un'anima all'Europa"
Che
quella delle radici cristiane del continente sia una preoccupazione
condivisa dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa è mostrato
anche dal convegno congiunto "Ridare un'anima all'Europa". Così
leggiamo nelle agenzie di stampa:
"Ridare
un'anima all'Europa" è il tema dell'Incontro Europeo di cultura
cristiana, che si è tenuto a Vienna (Austria), dal 3 al 5 maggio 2006,
organizzato congiuntamente per la prima volta da un organismo della
Santa Sede e dal Patriarcato di Mosca. In occasione dell'Incontro, il
Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, ha fatto pervenire, a
nome del Santo Padre, un Messaggio ai partecipanti nel quale sottolinea
che: "La Chiesa, 'esperta in umanità', non cessa di ribadire che solo
conservando e valorizzando appieno il patrimonio valoriale trasmesso
dagli antenati, l'Europa, nel rispetto delle diverse tradizioni
spirituali che la arricchiscono, può scrivere una nuova pagina della
sua storia, rispettando la dignità dell'uomo e bandendo definitivamente
abusi e violenze contro i diritti umani, perchè ciò ostacola gravemente
lo sviluppo integrale delle Nazioni, inquina il cuore dell'uomo e lede
grandemente l'onore del Creatore".
In un Comunicato reso pubblico ieri si legge: "Questo incontro, frutto
della visita del Cardinale Poupard a Sua Santità Alessio II, Patriarca
di Mosca, nel novembre 2004, è nato dalla comune preoccupazione fra i
cristiani in Europa di far fronte all'attuale processo di perdita di
identità del Continente, di riflettere sulle radici cristiane
dell'Europa e di proporre con forza un progetto di futuro. La cultura
si rivela così, secondo l'intuizione di Giovanni Paolo II nel fondare
il Pontificio Consiglio della Cultura, un terreno comune di dialogo tra
i cristiani di diverse confessioni". L'Incontro, reso possibile dal
sostegno della Fondazione 'Pro Oriente', che ha sede a Vienna, sarà
co-presieduto dal Cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura e dal Metropolita Kirill, di Smolensk e
Kaliningrad, Presidente del Dipartimento per i Rapporti Esteri del
Patriarcato di Mosca. All'Incontro parteciperanno esperti di tutto il
continente, laici e religiosi, scelti congiuntamente dai due organismi
convocanti. Fra i temi che saranno esaminati nei tre giorni
dell'Incontro: Europa: le Chiese davanti alle sfide della
globalizzazione e della modernità, delle sette e delle nuove forme di
non credenza e di indifferenza religiosa; L'influenza dell'etica
cristiana in politica, economia e nei mezzi di comunicazione; Il
dialogo delle Chiese con le altre religioni e l'umanesimo delle culture
secolarizzate.
(http://www.europacristiana.it/news_leggi.asp?id=9215)
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L'opinione
del filosofo inglese Roger Scruton
Leggete la proposta di
Costituzione Europea. In nessun punto parla della religione
dell'Europa, delle glorie o delle imprese del passato europeo o della
grande cultura che il nostro continente ha saputo produrre. (...)
Questo documento non è altro che un sistematico rinnegamento del
passato europeo (...) Il Trattato Costituzionale Europeo ci ricorda che
un gran numero di europei, compresi coloro che hanno preso il controllo
del continente, non ha alcun autentico affetto per la cultura europea.
Considerano come il frutto di una semplice casualità il fatto di vivere
sullo stesso continente in cuis ono vissuti Dante, Shakesapeare,
Mozart, di abitare in città dominate da grandi cattedrali e di essere
protetti da uno stato di diritto che deriva dal codice dell'imperatore
Giustiniano e dalla common law delle tribù sassoni. Anziché
affermare la nostra paternità di queste cose e di considerarle come la
chiave della nostra identità condivisa e del nostro destino comune, ci
viene chiesto di "diversificare", invocando un approccio
"multiculturale" su ogni questione di decisiva importanza culturale.
Molti in realtà hanno un atteggiamento di aperta ostilità nei confronti
dell'eredità europea, sono aggressivamente anticristiani e sostengono
un approccio "postmoderno" che rifiuta ogni tentativo di raggiungere un
consenso culturale. (...) Oggi in Europa non esiste più quasi nessuna
scuola pubblica nella quale si insegnino la cultura e l'eredità
dell'Europa. Il nostro programma di studi è fondato sull'insicurezza e
ci tropviamo con una cultura sull'orlo del suicidio.
(da "Tempi",
1 giugno 2006: dal testo delle conferenze Quo vadis Europa? Quo
vadis Italia?
tenute dal filosofo inglese R. Scruton a Milano e Roma rispettivamente
nei giorni 29 e 31 maggio 2006)
Qualche
segno iniziale di pentimento?
Poettering rilancia le
radici cristiane dell’Europa
Merkel, Barroso e il neo-presidente dell’Europarlamento Poettering -
ieri all’atto di insediamento - tornano a rilanciare la necessità di
dare una carta costituzionale all’Europa.
La Bundeskanzlerin pone il traguardo per i primi mesi del 2009 per
sciogliere l’impasse e nel suo entourage si fa capire che la presidenza
semestrale tedesca, più che al 50° anniversario della Ue che verrà
celebrato a Berlino il 25 marzo, è a dopo il 14 maggio delle elezioni
francesi che guarda, come momento in cui verranno lanciate le ipotesi
di lavoro.
Il presidente portoghese della commissione, a sua volta, invoca il
«senso di responsabilità» dei capi di Stato e di governo: vero che non
si può riesumare il vecchio testo bocciato da francesi e olandesi, ma
«tutti hanno firmato a Roma» quel solenne impegno e ora non possono far
finta di niente.
Stessa analisi da parte di Hans Gert Poettering, eurodeputato della Cdu
tedesca fin dalla prima legislatura, che è riuscito a scalare il
gradino più alto dell’istituzione. Rileva che nessuno si sogna di
contestare i risultati dei referendum, ma sottolinea pure che in 27
hanno firmato quel trattato. E che i patti devono essere rispettati.
Una punzecchiatura secca per chi - inglesi e polacchi in primo luogo -
han già fatto sapere informalmente che al varo di una nuova carta non
ci pensano per nulla. Seguita poi da una novità di non poco conto che
ai più forse è sfuggita. Rilevata la necessità di armonizzare
maggiormente culture e religioni che si ritrovano in Europa, Poettering
racconta che nel corso dei suoi viaggi in Paesi arabi molto spesso gli
è stato chiesto come i musulmani vivono in Europa.
Potendo rispondere che forse non sono ancora del tutto integrati, ma
comunque possono praticare il loro credo in moschee e in diversi luoghi
di culto. Ma di aver trovato invece solo silenzi imbarazzati quando era
lui a chiedere se fosse vero che nei Paesi arabi è prevista la pena di
morte per chi si convertisse al cristianesimo.
I socialisti europei, larghi di applausi fino a quel momento con
Poettering, si son guardati bene a quel punto dal battere le mani.
Forse tra i pochi ad accorgersi che nelle sue parole c’era - manco
troppo sottotraccia - un richiamo al discorso di Ratisbona di papa
Ratzinger, visto che a parlare di un Islam omicida contro i convertiti
sarebbe stato sempre quel Emanuele II° Paleologo, citato all’epoca dal
pontefice tedesco.
Che Poettering possa richiamarsi al Papa è da metter di conto, visto
che i Popolari non nascondono lo speciale rapporto con la chiesa
cattolica.
Ma dietro le sue parole - stando al vicepresidente dell’Europarlamento
Mario Mauro - potrebbe anche esserci dell’altro: a partire dalla
riproposizione delle «radici cristiane» dell’Europa. Gettate fuori
dalla porta europea da Chirac, potrebbero esser riproposte dalla
finestra aperta di Sarkozy, se fosse eletto all’Eliseo.
(...)
Carne al fuoco insomma,
comincia a essercene. Tutto resta però indissolubilmente legato
all’esito delle presidenziali francesi.
di
Alessandro M. Caprettini, "il Giornale", 14 febbraio 2007
Il forte appello di
Papa Francesco
Un forte appello al
recupero delle radici culturali europee, che hanno nella continua
apertura al trascendente uno degli elementi forti che le
caratterizzano, è stato fatto anche da Papa Francesco nel discorso
pronunziato davanti al Parlamento Europeo (25 novembre 2014)
Come dunque ridare speranza
al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la
fiducia per perseguire il grande ideale di un’Europa unita e in pace,
creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei
propri doveri?Per rispondere a questa domanda, permettetemi di
ricorrere a un’immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che
si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene.
Al suo centro vi sono
Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’alto,
verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo
tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà
concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua
storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo
indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre
contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità
pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell’Europa
dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due
elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione
trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere
la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e
difende.
Proprio a partire dalla
necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la
centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei
poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il
patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione
socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che
intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non
costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza
delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano
gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la
sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul
rispetto della dignità della persona.
Sull'argomento Papa
Francesco è ritornato il 5 maggio 2016, in occasione della consegna del
Premio Carlo Magno. Il Papa si rivolge all'"Europa umanistica",
insistendo sulla necessità di un recupero della memoria storica, nella
cui anima è inscritta la capacità di porsi in dialogo con altre culture.
Che cosa ti è successo,
Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e
della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi,
artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di
popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo
difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?
Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti,
diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. E’
necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per
ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci
permetterà di non commettere gli stessi errori del passato (cfr Esort.
ap. Evangelii gaudium, 108), ma ci darà accesso a quelle acquisizioni
che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli
incroci storici che andavano incontrando. La trasfusione della memoria
ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare
in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero
produrre «una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non
costruiscono la pienezza umana» (ibid., 224).
A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi
seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato
dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare
l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che
provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni
multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni.
Erich Przywara, nella sua magnifica opera L’idea di Europa, ci
sfida a pensare la città come un luogo di convivenza tra varie istanze
e livelli. Egli conosceva quella tendenza riduzionistica che abita in
ogni tentativo di pensare e sognare il tessuto sociale. La bellezza
radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite
a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili,
di visioni. Basta guardare l’inestimabile patrimonio culturale di Roma
per confermare ancora una volta che la ricchezza e il valore di un
popolo si radica proprio nel saper articolare tutti questi livelli in
una sana convivenza. I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti,
lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele
povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza,
ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e
brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità.
Questa trasfusione della
memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio
il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con
determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa
capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la
capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di
generare.
(...)
Le radici dei nostri
popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della
sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più
diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è
sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale.
L’attività politica sa di avere tra le mani questo lavoro fondamentale
e non rinviabile. Sappiamo che «il tutto è più delle parti, e anche
della loro semplice somma», per cui si dovrà sempre lavorare per
«allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà
benefici a tutti noi» (Esort. ap.
Evangelii gaudium, 235). Siamo invitati a promuovere
un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le
cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può
mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità
perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città –
possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando
che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida
è una forte integrazione culturale.
In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la
tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in
“colonizzazioni ideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza
dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta
degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di
nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue
infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di
varie culture e la bellezza di vincere le chiusure. Senza questa
capacità di integrazione le parole pronunciate da Konrad Adenauer nel
passato risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Il futuro
dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto
dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del
sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla
responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io»
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La censura di Tucidide
Nella
sua prima stesura la Costituzione Eruropea si rifaceva nel preambolo
alla definizione di democrazia che Tucidide inserisce nel II libro
della sua opera (nella cd. demegoria di Pericle). Successivamente si è
deciso di eliminare questo riferimento. A proposito di questa decisione
così si esprimeva G. Morandi in un intervento ospitato su un forum di
Internet
E così
Tucidide l’ateniese è uscito dalla Costituzione europea (era citato nel
penultimo preambolo, è scomparso nell’ultimo) non per eccesso di
vetustà semmai, viene il sospetto, per il suo contrario, perché il suo
nome avrebbe potuto creare imbarazzi non solo per le allusioni al
passato prossimo ma più ancora per quelle al presente.
E’ singolare il percorso che ha fatto la censura dei compromessi, che
non ha aggiunto nulla al testo di dicembre ma lo ha amputato di parti,
che se lette in successione hanno un loro significato, perché fanno
riferimento ai temi del grande duello tra Atene e Sparta, tra società
aperta e totalitarismo, tra democrazia - non è forse una parola mutuata
dal greco antico? - e oligarchia.
(...) Viene il sospetto che le censure dei compromessi abbiamo seguìto
il criterio della troppa attualità piuttosto che quello dell’eccesso di
storia antica. E’ vero, ricordare, soprattutto se si è inclini
all’oblìo, può riservare delle sorprese e far scoprire radici, che è
meglio far finta che non esistano. Forse a questo principio sono stati
sacrificati i riferimenti oltreché alla democrazia di cui parla
l’ateniese anche alla civiltà ellenica e romana.
Eppure 2400 anni fa nella cosiddetta guerra del Peloponneso raccontata
dallo storico cassato c’erano già tutte le risposte ai dubbi che ci
tormentano oggi, compreso il perché si debba a volte usare la forza,
perchè al più forte spettino più privilegi ma anche più doveri, perché
nulla dura, nemmeno la vittoria, e perché, come gridano gli abitanti di
Corinto, gli ateniesi sono nati per non dar pace a se stessi e per non
darla agli altri.
Perché è delle democrazie e delle società aperte sottoporsi alla
tirannide dell’interrogarsi. Con tutto quel che ne consegue. Ma
chiedere questo alla vecchia Europa sarebbe troppo, meglio una vita
modesta ma tranquilla.
(forum.quotidiano.net/phpBB2/
viewtopic.php?t=5272&view=previous, 22 Giugno 2004)
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del documento
La
cristianofobia della Commissione Europea
Negazionismo
di M. Veneziani
Per l’Unione europea il
Natale non esiste, la Pasqua nemmeno, e se uccidono i cristiani in
Nigeria e nelle Filippine, come è accaduto nel giorno di Natale, chi se
ne frega, la cosa non ci riguarda. I cristiani saranno una setta del
posto. Noi europei ci occupiamo di misurare le banane, mica di
religioni, superstizioni, stragi e amenità varie. Noi siamo civili,
lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose. E poi in
questi giorni la Commissione europea non lavora, è in vacanza
natalizia, anche se non si sa ufficialmente la ragione di queste
festività, sarà l’anniversario dell’euro o l’onomastico di Babbo
Natale... Non sto vaneggiando per overdose di spumanti e panettoni. È
stata diffusa in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta
Europa e forse anche nei Paesi islamici, l’agenda ufficiale
dell’Europa, firmata della Commissione europea. Nel diario europeo, che
mi è capitato di vedere, c’è traccia delle più estrose festività
relative alle più minoritarie religioni, ma non c’è alcun riferimento
alle festività antiche, canoniche e ufficiali della cristianità
europea. Non si sa perché festeggiamo Natale e le altre festività
religiose, nulla è accennato sull’agenda che ricordi la Natività, la
Resurrezione e tutto il resto, nulla che segni in rosso una santa
festività. Ma quale Natale, Pasqua, Epifania, diceva Totò, a cui
evidentemente si ispira l’Unione Europea. L’ha fatto notare,
protestando, il ministro degli Esteri Frattini, ma in questi giorni
l’Unione europea è chiusa per inventario merci (non esistendo il Santo
Natale) e dunque la protesta affonda nel vuoto vacanziero di questa
vuota Europa. A ragion veduta possiamo perciò accusare l’Unione europea
di negazionismo. L’Unione europea è un’associazione vigliacca di
smemorati banchieri fondata sul negazionismo. Nel giro di poche
ore, l’Unione europea ha infatti negato le festività cristiane e dunque
la sua tradizione principale ancora viva da cui proviene e nel cui nome
ha un calendario e un sistema di festività. Ed ha pure negato ai Paesi
dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di considerare i loro
milioni di vittime sullo stesso piano delle vittime del nazismo. Come
sapete, la Commissione europea ha negato che si possano equiparare gli
stermini comunisti a quelli nazisti e possa dunque scattare anche per
loro il reato di negazionismo. Pur avendo commesso «atti orrendi», i
regimi del gulag, secondo la Commissione europea, «non hanno preso di
mira minoranze etniche». E che vuol dire, sterminare i borghesi o i
contadini è meglio che sterminare gli appartenenti a una razza?
Uccidere chi non la pensa come te è un crimine meno efferato che
uccidere chi è di un’altra razza? Tra le fosse di Katyn, le foibe e le
camere a gas di Dachau, qual è la differenza etica, giuridica ed umana?
Tra chi nega gli stermini di popolazioni civili di Paesi invasi dal
comunismo e chi nega gli stermini etnici, qual è la differenza? È
ideologica, signori, puramente ideologica. Come ideologica è la
negazione delle tradizioni cristiane più popolari. Non parliamo infatti
del dogma trinitario o di altri quesiti teologici, qui parliamo di
Natale e Pasqua, avete presente? Alla base dell’Europa c’è un
negazionismo vigliacco e bugiardo, che non è solo quello di
negare alcuni colossali orrori per riconoscere e perseguirne degli
altri; ma negare l’Europa stessa, la sua vita, il calendario che
scandisce i suoi giorni, la sua realtà e la sua verità, la sua
tradizione e la sua storia. Il negazionismo dell’Unione europea è
ancora più grave del negazionismo elevato a reato: perché non nega solo
alcuni orrori, ma nega anche in positivo la storia, la provenienza, la
vita europea. (...) Per questo l’Unione europea non esiste, abbiamo
ancora la Cee, la Comunità economica europea. Anzi non sprechiamo la
parola comunità per un consorzio economico, torniamo al Mec, Mercato
europeo comune. L’Europa è un morto che cammina.
(Il
Giornale, 27 dicembre 2010)
Altro
episodio di cristianofobia della Commissione Europea
Non è uno scherzo. Nel vecchio continente
cristiano i burocrati di Bruxelles e qualche stato membro della Ue con
manie laiciste hanno bocciato la moneta di 2 euro che la Slovacchia era
pronta a coniare nel 2013. Bratislava, in occasione del 1150°
anniversario della missione di Cirillo e Metodio, voleva dedicare il
soldo unico ai santi.
La bozza iniziale prevedeva l'effige dei monaci, simbolo dell'Europa
slava cristiana, con le aureole e l'abito talare ricoperto da grandi
croci. Una copia dell'immagine che ci viene tramandata da secoli.
La puntigliosa Commissione
europea ha detto «niet» chiedendo alla Slovacchia «di rimuovere i
simboli religiosi» dalle monete, più precisamente «le aureole e le
croci dai loro abiti». Lo ha rivelato la Banca nazionale di Bratislava,
costretta a fare marcia indietro. Un cambiamento indispensabile per
Bruxelles e qualche stato membro, non ben identificato, per riportare i
2 euro slovacchi «al principio del rispetto della diversità religiosa,
come prescrive l'articolo 22 del Trattato sui diritti fondamentali
dell'Ue».
Peccato che gli zelanti
gnomi spirituali di Bruxelles non abbiano avuto nulla da obiettare per
l'euro sloveno già in circolazione con il faccione di Franc Rozman, un
generale di Tito, il maresciallo jugoslavo boia di italiani. L'alto
ufficiale viene raffigurato con la bustina partigiana ed una grande
stella a cinque punte, quella rossa dei comunisti.
Secondo la Conferenza Episcopale Slovacca «la rinuncia ai simboli
essenziali delle immagini dei santi Constantino-Cirillo e Metodio sulle
monete commemorative è una svolta culturale e una mancanza di rispetto
per la propria storia». Cancellare le aureole dall'euro è «come
togliere la croce alla cattedrale di San Martino a Bratislava» ha
dichiarato l'europarlamentare popolare slovacca Anna Zaborska. La
vicepresidente del parlamento di Bratislava, Erika Jurinova, ha
definito «assurdo» il diktat di Bruxelles.
(Il
Giornale, 24 novembre 2012)
Ma alla fine l'ha spuntata la Slovacchia
Dopo una lunga battaglia,
Bratislava riesce a imporsi su Bruxelles che
era contraria a stampare monete che raffigurassero i due santi con
l’aureola e la croce.
Alla fine l’ha spuntata la
Slovacchia. Dopo una lunga querelle, il
paese potrà stampare la moneta da due euro con l’immagine dei santi
Cirillo e Metodio (e anche con l’aureola, che – a un certo punto –
parevano dover perdere per farsi accettare dall’Europa).
Del caso ve ne avevamo già parlato
quando la Commissione europea pareva intenzionata a bocciare la
proposta della Slovacchia, che in occasione dei 1.150 anni dalla
predicazione di Cirillo e Metodio, aveva proposto una moneta da due
euro celebrativa. Ma da Bruxelles avevano fatto sapere che “no, così
non poteva andare”. Aureola e croce erano due simboli “troppo
religiosi” nell’Europa laica che non riconosce più le sue radici
cristiane.
Alla fine, però, l’ha
avuta vinta la Repubblica Slovacca che ai due
santi deve la propria evangelizzazione. Il fatto interessante – e che
sembra oggi non andare giù a Repubblica che in un articolo
tratta la notizia– è che a guidare il paese ci sia un «insospettabile
centrosinistra, guidato dal premier socialista Robert Fico». Il quale è
stato sostenuto in patria nella sua battaglia non solo dai cattolici,
ma anche da intellettuali laici.
(Tempi, 17 dicembre 2012)
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