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IL PARTICIPIO IN LATINO


I. Valori del participio.

1. Il latino ha notevolmente ridotto le forme participiali ereditate dal periodo indeuropeo, distinguendosi nettamente dall’uso rimasto in altre lingue, dove ad ogni tema verbale corrisponde un participio attivo e uno medio (sanscrito, iranico, greco).
In latino troviamo soltanto:
a) un participio -ent- derivato dal tema del presente e con diatesi attiva
b) l'antico aggettivo verbale di prima classe in -to, corradicale del sostantivo verbale della quarta declinazione in -to (di cui sono forme i due supini -um e -u) ma sentito dal latino come connesso col tema del perfetto, tanto da formare in perifrasi con sum il suo passivo. Il participio è usato in senso  passivo, mentre nei verbi cd. deponenti sia il participio sia la perifrasi con sum hanno finito per assumere significato attivo.
c) un aggettivo verbale in -turo usato come participio futuro attivo.

2. La scarsità delle forme rimaste ha notevolmente complicato il quadro degli usi e delle distinzioni tra i vari temi, creando numerose oscillazioni dovute alla tendenza che hanno le forme esistenti a supplire in qualche modo il ruolo di quelle scomparse.
Pertanto in latino si incontrano participi presenti con significato medio-passivo/riflessivo, per supplire alla mancanza di participi presenti di tale diatesi:
lavans “che prende il bagno, che si lava”; volentia alicui  “le cose gradite a uno” (Tacito, Sallustio, ecc.). Così  si trovano participi passati di verbi non deponenti con significato attivo, non essendoci il participio attivo corrispondente: potus “che ha bevuto”, iuratus “che ha giurato” perosus “che ha odiato” ; vi sono anche participi passati di verbi deponenti che oscillano fra il significato attivo e passivo: depopulatus “che ha o è stato saccheggiato” adeptus “che ha o è stato ottenuto”.
Anche il valore temporale è turbato spesso dalla mancanza in latino di una precisa distinzione di aspetto e  tempo: oltre tutto il cosiddetto participio passato in -to, essendo stato connesso con l’ambito del perfetto, risente della confusione dovuta al confluire nel perfetto latino di originari aoristi (dixi  / ἔδειξα) e originari perfetti (didici  sul tipo di  δέδωκα;  cfr. anche vidi / οἶδα). Quindi anche se di norma il participio presente indica azione contemporanea a quella della sovraordinata (video te ludentem “ti vedo giocare”), mentre il participio passato indica azione anteriore, accade talvolta che il participio presente indichi soltanto l’aspetto imperfettivo di un’azione:
at pius Aeneas, per noctem plurima volvens / ut primum lux alma data est, exire …(Verg., Aen. 1, 305):  volvens indica un’azione prolungata precedente il mattino (“dopo aver  riflettuto…”).
D’altra parte nella seguente frase di Orazio (Serm. II, 8, 39 seg.) invertunt… vinaria tota, /… secutis omnibus, in quel secutis non c’è una relazione di tempo, ma l’enunciazione di un aspetto aoristico con cui è visto il fatto della subordinata rispetto al valore imperfettivo della reggente: rovesciano (quasi continuano a rovesciare) intere anfore e tutti li imitano (il fatto in sé). Vedi poi anche il par. III, 3.
In questo quadro vanno inseriti i frequenti casi in cui prevale l’aspetto perfettivo / risultativo: veritus significa “che è stato preso dal timore” e quindi “che teme”, non che ha temuto; arbitratus “che è giunto ad una opinione” e quindi ritiene;  analogamente ratus, gavisus, usus, ausus, diffisus, ecc., tutti verbi di cui si usa dire che il participio passato ha valore di presente:
(Germanos) sibi Caesar oblatos gavisus, illos retineri iussit (BG 4, 13, 6): “lieto che…”
 
II. Participio attributivo e sostantivato
 
Con valore di attributo il participio qualifica il sostantivo a cui si riferisce (risposta a quale? oppure come?) A differenza del greco, che usa in questo caso prevalentemente l’articolo (posizione attributiva del participio), in latino la mancanza dell’articolo rende non sempre chiaro il valore attributivo del participio, rispetto al valore congiunto o predicativo.  Alcuni esempi:
Arma enim infesta et destricti gladii et discursus telorum et adventantis equitatus fragor et corruentium exercituum impetus iuvenibus quoque aliquantum terroris incutit (Val.Max.): l’alternanza fra aggettivi e participi è chiaro segno del valore attributivo dei participi.
(Iuppiter) caelum versat stellis fulgentibus aptum (Enn.): aptum, participio perfetto di apio, è divenuto a tutti gli effetti un aggettivo dotato di forma comparativa e superlativa, mentre fulgentibus è participio con valore attributivo. 
Pectora longis hebetata malis, iam sollicitas ponite curas (Sen.): la sofferenza qualifica il cuore a cui il personaggio si rivolge.
Reddendus est nunc Romanae iuventuti debitus gloriae titulus (Val. Max.) il titulus gloriae è definito come dovuto.
Lenit albescens animos capillus litium et rixae cupidos protervae (Hor.): a differenza dei precedenti, qui albescens potrebbe essere attributivo (“il capello che diviene bianco”) o congiunto (“quando diviene…poiché diviene…”) o predicativo (da tradurre  “l’imbiancarsi dei capelli…”)
 
Molti participi, come aptum già visto,  assumono col tempo valore esclusivamente aggettivale: diligens, neglegens, doctus, cautus, quietus, sponsus, amans, ecc.,  e come tale assumono anche l’uso sostantivato:
Quis fallere possit amantem? (Verg.)
 
L’uso sostantivato del participio, più facilmente riconoscibile dell’attributivo nonostante l’assenza di articolo,  è particolarmente frequente coi neutri plurali:
Aeternum da dictis, diva , leporem (Lucr.)
(Fama) pariter facta atque infecta canebat (Verg.)
Delicta maiorum immeritus lues, Romane (Hor.)
Ad hoc maledicta alia cum adderet, obstrepere omnes (Sen.)
Loca aequalia et nuda gignentium (Sen.)
Volgatis traditisque demere fidem non ausim (Tac.)
 
Esempi al maschile/femminile, per lo più in senso generico (“una persona che…”, come l’amantem dell’esempio di Virgilio):
Nihil est magnum somnianti (Cic.)
Facilius est currentem, ut aiunt, incitare, quam commovere languentem (Cic.)
Homines magis defendenti quam accusanti favent (Sen. rhet.)
 
Invece con chiara indicazione del genere in contesti specifici:
Missi ad Pompeium revertuntur (Caes.)
Così il classico saluto morituri te salutant
 
III. Participio predicativo
 
1. Participio come predicato nominale
Propriamente andrebbero inseriti sotto questa voce i tempi formati perifrasticamente col participio passato (tipo amatus sum) e la cosiddetta perifrastica attiva col participio futuro (tipo amaturus sum), in cui storicamente il legame con la copula ha determinato un significato specifico.  Da notare il fatto che nel tipo ianua clausa est  può prevalere il significato globale della perifrasi (“la porta fu chiusa”) o il valore aggettivale del participio (“la porta è chiusa”, non azione ma stato permanente):
Eo libro qui est inscriptus Hortensius (Aug.)
Meno usato è il participio presente in unione col verbo sum: si trova soprattutto quando il participio sostituisce un aggettivo o è in correlazione con un altro aggettivo:
Quoius cupiens maxume est (Pl.): cupiens corrisponde a cupidus ed è costruito col genitivo.
Tam sui despiciens fuit (Cic.): anche questo participio è costruito col genitivo, segno del valore aggettivale.
Iugurtha…iussis vestris oboediens erit (Sall.): in questa frase il predicato nominale sostituisce il futuro del verbo.
Videtis ut senectus sit operosa et semper agens aliquid (Cic.): agens mantiene il valore e la costruzione verbale ma è in correlazione con l’aggettivo operosa.  
“Ego sum miser” “Immo ego sum, et misere perditus” (Pl.): l’aggettivo è contrapposto al participio.
 
2. Participio predicativo del soggetto, dell’oggetto o di altro termine
Un esempio di predicativo del soggetto in questa frase: Erat Miseni classemque imperio praesens regebat (Plin.) corrispondente ad una perifrasi tipo “di persona” o all’avverbio “personalmente”.                                  
 
L’uso più frequente del predicativo dell’oggetto o del soggetto si trova coi verba sentiendi all’attivo o al passivo: il significato corrisponde per lo più ad un costrutto italiano all’infinito (“lo vedo fare…lo sento dire…”), indicando l’immediata percezione.
Visam te incolumem audiamque Hiberum narrantem loca, facta, nationes (Catull.): interessante la coordinazione fra due verba sentiendi, uno con aggettivo predicativo e l’altro col participio.
Catonem vidi in biblioteca sedentem (Cic.): qui corrisponde meglio ad un “seduto”
Audierunt eum duo discipuli loquentem (NT).
M.Antonius cum cohortibus XII descedens ex loco superiore cernebatur (Caes.)
Apud Homerum regius senex agrum laetificans suis manibus reperitur (Plin.)
 
Si trovano participi predicativi del soggetto per imitazione del greco con verba affectuum: Leo gaudet comantes excutiens toros (Verg.); Gaudet potitus (Verg.), Più frequente è la completiva con quod.
 
Il participio in funzione predicativa è frequente anche in sostituzione di un sostantivo astratto, in base alla predilezione latina del concreto, tipo Ab urbe condita, post Christum natum:
Regnatum (est) Romae ab condita urbe ad liberatam annos ducentos quadraginta quattuor (Liv.) “dalla fondazione…alla liberazione…”
Nemo post haec finita reticuit (Amm.) “dopo la fine…”
Nunc mihi quid suades post damnum temporis et spes deceptas? (Iuv.) “il danno…e la delusione…”
Angebant ingentis spiritus virum Sicilia Sardiniaque amissae (Liv. 21,1,5): il participio riferito ai due soggetti sostituisce un sostantivo astratto (“la perdita di…”) o una completiva con quod (“il fatto che…”): in una frase come questa l’interpretazione del valore del participio come predicativo o congiunto è discutibile.
 
IV.  Participio congiunto
 
Melantone, Grammatica Latina, Coloniae 15691. Il participio è usato spesso in costrutti in cui, unendosi con un nome o un pronome, corrisponde a una proposizione secondaria avverbiale.  Nella prosa anteriore a Livio  in questi costrutti viene ordinariamente impiegato il solo participio presente o perfetto, non il participio futuro, usato nella perifrastica attiva; in età imperiale si trova anche il participio futuro congiunto (così come il participio futuro attributivo e sostantivato). Tale costruzione può sostituire subordinate temporali, causali, condiziona1i, concessive. Esempi:
a)   temporali: omne malum nascens facile opprimitur (Cic., Phil.5, 11, 31)
b) causali: Dionysius cultros metuens tonsorios candenti carbone sibi adurebat capillum (Cic., de off. 2,7,25); Athenienses Alcibiadem, corruptum a rege, capere Cymen noluisse arguebant (Nep.).
c) condizionali: mendaci homini ne verum quidem dicenti credere solemus (Cic. de divin. 2,71,146); quis est enim qui totum diem iaculans non aliquando colliniet ? (Cic. de divin. 2,59,121)
d) concessive: bestiis ipsa terra fundit ex sese pastus varios nihil laborantibus (Cic. de fin. 2,34, 111); risus interdum ita repente erumpit ut eum cupientes tenere nequeamus (Cic.).
Nei casi fin qui citati il rapporto di senso era indeterminato e ricavabile solamente dal contesto; ma il participio è spesso accompagnato (per lo più preceduto)  da avverbi che ne determinano il senso (uso che aumenta da Livio):
a) temporali: Calidius statim designatus ... quam esset cara sibi mea salus declaravit (Cic. post red. 22); imperator extemplo adveniens appellatus est (Liv.4,39,15); haec simul increpans cum ocius signa convalli iuberet (Liv. 22,3,11); cum eo hoste res est qui.... hunc tam opportunum collem ... non ante viderit quam captum a nobis (Liv. 7,35,5);
b) causali: in particolare quippe (Sall.), utpote (Liv.)
c) condizionali: In dispositione argumentorum tu mihi semper deus videri soles” "Vide quam sim - inquit Cicero - deus in isto genere, Catule: non hercle mihi nisi admonito venisset in mentem” (Cic. de or. 2,180); Italiam Numidarum ... pati provinciam esse cui non, genito modo in Italia, detestabile sit? (Liv. 23, 5,13).
d) concessive: soprattutto etsi, quamquam: meno usuali licet e quamvis: quamvis porticu protecta vasa nihilominus supertegemus (Columella 9,14,14)
e) comparative: quasi (Cic.); sicut (Caes.); velut (Sall.); tamquam
 
2. Il 1atino usa spesso esprimere due azioni successive mediante una sola proposizione, ponendo l’azione precedente in participio congiunto:
T.Manlius Torquatus Gallum in conspectu duorum exercituum caesum torque expoliavit (uccise e spogliò, spogliò dopo aver ucciso, dopo che era stato ucciso: Liv. 6, 42, 5).
Questo uso, ben testimoniato in Cesare e Cicerone, diventa frequente nella prosa successiva a Livio e non va confuso col participio attributivo: il contesto chiarisce se il participio definisce di chi si tratta o rileva la successione delle azioni.  
 
V. Ablativo assoluto
 
1. L’ablativo assoluto è in origine una determinazione di tempo (come il genitivo greco), cui si aggiungono in epoca successiva tutte le sfumature di significato proprie dell’ablativo latino. Viene usato di norma quando il sostantivo cui il participio si accorda (e che funge da soggetto del costrutto) non può entrare nella sovraordinata né come soggetto né come complemento, vale a dire quando non è possibile utilizzare il costrutto del participio congiunto. E’ quindi evitato il tipo urbe capta Caesar eam diripuit,  data la possibilità del participio congiunto urbem captam Caesar diripuit. Si noti però che questa è soltanto una tendenza cui gli autori classici vengono talvolta  meno per esigenze di chiarezza e di efficacia, essendo l’uso del participio assoluto di ben altra forza rispetto al congiunto. Es.:
Nemo erit, qui credat te invito provinciam tibi esse decretam (Cic., Phil.11, 10,23);
Quo percusso et exanimato hunc scutis protegunt (Caes., BG 5,43,6)
Principibus Treverorum ad se convocatis hos singillatim Cingetorigi conciliavit (BG 5, 4, 3)
Nihil suspicantibus nobis repentine in nos iudices consedistis (Cic., Sul., 92),
Così in Caes., BG 4, 2,2 iumentis importatis his non utuntur sono ragioni di chiarezza che inducono l’autore a scegliere l’ablativo assoluto in luogo del participio congiunto: si poteva intendere che non importavano giumenti, mentre il senso è che non li usano dopo averli importati.
Si osservi ancora un esempio in cui il pronome dimostrativo richiesto nella sovraordinata è sottinteso, o meglio ricavabile dall’ablativo assoluto:
Vercingetorix convocatis suis clientibus facile incendit (BG 7,4,1).
Precisiamo che l’idea cosiddetta di assoluto= sciolto, slegato non riguarda l’inverso, cioè il riferimento nel costrutto ad un termine della sovraordinata, tipo: Caesar, prae se missis exploratoribus.,…del tutto usuale. Non è quindi in questione il legame logico, peraltro essenziale, ma una scelta linguistica.
 
2. L’ablativo assoluto può assumere tutte le sfumature di significato del participio congiunto  e può essere accompagnato dai medesimi avverbi:
 
a) valore temporale: Pythagoras Superbo regnante in Italiam venit (Cic.Tusc.1,16,38)
b) causale: Romani veteres regnari omnes volebant, libertatis dulcedine nondum experta (Liv. 1,l7,3)
c) condizionale: multa Caesarem ad id bellum incitabant ... imprimis ne, hac parte neglecta, reliquae nationes sibi idem licere arbitrarentur (BG 3, 10, 2)
d) concessivo: ut reliquorum imperatorum res adversae auctoritatem minuunt, sic huius ex contrario dignitas incommodo accepto in dies augebatur (BG 7, 30,3)
 
E, analogamente, con avverbi o particelle:
a) di tempo: haec ego ... vixdum etiam coetu vestro dimisso, comperi statim, extemplo (Cic. Cat. 1, 10);  non ante quam confecto bello accepturos se esse pretia servorum (Liv. 24, 28,12);
b) causale: utpote capta urbe (Liv. 2,33,8)
c) comparativo: velut posito bello (Liv.1,53,5)
d) concessivo: etsi aliquo accepto detrimento, tamen summa exercitus salva locum quem petant capi posse (Liv. 3l,41,7): qui c’è anche un esempio con valore causale/condizionale.
e) con ut nel senso di "pensando che": ut re confecta omnes curam et diligentiam remittunt (Caes. BC 2,13,2).: evidente imitazione del greco ὡς + participio.
 
3. L’ablativo assoluto si trova, nella prosa classica, col participio  presente di qualsiasi tipo di verbo: è rilevata la contemporaneità con la reggente, quindi sono evitate frasi tipo omnibus consentientibus Caesar maximus dux fuit; inoltre col participio passato passivo di verbi transitivi e deponente di verbi intransitivi: si tratta di una scelta che tende ad escludere sia il tipo ito (passivo impersonale = dopo che si andò) sia il tipo Duce hortato (deponente transitivo =avendo il comandante esortato) benché grammaticalmente corretti.
Tuttavia non mancano esempi di deponenti transitivi usati assolutamente e posti in ablativo assoluto: (Ptolaemeo) cum, peragranti Aegyptum, comitibus non consecutis, cibarius in casa panis datus esset, nihil visum est illo pane iucundius (Cic Tusc.5, 34,97); suis omnibus consecutis (Caes. BG, 4,26,5); quinque hominibus comprehensis atque confessis (Cic. Sul.33) in cui il participio passivo trae a sé il deponente. Si veda anche il passo delle Satire di Orazio al punto I, 2.
D’altro canto l’uso dell’ablativo assoluto con passivi impersonali, pur presente in alcuni testi (Ter. Hec. 737: nam iam aetate ea sum ut non siet peccato mi ignosci aequom; Liv. 26, 21, 4), si è ristretto ad alcuni participi soltanto, come augurato, explorato, debellato, litato.
 
Raro è poi l’uso di abl. ass. con participi passati di verbi deponenti transitivi reggenti il proprio complemento oggetto: Sulla omnia pollicito (Sall. Jug. 103, 7); Scipionibus inter se partitis copias (Liv.23, 26, 2.); consulibus sortitis provincias, extemplo et praetores sortiti sunt (Liv.).
Raro e tardo è l'uso del ptc. futuro negli ablativi assoluti: oppugnaturis hostibus castra (Liv. 28,15,3); rex apum non nisi migraturo examine foras procedit (Plin.); parum tuta frumentatio erat, dispersos milites per agros equitibus extemplo invasuris (Liv.).
 
4. Il soggetto dell’ablativo assoluto può essere una proposizione soggettiva: hoc loco praeterito et cur praetereatur demonstrato (Cic. de invent. 2, 34); Lucullus audito Q.Marcium cum tribus legionibus in Siciliam tendere, auxilium ab eo petiit (Sall.); Camillus, permisso ut ex collegis optaret quem vellet, L. Furium optavit (Liv.)
 
5. Il  soggetto può mancare quando è facilmente sottinteso: praemissis qui specularentur (Liv.2l, 23, 1); Caralitani, simul ad se Valerium mitti audierunt, nondum profecto ex Italia, sua sponte Cottam ex oppido eiciunt (Caes. BC 1,30: l’abl. ass. dipende in primo grado dalla principale: i Caralitani agiscono quando Valerio non è neppure partito, appena  hanno notizie anche solo del suo invio); accepi litteras tuas et paulum lectis respiravi (Cic.).
 
6. Si trova l’abl. ass. senza participio espresso quando viene sottinteso il participio presente del verbo sum (in realtà queste espressioni proseguono l’uso più antico della determinazione circostanziale, originariamente di tempo, poi anche di modo ecc.):
 Hoc concursu hominum litteratissimorum ac vestra humanitate (Cic. pro Arch.3);  quod deo teste promiseris  id tenendum est (Cic. de off. 3,29);  C. Caesare imperatore (Cic. prov.cons.32).
In particolare troviamo senza participio aggettivi neutri sostantivati usati impersonalmente, come dubio, sereno, tranquillo, incerto: multi, incerto prae tenebris quid aut peterent aut vitarent, foede perierunt (Liv. 28, 36, 12); su incerto c’è però l’ipotesi che sia un antico participio, connesso con cerno, e che gli altri aggettivi l’abbiano seguito per imitazione. Questi usi sono di largo impiego nella prosa postclassica, da Livio in poi e particolarmente in Seneca e in Tacito.
 
7. Già in Cesare è frequente l‘uso di due abl.ass., di cui il primo esprime la causa di ciò che è detto nel secondo:
Exaudito clamore, perturbatis ordinibus, omnes in fuga sibi praesidium posuerunt (BG 2,11,5); nostri, consumptis omnibus telis, gladiis destrictis impetum faciunt (BC 1, 46).
 
8.Si trova spesso il soggetto della sovraordinata inserito tra gli elementi dell’abl.ass., impiego che bene rileva la profonda unità logica che lega questo costrutto alla proposizione reggente: hac re statim Caesar per speculatores cognita ... exercitum castris continuit (Caes. BG. 2,1I,2).
Rari sono quindi i casi di abl. ass. che non si riferisca a1 soggetto della sovraordinata, riducendo l’unità logica: parvom ego te, Jugurtha, amisso patre, sine spe, sine opibus in meum regnum accepi (Sall. Jug.l0).
 
 
 
 
  Nell'immagine: Pagina dalla Grammatica Latina di Filippo Melantone (Philippus Melanchthon, nato Philipp Schwarzerdt, Bretten 1497 – Wittenberg 1560), pubblicata a Colonia nel 1569.



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