"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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La primavera e l'uomo
(da Zetesis 93-2/3 e successivamente modificato)
Proponiamo alcuni testi in cui ricorre il tema della primavera confrontata con la realtà degli uomini. Il confronto è per lo più motivo di riflessioni malinconiche, che rilevano l'inferiorità dell'uomo in generale, o di qualcuno in particolare, rispetto alla natura. Il motivo di questa inferiorità può essere la capacità della natura di rinnovarsi, di ritornare giovane, mentre l'uomo va inesorabilmente verso la morte: è il tema dell' ode oraziana IV, 7:
arboribusque comae; mutat terra vices et decrescentia ripas flumina praetereunt; Gratia cum Nymphis geminisque sororibus audet ducere nuda choros. Immortalia ne speres, monet annus et almum quae rapit hora diem. Frigora mitescunt Zephyris, ver proterit aestas, interitura simul pomifer autumnus fruges effuderit, et mox bruma recurrit iners. Damna tamen celeres reparant caelestia lunae; nos, ubi decidimus, quo pater Aeneas, quo Tullus dives et Ancus, , pulvis et ombra sumus. Quis scit an adiciant hodiernae crastina summae , tempora di superi? Cuncta manus avidas fugient haeredis, amico quae dederis animo. Cum semel occideris et de te splendida Minos , fecerit arbitria, non Torquate genus, non te facundia, non te restituet pietas. Infernis neque enim tenebris Diana pudicum liberat Hippolytum, nec Lethaea valet Theseus abrumpere caro vincula Pirithoo.
Il motivo è ripreso soggettivamente da G. Carducci nella poesia di Rime nuove scritta nel 1871 per il figlio Dante morto l'anno prima: non è tanto la natura in generale, ma una pianta particolare che si rinnova al tornare della bella stagione; ed è sul bambino che s'incentra la riflessione esistenziale. Tuttavia l'anafora tu ... tu richiama l'oraziano te ... te (v. 23) e il titolo inserisce il motivo personale in una tradizione più vasta.
PIANTO ANTICO
L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno, da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora, e giugno lo ristora di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta percossa e inaridita, tu de l'inutil vita estremo unico fior
sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra, né il sol più ti rallegra né ti risveglia amor.
ALBERO
Da te un'ombra si scioglie che par morta la mia se pure al moto oscilla o rompe fresca acqua azzurrina in riva all' Anapo, a cui tomo stasera che mi spinse marzo lunare già d'erbe ricco e d’ali.
Non solo d'ombra vivo, ché terra e sole e dolce dono d'acqua t’ha fatto nuova ogni fronda, mentr’io mi piego e secco e sul mio viso tocco la tua scorza.
Più frequentemente incontriamo il contrasto fra la positività della natura in primavera e la negatività della condizione in cui il poeta si trova, in genere a causa dell'amore infelice. Il tema ricorre in Ibico (fr. 5 P): a primavera la natura gode di riposo e frescura, negate invece al poeta (o alla persona a cui egli dà voce, visto che si tratta di un frammento di lirica corale):
ἦρι μὲν αἵ τε Κυδώνιαι
"A primavera i meli cotogni, irrigati dalle correnti dei fiumi, là dov' è il giardino incorrotto delle Vergini, e i fiorellini della vite, che crescono sotto gli ombrosi tralci ricchi di pampini, germogliano; per me invece Amore non riposa in nessuna stagione. E come il tracio Borea fiammeggiante per il fulmine, così, balzando dal grembo di Venere, con aride pazzie, cupo, indomabile, potentemente dal profondo tiene il mio cuore".
Nella poesia medioevale il contrasto fra la gioia diffusa nella natura a primavera e l'infelicità dell'amante è un tema frequentissimo. Riportiamo due brani di trovieri del XII secolo: la prima strofa di una canzone di Blondel de Nesle:
Li rosignous a noncié la nouvele lai que la sesons du douz tens est venue, que toute riens renest et renouvele, que li pré sont couvert d'erbe menue. Pour la seson qui se change et remue, chascuns fors moi s'esjolst et revele. Las! car si m'est changiee la merele qu'on m'a geti en prison et en mue.
"L'usignolo ha annunciato la notizia che la stagione del dolce tempo è venuta, che ogni cosa rinasce e si rinnova, che i prati sono coperti d'erbetta. Per la stagione che cambia e muta, ciascuno tranne me gioisce e si rallegra. Ahimè! Giacché mi si è così cambiata la sorte che mi hanno gettato in prigione e in gabbia." Ed ecco la strofa iniziale di una canzone del troviero Gace Brulé:
Quant voi la flor boutoner, . qu'esclarcissent nuage, et j'oi l'aloe chanter du tens qui rassouage, las! ne me puis conforter, - , qu'amours veut mon damage. A celi me fait penser qui me tient a outrage. Ha! fins amis morrai, ce m'est vis. Ja voir n’en partirai vis: trop m'a sourpris.
"Quando vedo i fiori mettere i boccioli, e i fiumi diventano trasparenti, e odo l’allodola cantare il tempo sereno, ahimè, non mi posso confortare, perché amore vuole la mia rovina. Mi fa pensare a colei che mi fa torto. Ah! cari amici, morirò, lo so bene. Non smetterò di vederla: troppo mi ha conquistato."
La poetessa del XIII secolo che conosciamo col nome di Compiuta Donzella ci ha lasciato un sonetto dalla struttura ad anello (foglia e fiora … fior né foglia) in cui il rinascere della natura trova la sua corrispondenza nelle gioie degli innamorati; in opposizione a tale corrispondenza vi è la situazione della donna (e me, quasi esattamente a metà del sonetto), angosciata dalla prospettiva di un matrimonio a cui il padre vuole forzarla e incapace quindi di godere della bellezza della primavera. A
la stagion che ’l mondo foglia e fiora ed
io di ciò non ò disio né voglia,
Il tema s'incontra in un sonetto del Petrarca in morte di Laura, che presenta un intreccio di motivi: al più evidente, il tema della gioia non condivisa, che l’apparenta ai testi dei trovieri, si aggiunge il tema della primavera come stagione degli amori, in contrasto con la solitudine del poeta, il tema del rinnovarsi della vita, mentre Laura è morta, e l'ulteriore amarezza della coincidenza fra la primavera e l'anniversario della morte (CCCX):
Zefiro torna e ’l bel tempo rimena e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia, e garrir Progne e pianger Filomena, e primavera candida e vermiglia; ridono i prati e il ciel si rasserena, Giove s’allegra di mirar sua figlia, l’aria e l’acqua e la terra è d'amor piena, ogni animal d’amar si riconsiglia. Ma per me, lasso, tornano i più gravi sospiri, che del cor profondo tragge quella ch’al ciel se ne portò le chiavi, e cantar augelletti e fiorir piagge e ’n belle donne oneste atti soavi sono un deserto e fere aspre e selvagge.
Esiste tuttavia anche una diversa soluzione del confronto fra l'uomo e la natura: l'amore felice fa cantare anche quando la natura è oppressa e resa muta dall'inverno. Troviamo questa inversione di tema in un'altra canzone di Gace Brulé (prima strofa):
Quant flors et glaiz et verdure s'esloigne, que cil oisel n’osent un mot soner, por la froidour chascuns doute et resoingne jusqu’au beau temps que il suelent chanter, je chanterai, que ne puis oblier la bone amour dont Dex joie me doigne, que de li sont et viennent mi penser. "Quando i fiori e i giaggioli e la verzura se ne vanno e gli uccelli non osano emettere un suono, e per il freddo tutti esitano e temono fino alla bella stagione in cui sono soliti cantare, io canterò, perché non posso dimenticare l'amore, della cui gioia Dio mi renda degno: da lì derivano e vengono i miei pensieri". A sua volta, la lirica provenzale conosce esempi di contrasto fra l’uomo e la natura gioiosa, ma anche esempi di coincidenza: citiamo le prime due strofe di una poesia di Arnaut de Maruelh (sec. XII-XIII): Belli m'es quan lo vens m'alena en abril ans qu' entre mais, e tota la nueg serena chanta.l rossinhols e.l jais; quecx auzel en son lenguatge, per la frescor del mati, van menan joi d'agradatge, com quecx ab sa par s'aizi.
E pus tota res terrena s'alegra quan fuelha nais, no.m puesc mudar no.m sovena d’un’amor per qu’ieu sui jais; per natur e per uzatge ' , me ve qu'ieu vas joi m'acri, lai quan fai lo dous auratge que.m reve lo cor aissi.
"È bello per me quando il vento soffia in aprile prima che cominci maggio, e per tutta la notte serena cantano l'usignolo e la ghiandaia; ogni uccello nel suo linguaggio, per la frescura del mattino, esprime la gioia e il gradimento, come chi è vicino alla sua compagna. E poiché ogni cosa terrena si rallegra quando nasce la foglia, non posso evitare di ricordarrni di un amore per cui sono felice; per natura e per abitudine vedo che mi accosto alla gioia quando spira la dolce brezza che così mi ravviva il cuore".
Anche Quasimodo in un’altra poesia di Acque e terre innova il tema, identificandosi con la natura che si rinnova invece di porsi in contrasto con essa: più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza non interdicta cui licet urbe frui! ἀλλά σ' ἐς ᾿Ηλύσιον πεδίον καὶ πείρατα γαίης ἀθάνατοι πέμψουσιν, ὅθι ξανθὸς ῾Ραδάμανθυς, — τῇ περ ῥηΐστη βιοτὴ πέλει ἀνθρώποισιν· οὐ νιφετός, οὔτ' ἂρ χειμὼν πολὺς οὔτε ποτ' ὄμβρος, ἀλλ' αἰεὶ ζεφύροιο λιγὺ πνείοντος ἀήτας ᾿Ωκεανὸς ἀνίησιν ἀναψύχειν ἀνθρώπους, (Od. IV, 563 segg.)— Ti manderanno nel campo
Elisio e ai confini della terra gli dèi immortali, dov’è il
biondo Radamanti; là per gli uomini la vita è
comodissima: non vi è mai neve, né un
lungo inverno né pioggia, ma sempre il soffio
armonioso del vento Favonio l’Oceano invia per
rinfrescare gli uomini.
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