"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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Giulia Regoliosi, IN ATTESA DEL PADRE. Storie di genitori e figli nella letteratura greca, un vol. di pag. 196 + 4, ed. Aracne, Roma, maggio 2010, ISBN 978-88-548-3240-4
Questo libro è nato da molti anni di insegnamento nei licei, dove la lettura degli autori ha suscitato sempre nuove risonanze, e da molti anni di lavoro con gli amici della rivista «Zetesis», in cui si è tentato un giudizio nei confronti della cultura antica. Fra i tanti spunti di interesse, uno si è andato precisando come importante, per i ragazzi, per noi insegnanti, noi genitori, per una società in cui è evidente l'emergenza educativa. Come vivono il rapporto genitori-figli, adulti-giovani i personaggi del mito e della letteratura greca? Che cosa ci comunicano i diversi autori su questo punto da sempre così importante? Scegliamo come risposte non definizioni teoriche, ma storie di persone.
Indice
Introduzione – Una questione di metodo
Capitolo I. Figli di un padre assente Aspettando il nostos Illo Neottolemo L’ultimo Atride
Capitolo II. Apaidía I re di Corinto Ermione La figlia di Eretteo Ione Xuto Creusa Madre e figlio
Capitolo III. Genitori Ninnananna Capire i figli Educare al perdono Consigli a un re La responsabilità del padre Un’attenzione esclusiva Figli come armi
Capitolo IV. Il dolore più grande Nestore Priamo Niobe Agave Creso Nauplio Ecuba
Capitolo V. La fecondità del cuore La vergine Più grande del dio L’amico Nonni Il maestro Le parole e la vita
Capitolo VI. Figli Fidarsi Una lunga devozione Perdono Delusione La rottura col ghenos Di fronte al padre re Portatori di novità
Conclusione
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Dal Capitolo I: Figli di un padre assente
Le grandi gesta eroiche che impegnano alcune delle figure più rilevanti del mito greco, sia in avventure solitarie, sia in imprese collettive, creano dei figli senza padre: non parliamo qui solo dei bambini il cui padre muore nell’azione durante la loro infanzia, ma anche dei bambini lasciati in patria per molti anni, affidati a madri o nonni, cresciuti senza un punto di riferimento, con ambizioni confuse e spesso inconcludenti, a rischio di sopraffazione o corruzione. Sono i figli di padri assenti, così definiti sinteticamente da Omero (Od. IV, 164 seg.): «Molti dolori ha nella casa il figlio di un padre lontano, che non abbia altri difensori».
La sorte di questi bambini costituisce l’ultimo strato del mito greco, quello vicino a divenire storia: i più antichi sono i figli di eroi solitari come Eracle e Teseo; i più giovani sono i figli dei combattenti a Troia, rimasti soli per dieci o vent’anni, il cui padre non è tornato, o è tornato tardi, o è tornato per morire. Ciò che li accomuna è la gigantesca fama del padre, conosciuto solo attraverso il racconto dei familiari, degli amici, di estranei di passaggio: una fama che desiderano ardentemente uguagliare, ma ne sono frenati dalla difficoltà di divenire grandi, dalla mancanza di una figura reale di riferimento, che si sostituisca a quella idealizzata e perciò inimitabile. A volte sono caratterizzati anche dalla difficoltà di ottenere il posto che spetta loro di diritto, perché circondati da usurpatori, e l’amarezza in cui si dibattono per l’umiliazione subìta li rende diffidenti; mentre il rapporto con gli dèi, che pretendono obbedienza e promettono cose grandi, è talora reso difficile dall’ambiguità dei loro interventi e dall’atteggiamento tipico dei giovani, che uniscono assolutezza entusiasta e sfiducia ombrosa.
Sia Omero sia i tragici hanno avvertito l’interesse umano e psicologico di questi personaggi, e ne hanno fatto oggetto del loro canto: prenderemo in esame alcuni di loro.
Aspettando il nostos
I primi quattro libri dell’Odissea vedono il protagonista solamente sullo sfondo, nel ricordo e nel rimpianto, mentre la figura centrale è quella del figlio Telemaco: tanto che si usa per questi libri un titolo a parte, Telemachía, e si è parlato di essi come del prototipo del romanzo di formazione o iniziazione. Avventure e iniziazione partono da un fatto: il nostos (“ritorno”) di Odisseo non si è compiuto, l’attesa si prolunga oltre il sopportabile, il giovane figlio vive, nella casa affollata, una solitudine snervante. Sappiamo che era piccolissimo quando il padre è partito per Troia. Anche se Omero non ne parla, perché ogni episodio che ponga in qualche modo in ombra Odisseo è stato censurato, il mito conosceva, in diverse varianti, la falsa follia dell’eroe, simulata per evitare di partire per la guerra: Palamede, inviato da Agamennone ad effettuare i reclutamenti, strappa il bambino dal grembo di Penelope e finge di volerlo uccidere, oppure lo prende dalla culla e lo pone davanti all’aratro del padre; in ogni variante Odisseo è costretto a rinunciare alla pretesa pazzia per salvare il neonato, e deve partecipare alla spedizione. Il nome del figlio, come spesso avviene nel mito greco, richiama la situazione paterna: il padre è dovuto andare a “combattere lontano” (tele-máchesthai).
Che sia partito a malincuore o con piena disponibilità, quello che è certo è che la guerra di Troia non è un’avventura scelta per ottenere gloria, ma subìta per mantenere il patto con Menelao: un fatto, questo, che accomuna tutti i partecipanti, a differenza di altre imprese collettive in cui l’adesione è libera (ad esempio la spedizione degli Argonauti): l’abbandono del figlio è quindi del tutto involontario. E la memoria del piccolo accompagna il padre negli anni di guerra: nel secondo libro dell’Iliade Odisseo minaccia Tersite utilizzando un giuramento in cui la paternità è accomunata alla vita stessa:
Se ancora ti coglierò a fare il pazzo come adesso,
in seguito non resti più ad Odisseo la testa sulle spalle,
e non sia più chiamato padre di Telemaco, se non ti prenderò…
(vv. 258 segg.).
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