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A black-figure Lakonian kylix, c. 570-560 BCE


Lettura drammatizzata
PROMETEO INTERROGATO
 

La pretesa e la sconfitta dell’intelligenza: Prometeo
testo curato da Mariapina Dragonetti e Olivia Merli


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OceanidesSCENA I
PROMETEO, OCEANINE, ESCHILO

PROMETEO:  Sono cose dolorose, anche il dirle è penoso! ma ugualmente penoso è il tacerle. In ogni modo destino di sventura è il mio. Quando la collera s'impadronì degli dei e nacque una contesa, poichè gli uni volevano privare Crono del regno e far signore Zeus, gli altri a loro volta si adoperavano a impedire che Zeus fosse mai il re degli dei, io cercai di persuadere per il meglio i Titani ...
OCEANINE:    ...egli, Prometeo, uno dei Titani, i figli di Urano e della Terra...
PROMETEO: ... io, allora cercai di persuadere per il meglio i Titani, ma non riuscii. Disprezzavano i miei ingegnosi consigli e credevano, nel loro cuore superbo, di potere facilmente con la forza dominare. Mi parve meglio, quindi, schierarmi spontaneamente con Zeus, che cercava il mio aiuto.  Così, per opera dei miei consigli, il nero abisso del Tartaro profondo nasconde in sé l 'antico Crono e i suoi  alleati.
Non appena si insediò sul trono paterno, subito Zeus distribuì fra le divinità i diversi privilegi e  regolava il potere, ma non fece alcun conto dei miseri mortali, anzi intendeva distruggerne la stirpe per farne nascere una del tutto nuova. E a questi progetti nessuno si opponeva tranne me. Io ne ebbi il coraggio.
OCEANINE: Rivelaci tutto: in quale colpa ti ha colto Zeus per oltraggiarti così indegnamente e aspramente.
PROMETEO: Sono stato dalla loro parte e , tra l’altro io ho procurato loro il fuoco.
OCEANINE:E ora gli uomini, destinati alla  breve vita di un giorno, possiedono il fuoco fiammeggiante? Quel fuoco che Esiodo disse che Zeus nascondeva agli uomini  perché sdegnato nell'animo? Gli dei infatti tenevano nascosto agli uomini ciò che era necessario alla loro vita; facilmente, infatti, se non fosse stato cosi, e in un giorno solo, si sarebbero procurati ciò che sarebbe  servito loro. E subito avrebbero appreso l’uso del timone e avrebbero abbandonato il lavoro dei buoi e delle mule pazienti.
PROMETEO: Certo, e  dall’uso del fuoco gli uomini  apprenderanno molte arti.
OCEANINE : Per tali cause dunque Zeus ti...
PROMETEO: ... oltraggia, certo, e per nulla attenua i miei mali.

ESCHILO: Ecco, questo è Prometeo, che io, Eschilo, ho posto come protagonista del mio dramma.. E’ un dio, abile, sapiente capace di scovare una via d’uscita  anche da situazioni impossibili; é  ribelle nei confronti di Zeus, sovrano implacabile, duro, come sempre chi regna da poco, ed è ostile  al suo potere che esercita con leggi nuove e al di fuori della giustizia ; è invece stato favorevole agli uomini e ha donato loro, agli effimeri,  le prerogative e i privilegi degli dei, avviandoli verso il progresso.
Chi di noi, chi di voi  non si sente appassionatamente vicino a questo dio greco, che paga di persona per il bene, per il progresso degli uomini fragili e bisognosi e, anche nel supplizio eterno, non rinuncia, con volontà titanica e solitaria ad un atteggiamento di sfida?
Non è questa una posizione umana carica di eroica dignità di fronte al destino di fragilità, di dolore e di morte che, almeno per un ultimo aspetto, è imposto a noi tutti?
 

byronSCENA II
OCEANINE, PROMETEO, BYRON

OCEANINE: Tutta quanta la regione ormai echeggia di gemiti, gemono sulla dignità antica e magnifica di te e dei tuoi consanguinei.
BYRON:  Oh, Titano!
OCEANINE:  Di chi è questa voce? Ecco Byron un poeta amante della libertà dell’uomo e dei popoli. Anch’egli, senza dubbio, non può rimanere insensibile a tanta sofferenza.
BYRON: O Titano, il tuo divino delitto fu la gentile benevolenza, e l’aver mitigato coi tuoi insegnamenti l'umana miseria, e 1'avere rinvigorito, nel proprio suo spirito, l’uomo.. Ma quale fu la ricompensa della tua pietà? Una intensa, silenziosa tortura, la rupe, l'avvoltoio, la catena, quanta angoscia può patire un superbo, 1'agonia che nasconde, il soffocante affanno, il quale non favella che nella solitudine, e dubita che nel cielo sia chi 1'ascolti, e non sospira se prima 1'eco non sia ammutolita.
OCEANINE: Chi tra gli dei è così duro di cuore, da gioirne? Chi non si indigna per i tuoi mali, tranne Zeus?  Ma tu, Prometeo sei troppo ardito e non cedi per nulla alle aspre sventure.
BYRON: Titano, davvero la tua sofferenza e la tua volontà in te si mossero guerra, una guerra che, dove non uccide, strazia; e il cielo inesorabile, e la sorda tirannia del fato, e il supremo principio dell'odio che crea per distruggere, ti rifiutarono persino il benefizio della morte.
OCEANINE: Zeus, nel suo continuo rancore, con inflessibile decisione del pensiero, intende domare la tua stirpe e non cesserà prima che il suo cuore si sia saziato. Tu dici, Prometeo,  di conoscere l’inaudito disegno per cui egli dovrà essere privato  dello scettro e degli onori , ma che non gli farai mai questa rivelazione  prima di essere liberato dai crudeli legami e prima che egli paghi l’oltraggio che ti ha arrecato. Lo minacci dicendogli che non ti sta per nulla a cuore,  che faccia pure a suo piacimento, che non potrà governare ancora per molto. Non hai paura sferrando tante bestemmie? Potrebbe darti un’agonia più esasperante di ora.
BYRON: No, altro dalle tue labbra non poté strappare il Tonante che una minaccia, onde si rovesciarono su lui i tormenti che ti opprimevano. Tu conoscesti chiaramente il decreto del fato, ma non volesti, con farlo palese, placare il nemico. Il tuo silenzio era la tua sentenza, ed empieva 1'anima di lui un inutile pentimento; e lo turbò la trista paura a tal punto che nella sua mano tremava la folgore, a lui , a Zeus, il padre degli dei…
PROMETEO: ... e invece, a me, Zeus non importa per nulla. Agisca, regni come vuole per questo breve tempo. Non  venga mai in mente ad alcuno che  io, temendo il volere di Zeus, assuma un animo femmineo e con mani supine, a imitazione delle donne, supplichi chi ho tanto in odio di sciogliermi da questi legami: ne sono del tutto lontano.
BYRON: Per questa tua capacità di resistenza, questo tuo indomabile amore per la giustizia e la libertà, non capiamo, noi uomini dell’800, ancora animati dagli ideali della Rivoluzione, perchè Eschilo ti condanni e ti rappresenti vinto, schiacciato, a suo dire, giustamente, da un sovrano crudele e arbitrario come Zeus.  Ed anche le figlie di Oceano, così compassionevoli della tua sorte, saranno trascinate con te nella rovina. Zeus – incredibilmente - riuscirà a annientarti, è vero.  Eppure: da te, pur precipitato dall'alto, da te silenzioso nella paziente tua forza, chiuso nella sofferenza e nella repulsa del tuo impenetrabile spirito, da te che cielo e terra non possono commuovere, da te noi, uomini del nostro tempo,   riceviamo un efficace ammaestramento. Tu sei per  i mortali un simbolo e un segno del loro destino e della loro forza.
Grazie a te, come dice Herder, anche  se “l’immortalità non esiste per gli uomini sulla terra, …con la luce che portasti loro dall’Olimpo essi ebbero tutto.; alla fine essi hanno trovato lo strumento che già stava in essi: le passioni, anche le più forti e le più tenaci.”
Ed ecco, l’uomo, e sono ancora parole di Herder, al pari di te, l'uomo in parte è divino, torrente intorbidato che scaturisce di pura sorgente: egli può antivedere in parte il suo funereo destino, la sua infelicità, la sua resistenza, la vita sua triste e sprovveduta. Ma a  ciò lo spirito suo può opporre se stesso, adeguato ad ogni dolore, e una ferma volontà, e un senso profondo, che nella stessa tortura scopre il premio recondito e trionfa quando ardisce sfidare, e fa della morte una vittoria.

 
goetheIII SCENA
OCEANINE, PROMETEO, GOETHE

GOETHE: “Il tuo silenzio è la tua sentenza”… “e una ferma volontà fa della morte una vittoria”.  Ricorda queste parole Prometeo e resisti.
OCEANINE: E’ Goethe, il poeta che ha odio ogni forma di tirannia.  Colpito dalla vicenda di Prometeo,  ha già tentato di scrivere su di lui un dramma, ma l’ha lasciato incompiuto; forse non era soddisfatto ed è venuto qui, certo, per parlargli.
GOETHE: Persisti, Prometeo!
PROMETEO: Certo, ma guarda  distrutto da quali oltraggi dovrò penare per un tempo infinito. Bisogna sopportare il meglio possibile la porzione di sorte che ci è assegnata, sapendo che è invincibile la forza della necessità. Ma un giorno, un giorno io, pur oltraggiato in ceppi che mi dominano, sarò necessario al capo dei beati per rivelargli l’inaudito disegno per cui dovrà essere privato dello scettro e degli onori: sarà di animo malleabile quel giorno e moderando la sua indole implacabile in un legame di amicizia con me, verrà impaziente da me, che pur sarò impaziente. GOETHE:  Anch’io avevo immaginato, sperato – forse -  come Eschilo, e come te,  che un giorno la lotta con Zeus avrebbe potuto concludersi con una riconciliazione.
OCEANINE. Eschilo, appunto,  ha fatto seguire alla tragedia in cui  rappresenta Prometeo legato e poi sprofondato nelle profondità della terra, un’altra tragedia, il  Prometeo liberato,  in cui dopo trentamila anni egli, per i consigli dei Titani e di tua madre, si sarebbe infine piegato ai voleri di Zeus, divenuto nel frattempo un dio giusto ed equilibrato, e così, liberato da Eracle, sarebbe tornato ad assumere il posto che gli aspettava tra gli dei.
GOETHE:  Io invece sono sempre più convinto – e per questo ho interrotto la mia opera precedente - che non solo non è possibile che  Prometeo accetti di piegarsi ai soprusi di Zeus, ma che non è neppure giusto. Di fronte a quanto è accaduto, di fronte all’ingratitudine di questo Zeus tu, o Prometeo, devi continuare a opporti, fiero della tua libertà! Devi continuare a urlare il tuo disprezzo: “ Vela il tuo cielo, Zeus, con vapore di nubi;  simile ad un bambino che decapita cardi, esercitati con le querce e le vette dei monti; ma la mia terra, devi lasciarla stare, e la mia capanna che non costruisti tu, e il mio focolare, per la cui vampa mi porti invidia.
Non conosco nulla di  più misero di voi, o dei! Nutrite a stento la vostra maestà con offerte votive e fiato di preghiere, e languireste se non ci fossero bambini e mendicanti accecati da vane speranze. Anch’io, quando ero un fanciullo, inesperto di tutto e sgomento, volgevo il mio occhio smarrito al sole, come se lassù vi fosse un orecchio che potesse udire il mio lamento, un cuore come il mio che avesse pieta dell'oppresso.”
Devi rinfacciargli la sua lontananza dal dolore dell’uomo ”Chi mi prestò soccorso contro la tracotanza dei Titani? Chi mi salvo da morte, da schiavitù? Non hai compiuto tutto tu, cuore sacro e ardente? E ardevi di gratitudine, giovane e buono, ingannato, per lui che dormiva lassù, per Zeus?
Zeus, hai mai lenito i dolori, tu, dell' afflitto? Hai mai placato le lacrime, tu, dell' angosciato?
Non mi ha forgiato uomo il tempo onnipossente ed il destino eterno, sovrani di me e di te?”
Urlagli la tua forza e la tua autonomia: ”O forse ti. immaginavi che io dovessi odiare la vita, fuggire nel deserto perche non fiorirono tutti i sogni sbocciati un tempo?
Qui me ne sto, plasmo uomini a mia immagine, una stirpe che mi somigli nel soffrire, nel piangere, che goda e si rallegri e non si curi di te, proprio come me.”
Ecco la tua forza e la tua dignità: non hai voluto venire a patto con Zeus, non ti sei fatto convincere dalle esortazioni alla obbedienza e alla moderazione  che via via i diversi personaggi rappresentati da Eschilo ti rivolgevano e per questo sei stato da  vinto e schiacciato, ma adesso sei tu, per noi, il vero creatore degli uomini; hai dato loro una nuova vita  dando loro la consapevolezza  della loro dignità. Tu li  hai sollevati dallo stato di miseria  materiale e morale in cui versavano nei tempi antichi anche se rimangono destinati come te a soffrire. Tu davvero puoi dire “Qui me ne sto, plasmo uomini a mia immagine, una stirpe che mi somigli nel soffrire, nel piangere, che goda e si rallegri e non si curi di te, proprio come me.”


 
shelleySCENA IV
OCEANINE, PROMETEO, SHELLEY

OCEANINE.  Ora è Shelley che viene verso di noi, Shelley, una coscienza tragica della storia e dell’umanità tutta, nelle sofferenze del Prometeo incatenato egli vede le sofferenze dell’uomo del suo tempo, nella tirannia di Zeus la violenza di ogni tiranno; ma è anche un sognatore.
SHELLEY: Ha ragione Goethe. Certamente Prometeo è grande perché si è opposto al potere di Zeus e ha disprezzato l’ingiusta punizione; è un eroe perché è vittima,  ma non posso credere che egli  sia destinato a soffrire per sempre.
OCEANINE:   Anche noi siamo piene di fede  e ti diciamo: libero da questi tuoi nodi avrai forza non meno di Zeus.
SHELLEY: Sì, io sono assolutamente certo che ci siano grandi speranze per te, Prometeo, e per tutta l’umanità con te. Certo nella mia opera anch’io ti rappresento punito,  legato da millenni alle rocce del Caucaso; vittima, insieme a tutti gli uomini di Zeus, colui che fece il terrore, la pazzia, il rimorso, che comandano ad ogni pensiero nella mente dell’uomo, lo trascinano pesantemente; colui che fece la speranza abbandonata e l’amore che diventa odio; il disprezzo di sé e l’Inferno o il timore acerbo di esso…
OCEANINE:     Zeus fece tutto ciò!
SHELLEY: …rifiutò ciò che era il diritto di nascita dell’esistenza degli uomini: la Conoscenza, il potere, la maestria che soggioga gli elementi; il pensiero che penetra, come luce, quest’universo oscuro; la padronanza di sé e la maestà dell’amore, per la sete dei quali gli uomini languivano.
PROMETEO: Ed io non ho potuto resistere a vedere gli uomini ridotti così e io li formai: riflessivi, sovrani del loro intelletto.
SHELLEY: Per questo , a te, reso saggio e paziente dalla sofferenza, a te continuano a guardare con speranza la Terra, tua madre, Asia, tua moglie, e gli spiriti tutti del pensiero dell’uomo; a te si rivolgono come a colui che fece della sua agonia la barriera contro il nemico che altrimenti avrebbe conquistato tutto e da cui attendono la liberazione.
OCEANINE: Le tue parole ci fanno sognare Le tue parole sono più dolci della libertà a lungo desiderata.
SHELLEY: Ecco la novità della mia opera! Ciò che tu hai desiderato, ciò che è stato profetizzato, qui, nella mia opera, si compie, la mia opera,   il Prometeo liberato.   
 Zeus – Zeus, nemico che trionfi su tutto. Ti maledico! La maledizione d’un sofferente s’avviticchi su di te, il suo carnefice, come un rimorso, la tua Infinità ti diventi una veste d’agonia avvelenata; e la tua Onnipotenza una corona di dolore che s’attorca come oro scottante intorno al tuo cervello in putrefazione.
OCEANINE:  Shelley, le tue parole sono ancora più oltraggiose verso il Dio di quelle che Eschilo ha messo in bocca al suo  Prometeo, il tuo  Prometeo è come…
SHELLEY: …la sola creatura immaginabile somigliante a Prometeo è Satana.
Ebbene nella mia opera  Zeus viene sprofondato, vinto, negli abissi.
OCEANINE. E Zeus cadde, hai detto, sotto il cipiglio del  suo vincitore? Egli sprofondò nell’abisso? nel vento vuoto scuro?
SHELLEY: Sì e non ci sarà nessuna riconciliazione con questo Dio perché è impossibile riconciliare il Difensore – Prometeo- con l’Oppressore dell’umanità –Zeus.
Ma non solo; Prometeo viene poi liberato da  Eracle e con lui viene liberata l’intera umanità.
Uomo, ch'eri un tempo un despota e uno schiavo, una vittima e un ingannatore, una rovina; un viaggiatore dalla culla alla tomba per la notte fosca di questo giorno immortale Questo è il giorno che il vuoto abisso si spalanca, alla maledizione del figlio della Terra, per inghiottire il despota del Cielo. E, come una tempesta che squarcia la sua prigione di nubi con tuoni e con turbini, 1'amore è sorto fuori dagli antri oscuri di esseri mai immaginati, facendo, con scosse di terremoto e colla sua velocità, rabbrividire il Caos stagnante del pensiero, che non era mai stato smosso. L'odio, la paura il dolore, ombre vinte dalla luce, fuggono. E ritornano in polvere e guardano in cagnesco i loro templi abbandonati tutte quelle figure immonde, detestate da Dio e dall'uomo — che, sotto molte forme strane selvagge spaventevoli fosche ed esacrabili, erano Giove, il tiranno del mondo; e che i popoli terrorizzati soddisfacevano con sangue e  con cuori infranti dalla lunga speranza. Tutto rifiorisce e rinasce, in una nuova età di Saturno.
OCEANINE: Frugheremo i nostri spiriti esausti, con sguardi e parole d’amore, in cerca di pensieri nascosti, l’uno più bello dell’altro, e ci visiteranno le progenie immortali della Pittura, della Scultura e della Poesia e delle arti che saranno, sebbene non ancora immaginate.
SHELLEY: Non più uomini dai lineamenti duri, dagli sguardi alteri, irosi, dal portamento freddo, grave, dai sorrisi falsi e vuoti, da altre indegne maschere consimili, che coi cattivi pensieri nascondono quel bell'essere che noi spiriti chiamiamo uomo.  E discorrono della saggezza che un tempo non potevano possedere, mostrando negli occhi emozioni che un tempo temevano di provare, trasformate ora, che la terra è come il cielo, in tutto ciò che un tempo non osavano di essere.
E caduta la maschera nauseante, l'uomo resta senza scettri, libero, incirconscritto, soltanto uomo: uguale senza classi, tribù o nazioni, esente da rispetti, culti, gradi, re di se stesso; giusto, gentile, saggio…
OCEANINE.:  …libero dalle passioni?
SHELLEY: Certo che no! E’ libero dalla colpevolezza o dal dolore, che esistevano perchè la sua volontà li creava o li soffriva, non è ancora esente dal caso, dalla morte e dalla mutabilità, ma li regola come schiavi. La sua volontà, con tutte le passioni basse, coi piaceri cattivi, e le preoccupazioni egoistiche, suoi satelliti tremanti; la volontà, spirito ribelle a guidarlo, ma potente a chi lo sa obbedire, è ora come una nave sulle ali della tempesta, con l'amore al timone, tra cavalloni che non osano sommergerla, e si spinge alle spiagge remotissime della vita per riconoscere il suo dominio sovrano.
Uomo, oh, non uomini! una catena di pensieri allacciati, d'amore e di potenza, da non separarsi mai più. Uomo, uno spirito armonico, fatto di molti spiriti, la cui natura è il proprio controllo divino…queste sono le parole magiche con cui riassumere 1'impero sul male disciolto: soffrir miserie che la Speranza crede infinite; dimenticare danni più neri della morte o della notte; sfidare una Potenza che sembra onnipotente; amare e sopportare; sperare finché la Speranza crea dalla sua stessa rovina l'oggetto che contempla; mai mutare, mai esitare, mai pentirsi; questo, come la tua gloria, Titano, è essere buono, grande, gioioso, bello e libero; solo questo è Vita, Gioia, Impero e Vittoria!
 
leopardiSCENA V
OCEANINE, LEOPARDI, PROMETEO

OCEANINE: Ecco viene avanti un poeta,  un filosofo…dicono alcuni, un uomo determinato dal dolore sembra a molti, un uomo sfortunato, malato, gobbo e pessimista nell’opinione comune…Giacomo Leopardi.
LEOPARDI: Vi prego, accanitevi pure a confutare i miei pensieri, a contestare le mie argomentazioni, ma non tirate in ballo le mie malattie!
Sono venuto qui per interrogare Prometeo.
Io l’ho immaginato nel lontano Ipernefilo insieme  agli altri celesti, concorrere per passatempo alla gara che premiava il dio miglior inventore e… perdere!
 Sì, lui il forgiatore di uomini, il signore delle tecniche e dell’arte, perdere!! anche se concorse con  il modello di terra fatto e adoperato per formare i primi uomini. Anzi proprio per quello! Il tribunale celeste premiò invenzioni più…semplici, indiscutibilmente positive secondo l’opinione comune: il vino del dio Dioniso, l’olio di Atena, la pentola economica e rapida ideata da Vulcano…queste furono le invenzioni anteposte al genere umano.
Ma non ti bastò:  il piacere del vino e l’utilità dell’olio o la rapidità della pentola economica che risolse il problema del pranzo a tante massaie frettolose,  non bastarono a piegare il forgiatore degli uomini! No, tanta era ancora la tua fede nell’umanità….
OCEANINE:  Che cosa successe allora?
LEOPARDI: Volle ancora scommettere con Momo, il dio del biasimo: scommise che da qualche parte al mondo avrebbe trovato la conferma che  l’uomo fosse la più perfetta creatura dell’universo e che l’ambito premio del tribunale celeste sarebbe invero spettato a lui,  Prometeo.
Partirono dunque e a volo calarono dapprima nel nuovo mondo e dopo aver sorvolato lande desolate e selvagge scorsero un piccolo villaggio dove un uomo, messo in pentola il proprio figliolo, aspettava di nutrirsene avendolo generato, diceva,  esattamente per quello scopo, così poi avrebbe fatto degli altri e della madre stessa quando non sarebbe stata più adatta a far figlioli esattamente come si fa della gallina dopo che si è mangiate le uova... Ci mancò poco che  anche lui e Momo  finissero bolliti dagli uomini da lui stesso forgiati…
PROMETEO: Io feci i mortali partecipi del fuoco e molte arti da esso impareranno. Sappilo in breve: tutto ciò che gli uomini conoscono viene da Prometeo.
LEOPARDI: Per nulla dunque soddisfatti del nuovo mondo scesero allora nel più antico, in Asia. Là furono sempre attirati da un gran radunarsi di gente attorno a una fossa piena di legna ricoperta da un palco di legno anch’esso, sul quale ballava una giovane donna vestita molto sfarzosamente, mentre altri con torce accese stavano per fare di tutto quel legname, danzatrice compresa, un gran falò. Scoprirono in breve che  non si trattava né di una giovane che volontariamente e emulando le eroine antiche si sacrificava per la salvezza della patria, né di un’altra Alcesti che si donava liberamente agli inferi per restituire in cambio la vita all’amato marito, ma era una giovane donna rimasta vedova, ubriaca, costretta dalle tradizioni della sua setta a bruciare nello stesso fuoco del cadavere del marito a cui era stata obbligatoriamente legata in vita, che aveva sempre odiato e da cui non poteva separarsi nemmeno con la morte.
Allora forse anche tu un po’ vergognandoti, trascinasti via Momo anche da lì sperando in cuor tuo che non avesse capito bene tutti i particolari. Ma quel rompiscatole di Momo invece aveva capito bene e non perse occasione di rinfacciarti di aver sbagliato a portare il fuoco agli uomini se poi dovevano servirsene per cuocersi l’un l’altro nelle pignatte o per fare delle proprie donne splendidi falò! A questo è servito il fuoco che hai strappato a Zeus?! Barbari, pensasti, incivili! Forse avevi solo sbagliato luogo, in Europa dovevi trascinare quel seccatore di Momo, andare nella civilissima, occidentale Europa.
PROMETEO: Ai mortali indifesi e muti come infanti diedi il pensiero e la coscienza, io liberai i mortali dall’essere dispersi nella morte, spensi all’uomo la vista della morte, a questo male trovai come farmaco la speranza che non vede.
LEOPARDI: Scendeste  a Londra. E lì in una bella e civilissima casa privata,  o dio creatore e salvatore dell’umanità,  cosa trovaste?
Un padre morto suicida, circondato dai suoi figlioli morti anch’essi per mano del padre stesso non per povertà o per vergogna o per evitare qualche sfortuna, ma per  proteggerli dal tormento del tedio, l’inesorabile tetra noia che  assale l’uomo come si ferma a pensare e non c’è cosa in terra che  possa renderlo beato…
E’ dunque questo il miglior dei mondi possibili? è questo l’uomo, sommo genere di perfezione? queste le magnifiche sorti progressive della civiltà ? all’apparir del vero, cade ogni speranza e non resta che l’abisso orrido e immenso della morte.  
Unico essere vivente di quella civilissima casa privato dalla consolazione della morte perché privo di coscienza il  cane che con un rapido e sollecito scritto quell’uomo aveva pensato bene di raccomandare alle cure dei vicini…Così pagasti subito la scommessa , Prometeo, colui che sa!

 
gideSCENA VI
OCEANINE, GIDE, PROMETEO

OCEANINE: Viene avanti Gide, anche lui ci vuole parlare del suo Prometeo, ma non assomiglia al dio che soffre a causa degli dei, il suo Prometeo sembra non aver niente a che fare col  titano ribelle, incatenato alla roccia dell’estrema plaga della terra.
GIDE: No, no, non è così. E’ che io ho pensato che quando, dall’alto del Caucaso, questo  Prometeo legato alla rupe decise che catene, incastri, camicie di forza, barriere e altri scrupoli, tutto sommato, lo anchilosavano, per cambiar posizione si sollevò dal lato sinistro, stiracchiò il braccio destro e fra le quattro e le cinque di un giorno autunnale percorse il boulevard che porta dalla Madeleine all’Opéra e si sedette a un caffè davanti a un boccale di birra. Probabilmente alla fine Prometeo era solo mal incatenato…Così in quel caffè si è trovato subito coinvolto in una classica conversazione parigina da bistrot: chi è lei, chi è lui? Che cosa cerca? Dica la sua! Io penso che…E poi non è che anche il mio Prometeo non abbia tutti gli ingredienti del mito e della tradizione: il fuoco ad esempio c’è. Infatti qualche giorno dopo Prometeo denunciato dalla sollecitudine amichevole del cameriere è messo in prigione come fabbricante di fiammiferi senza licenza, oppure un po’ più avanti nella vicenda si è trovato a distrarre il pubblico nei momenti più pesanti della sua conferenza con fuochi d’artificio (i più belli quelli tenuti per la fine)!!
E l’aquila…c’è anche l’aquila ! Sommerso dalla valanga di domande al caffè: che cosa è capace di fare? perché la chiamano Prometeo, qual è il suo segno distintivo? Prometeo chiama la sua aquila. Un uccello che da lontano pareva enorme, ma che visto da vicino non è poi così grande, oscurò per un attimo il cielo del boulevard, calò come un fulmine sul caffè, infranse pure una vetrina e si abbatté cavando un occhio a uno degli avventori con un colpo d’ala e con tanti pigolii teneri sì, ma imperiosi si precipitò sul fianco destro di Prometeo. Questi aprendo subito il panciotto,  offre all’uccello un pezzo del suo fegato. Non vi sto a dire lo scompiglio…si fece un gran brusio nel caffè…ci fu chi protestò: “Non si portano aquile a Parigi, non sta bene, se la diverte darle da mangiare il suo fegato, è libero di farlo; ma le assicuro che per quelli che vedono è penoso. Quando lo fa almeno si nasconda!!!” Ci fu anche chi disse che non era un’ aquila, ma un povero uccello spennacchiato, e chi ebbe l’intuizione che tutt’al più qualcosa che sopraggiungeva così, improvviso, a roderti il fegato poteva essere al massimo una coscienza.
OCEANINE: Coscienza…una coscienza…
PROMETEO: Non è chiusa superbia il mio silenzio, ma è coscienza che dilania il cuore quando ripenso come sono offeso. Udite la miseria dei mortali prima, indifesi e muti come infanti, e a cui diedi il pensiero e la coscienza. Parlerò senza biasimo degli uomini, ma narrerò l’amore del mio dono…
GIDE: E qui siamo giunti a uno dei punti più interessanti di tutta la vicenda.  Prometeo addirittura tenne una conferenza dopo aver riflettuto sulle conseguenze dell’intuizione aquila-coscienza e dopo aver finalmente capito bene tutta la  sua storia. Il suo lungo, sofferto e appassionato discorso che tenne una sera a Parigi nella Sala delle Lune Nuove, si potrebbe sintetizzare così:
“Punto primo: bisogna avere un’aquila. Punto secondo: del resto ce l’abbiamo tutti, aquila o avvoltoio. Io non amo gli uomini, amo ciò che li divora. Ora chi divora l’uomo? La sua aquila.
Non ho sempre conosciuto la mia aquila. Prima di lei ero incosciente  e bello, felice e nudo, senza saperlo. Che giorni incantevoli! Sui pendii del Caucaso grondanti acqua, la lasciva Asia anch’essa felice e nuda mi abbracciava. Rotolavamo insieme nelle valli; sentivamo cantare l’aria, ridere le acque, profumare i più semplici fiori, Asia si congiungeva a me sempre ridente, finché dolcemente i brusii di sciami e di foglie in cui veniva a fondersi quello dei numerosi ruscelli, ci invitavano al più dolce dei sonni. Tutto intorno a noi proteggeva la nostra solitudine inumana. Improvvisamente un giorno Asia mi disse: - Tu dovresti occuparti degli uomini – Accettai di occuparmi di loro; ma ciò significava averne pietà. Erano davvero poco illuminati e io inventai per loro qualche fuoco. Fu l’inizio della mia aquila. Da quel giorno mi rendo conto di essere nudo.
Ho amato gli uomini appassionatamente, perdutamente, dissennatamente. Tanto ho fatto per loro che è come se gli avessi fatti io; infatti che cos’erano prima? Erano, ma non ne avevano coscienza, con tutto il mio amore verso di loro io feci l’uomo a mia immagine cioè feci questa coscienza come un fuoco per illuminarli… Non pago di dar loro la coscienza del loro essere, volli dar loro anche ragione d’essere. Donai loro il fuoco, la fiamma e tutte le arti che la fiamma alimenta.”
PROMETEO: Mille cosa inventai per i mortali, più stupirai udendo le scienze che trovai, le vie che apersi. Tutto ciò che gli uomini conoscono proviene da Prometeo.
GIDE: Così Prometeo infiammando i loro animi facesti nascere in loro la divorante fede nel progresso e la salute degli uomini si logora nel produrlo, non hanno più fede nel bene, ma speranza malata nel meglio.
La fede nel progresso è la nostra aquila, Prometeo, la nostra aquila è la nostra ragione d’essere: vizio o virtù, ragione o passione. La nostra felicità così scemò e tu Prometeo te ne sentivi responsabile, ogni volta che ci pensavi, la sera, triste come un rimorso la tua aquila veniva a mangiare...Ma chi manda l’aquila? Da dove viene? Qual è la sua natura?
OCEANINE:  Zeus, soltanto Zeus è libero…soltanto Zeus è libero…soltanto Zeus è libero..
GIDE: Sì, certo, Zeus! c’è anche Zeus nel mio Prometeo. E veniamo all’altro punto interessante della vicenda. Solo Zeus è capace di un’azione gratuita.  Un’azione gratuita! Per molto tempo ho pensato che era proprio quello che distingueva l’uomo dagli animali: un’azione gratuita!
Capisci? Un’azione gratuita. Un atto che non è motivato da niente. Interesse, passione: niente. L’atto disinteressato, nato da sé, anche senza scopo; dunque senza chi comandi, l’atto libero da ogni determinismo, l’atto autoctono. E invece l’uomo è tormentato dalla sua aquila, anche tu Prometeo sei tormentato dalla tua aquila, e l’uomo è tale proprio perché ha un’aquila. Solo Zeus è capace di un’azione gratuita, solo colui la cui fortuna è infinita, che possiede tutto,  può agire con totale disinteresse. Solo Zeus è libero dall’aquila,  non deve rendere ragione delle proprie azioni, né trovarne un senso, egli non si manifesta, gioca con gli uomini, è lui che dà le aquile, ma non si manifesta: non vuole perdere il suo prestigio . Questa è la sua legge.
OCEANINE: o dio che non ti pieghi all’ira degli dei, hai onorato gli uomini come dei, contro la legge.
 

CAMUSSCENA VII
PROMETEO, OCEANINE, CAMUS

CAMUS:  Che significato ha Prometeo per l’uomo d’oggi?
OCEANINE Parla Camus, lo scrittore, colui che ha scavato dentro la realtà come un bulldozer e ne ha tratto fuori idee incarnate in fatti. Anche lui ha immaginato Prometeo agli Inferi, cioè nell’inferno del suo tempo. E gli è servito ad accettare il limite dell’uomo, la limitation, ovvero la non-eternità.
CAMUS: Che significato ha Prometeo per l’uomo del novecento dopo la catastrofe della guerra mondiale, dopo la bomba atomica e lo sterminio? Senza dubbio si potrebbe dire che questo ribelle che insorge contro gli dei è il modello dell’uomo contemporaneo e che la sua protesta elevata migliaia di anni fa nei deserti della Scizia, termina oggi in una convulsione storica che non ha l’uguale. Ma al tempo stesso qualcosa ci dice che Prometeo continua a essere perseguitato fra noi e che noi siamo sordi al grande grido della rivolta umana di cui egli dà il segnale solitario.
L’uomo del mio tempo è ancora l’uomo che soffre, in masse prodigiose sulla stretta superficie di questa terra…
OCEANINE): l’uomo privato di fuoco e di cibo…
CAMUS: …per il quale la libertà non è altro che un lusso che può aspettare,
OCEANINE: … e per quest’uomo si tratta ancora di soffrire un po’ di più…
CAMUS: … come per la libertà e per gli uomini d’oggi suoi testimoni si tratta ancora di scomparire un po’ di più.
OCEANINE: Prometeo è l’eroe che amò tanto gli uomini da dare loro il fuoco…
CAMUS: …e la libertà, le tecniche e le arti.
Ma l’umanità, oggi, non ha bisogno e non si cura che della tecnica, delle macchine. Considera l’arte e quello che l’arte suppone come un ostacolo e un segno di servaggio.
La tua caratteristica invece è di non poter separare la macchina dall’arte. Tu hai pensato di poter liberare al tempo stesso i corpi e le anime. Ma l’uomo attuale crede che sia necessario prima liberare il corpo, anche se lo spirito debba provvisoriamente morire.
Ma può lo spirito morire   p r o v v i s o r i a m e n t e?
In realtà se tu oggi tornassi, gli uomini farebbero come gli dei di allora: ti inchioderebbero alla roccia e Forza e Violenza ti insulterebbero!!!
L’uomo del mio secolo immerso nel suo sangue, terribilmente vecchio nonostante la sua giovinezza  ha acconsentito a essere schiavo della storia, una storia vista come terra sterile, come procedere inesorabile e ineluttabile in cui lo spirito, la libertà non possono generare nulla.  Così l’uomo del mio tempo ti ha tradito !!!
OCEANINE: Ha tradito Prometeo, il figlio dai pensieri arditi e dal cuore leggero.
CAMUS: Così l’uomo oggi, con un processo inverso ritorna alla miseria di quegli uomini che tu allora volesti salvare…
OCEANINE:… gli uomini vedevano senza vedere, ascoltavano senza udire, simili a immagine di sogno…
CAMUS: E’ ancora tutto da fare; per gli uomini del mio tempo è ancora tutto da fare, siamo regrediti allo stato iniziale: dobbiamo reinventare il fuoco, ripristinare i mestieri per calmare la fame del corpo. L’Attica, la libertà e le sue vendemmie, il pane dell’anima sono per dopo, forse sono per altri…Tu che sei indovino dimmi: per noi tutto questo non ci sarà mai più? Avremo la forza di far rivivere lo spirito?
PROMETEO:  Io vi prometto riforma e riparazione, o mortali, se voi sarete tanto abili, virtuosi e forti da operarle con le vostre mani.
CAMUS: Se dunque è vero che la salvezza è nelle nostre mani, anche se dubito a volte se sia permesso salvare l’uomo del mio tempo, penso che è ancora possibile salvarne almeno i figli, salvarli sia nel corpo sia nello spirito perchè ogni mutilazione è sola provvisoria,  se oggi infatti è più necessario il pane del corpo, impareremo almeno a preservare il ricordo del pane dell’anima. Sappiamo che la storia è senza occhi, e che bisogna quindi rifiutare la sua giustizia per sostituirle per quanto si possa quella concepita dallo spirito. A questo punto Prometeo rientra nuovamente nel nostro secolo. Prometeo! è la tua fede nell’uomo che serve al mio secolo, in questo tu sei più duro della roccia e più paziente dell’avvoltoio. Per noi uomini del novecento, più della ribellione contro gli dei che ti ha  reso solo ha un senso la tua lunga ostinazione.
Tu resisti dunque non per strappare gli uomini dalla fragilità, dal dolore, dalla morte a cui per volere del destino siamo tutti esposti, ma perchè ci sia sempre la possibilità di riconciliare il cuore doloroso degli uomini con le primavere del mondo.

 
eschiloSCENA VIII
ESCHILO,  PROMETEO, OCEANINE

OCEANINE:  Quante incessanti domande la tua sofferenza, Prometeo, suscita in noi, in tutti gli uomini e i poeti che hanno letto e che ancora leggeranno la tua storia:
ESCHILO: Tante domande e tutte legittime, tutte mosse dalla drammatica vicenda di questo Prometeo che io, Eschilo, ho  incatenato ad una roccia e in cui tutti continuano a riconoscere l’emblema del destino umano, così spesso intriso di dolore, ingiustizia e morte.
OCEANINE: Tante domande, ma in fondo la domanda  vera è una sola: questa passione, il desiderio di compimento, di felicità, tenacemente radicato in Prometeo come in ogni uomo, è  destinato a rimanere sempre insoddisfatto? E’ inutile?
ESCHILO: No, certamente, ma vale la pena  ancora oggi di  interrogare questa antica vicenda,  rileggendo attentamente quanto nella mia tragedia accade a Prometeo e chiedersi perché, perché un essere così intelligente, così appassionato alla sorte dell’uomo, così sprezzante del personale dolore, sia così duramente punito.
PROMETEO: Io so perché sono stato punito, anche se non accetto il motivo e l’entità di questa punizione: conosco tutto quanto il futuro perfettamente e non mi giunge inatteso nessun dolore. È per aver fornito doni ai mortali che sono aggiogato a tale tortura. Per tali delitti pago il fio inchiodato con catene, a cielo aperto. Sapevo tutto bene. Volontario, volontario è stato il mio errore, non lo negherò: per soccorrere i mortali mi sono procurato dolori io stesso; sapevo tutto bene. Bisogna sopportare il meglio possibile la porzione di sorte che ci è assegnata, sapendo che è invincibile la forza della necessità.
OCEANINE: Così pienamente consapevole del tuo agire… A nulla sono valse, perciò,  le esortazioni di nostro padre, Oceano, così ammirato della tua intelligenza, così desideroso di intercedere per te presso Zeus. Ricordo le sue parole: “ Impara a conoscere te stesso – ti pregava-  e modifica il tuo atteggiamento in uno nuovo: nuovo  infatti è anche il sovrano. Rinuncia al tuo carattere e cerca invece il modo di liberarti da queste sofferenze. Questa è la ricompensa ad una lingua troppo superba. Ma tu non sei umile e non cedi ai mali e vuoi aggiungerne altri a quelli che hai. Ascolta la mia lezione: Non impuntarti sotto la sferza, vedendo che ora ha il potere un monarca duro e non soggetto a giudizio”
PROMETEO: L’ho invitato a non darsi pena per me, è una fatica superflua e una dabbennaggine da insensato cercare di dissuadere Zeus; quanto a me – gli ho detto - andrò fino in fondo al mio destino.
ESCHILO: Oceano voleva convincerti a prendere atto della realtà, della nuova realtà che si è creata nel mondo divino. Così pure  Ermes, giunto da te con l’ingiunzione da parte di Zeus di rivelargli il segreto che lo avrebbe potuto salvare, ti ha detto parole vere che avresti dovuto ascoltare.
PROMETEO: Ma  davvero il suo discorso è stato di tono superbo e pieno di alterigia, degno di un galoppino degli dei.
ESCHILO: Avresti, comunque,  dovuto ascoltarlo quando ti diceva: “Non rivelerai nulla di ciò che il Padre Zeus desidera?  Guarda che Zeus non si lascia raddolcire dai tuoi comportamenti; è per i tuoi precedenti gesti d’autonomia che ti sei vincolato a queste pene. Pazzo, abbi il coraggio, abbi il coraggio una buona volta di ragionare rettamente di fronte a queste tue sofferenze presenti, reali. 
PROMETEO: Non accadrà mai che io supplichi di sciogliermi da questi legami chi ho tanto in odio.
ESCHILO:  Infatti “recalcitri al giogo e lotti contro le redini, mordendo il freno come un puledro. Ma ti esalti” - ti ha detto Ermes - “per una astuzia  davvero debole. La pretesa di autonomia,  la pretesa di fare solo ciò che uno crede, infatti, per chi ragiona male,  non ha alcuna forza. Ermes ti ha preannunciato una sciagura inevitabile e ed eterna e le sue parole  - ha detto -  non sono un vanto fittizio, ma sono vere, perché Zeus non sa mentire e porta a compimento ogni sua parola: non ritenere più l’autonomia preferibile al retto consiglio”
Vedi, Prometeo, Ermes ti ha voluto dire che la tua  pur grande  intelligenza, la tua arguzia sono un nulla se non colgono la realtà quale è; il tuo errore è stato quello di perseguire un tuo particolare criterio, invece di riconoscere il disegno che oggi regola il mondo. Certamente il modo di agire di Zeus appare crudele e c’è un’apparente giustizia nelle tue azioni, ma -“Guardati  intorno e renditi conto” - , ora è la giustizia di Zeus, anche se  sembra misteriosa e incomprensibile,  l’unica vera giustizia perché egli è il dio che ora regna.
OCEANINE: Anche noi, Prometeo , che pur ti siamo amiche, anche noi ti abbiamo detto che sei troppo ardito e che non sei per nulla disposto a cedere alle aspre sventure, che parli con libertà eccessiva; ed anche riguardo ad Ermes, non ci sembra che abbia parlato fuori luogo: ti ha invitato a rinunciare all’autonomia per ricercare la saggezza del retto consiglio.  E in effetti, tu, Prometeo, senza alcun timore di Zeus, seguendo una idea tutta tua, onori troppo i mortali .
PROMETEO:  E’ vero e me ne vanto:  da infanti quali erano  ho voluto renderli  razionali e capaci di pensiero. Prima pur avendo la vista vedevano invano, pur avendo l’udito non intendevano, ma simili a forme di sogno mischiavano confusamente ogni cosa per la lunga durata della loro vita.  Compivano tutto senza criterio, finchè, oltre alle altre invenzioni - tutte le arti vengono ai mortali da me, da Prometeo -, escogitai per loro il numero e l’unione delle lettere, memoria di tutto, operosa madre delle arti. Eppure dopo aver escogitato tali invenzioni per gli uomini, io sventurato, non ho io stesso il mezzo per liberarmi dal dolore presente.
Ho inoltre impedito agli uomini di considerare la loro sorte mortale.
OCEANINE: Che tipo di rimedio hai scovato per questo male?
PROMETEO: Ho posto in loro cieche speranze.
OCEANINE: Un grande giovamento hai così donato ai mortali. Ma , Prometeo, non procurare  agli uomini vantaggi oltre misura, trascurando la tua misera condizione.
ESCHILO:  Non devi infatti!  e non solo perchè da essi non potrai ottenere aiuto e sostegno di fronte alle tue sofferenze.  Non hai visto da che debolezza impotente, simile a un sogno, è impedita la cieca stirpe degli uomini? C’è in essi un’impotenza radicale, ma tu hai voluto impedire – come tu stesso hai detto -  che essi la prendessero in considerazione, ponendo in loro le false speranze di un progresso liberatorio. E’ illusorio il rimedio che hai proposto, è fragile come la loro stessa fragilità. Anzi la medicina che hai offerto loro incrementa, anziché curare la malattia e come un medico inetto, caduto  egli stesso nella malattia, ti scoraggi e non sai trovare per te  stesso le medicine. Nella tua indomabile volontà solitaria di opporti a Zeus, hai commesso un errore e hai perseverato in esso, senza credere  davvero che  egli porta a compimento ogni sua parola.  ma  egli  ti sprofonderà sotto terra   tra la furia del cielo e del mare, tra folgori e fulmini  e trascinerà con te anche loro, che per compassione del suo dolore, o forse per  condiscendenza verso la fragilità  di sogno, decideranno di condividere la tua sorte.
E voi, con lui, divenute preda dell’accecamento, non dite che Zeus vi ha  gettate in un dolore imprevisto, bensì che voi avete gettato voi stesse. Consapevoli, infatti, e non all’improvviso né insidiosamente, sarete impigliate – come lui - sarete impigliate nella rete inestricabile di Ate con lui, non più a parole, ma in realtà. 



              

 

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