Di ogni cosa buon giudice è il tempo (Mostra per il Meeting 2004)
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Di ogni cosa buon giudice è il tempo.

La concezione della storia nel mondo antico fra progresso e caduta

 

 

22 Agosto 2004 - 28 Agosto 2004

a cura della Rivista Zetesis. Coordinamento generale di Giulia Regoliosi e Moreno Morani.

Il titolo del Meeting di quest’anno ci ha indotto a lavorare su un tema ampio e delicato: il tema del progresso e della storia. L’idea di storia è una caratteristica essenziale della cultura occidentale: mentre altre civiltà della cultura mondiale si sono limitate alla pura registrazione degli avvenimenti o si sono addirittura disinteressate al mantenimento della memoria, la Grecia ci ha proposto un ideale di storia che non si limita alla semplice elencazione dei fatti, ma si pone in un rapporto di continuità con un passato visto come oggetto di riflessione e di stimolo per le generazioni successive: la storia non come ricordo di fatti irrimediabilmente passati, ma come “patrimonio per sempre” (per usare la definizione sintetica di Tucidide). Proponiamo qui una breve presentazione della Mostra stessa.

 

PRESENTAZIONE

 

Oggetti della mostra sono il tempo e la storia; il tempo è il fluire continuo di momenti in cui l’uomo, sia come singolo, sia come collettività, agisce costruendo la sua storia personale e contribuendo alla storia dell’intera umanità.

Il nostro percorso si apre con espressioni toccanti di meraviglia di fronte alla grandezza dei passi e delle conquiste che l’uomo ha compiuto nel tempo. Sono voci antiche tratte dal mondo greco, romano, ebraico. Cicerone esclama: “C'è una somiglianza fra l'uomo e Dio. Quale parentela può essere più certa e sicura? (Cicerone, Le leggi, I, 25-26). Idealmente Giovanni Paolo II riflette e prosegue: Fatti ad immagine e somiglianza di Dio, Adamo ed Eva avrebbero dovuto esercitare il loro dominio sulla terra con saggezza e con amore. Essi, invece, con il loro peccato distrussero l'armonia esistente” (Messaggio per la XXIII giornata mondiale della pace: Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato).

La mostra prosegue illustrando la stessa dialettica che si innesta tra il passo di Cicerone e l’osservazione di Giovanni Paolo II e che gli antichi greci, primi tra i popoli antichi, ed i romani, dopo di loro, hanno colto indagando sui temi del tempo e della storia. Si vogliono ripercorrere i passaggi fondamentali di questa secolare riflessione, mostrandone la ricchezza, la varietà, ma anche la tensione e la drammaticità.

Un’altra testimonianza, dopo quella svolta nella precedente mostra Cercandolo come a tentoni, del continuo interrogarsi sul significato dell'uomo e della vita da parte del mondo antico che si riconosce incompleto e fragile e chiede e aspetta misteriosamente di essere salvato dalla corruzione e dalla morte.

 

La I SEZIONE illustra la concezione forse più seguita nell’antichità, che vede l’umanità passare da uno stato iniziale ottimale, la cosiddetta età dell’oro, ad uno stato negativo attraverso una decadenza segnata dall’insorgere e dal diffondersi della morte, della fatica, del dolore, delle discordie e delle guerre.

Quale che sia l’origine di tale caduta, la colpa di un singolo o di un popolo o un’incomprensibile volontà divina, l’uomo si volge al passato animato da rimpianto e vive il presente con disgusto, percependone la fine con timore e paura.

 

Nella II SEZIONE si presentano le voci che credono invece che l’umanità proceda progressivamente da uno stato di ferinità ad una condizione di vita civile grazie all’uso della parola, della scrittura, delle leggi, delle istituzioni. Ora questo passaggio è presentato come un processo biologico e naturale per la grandezza insita nella razionalità umana, ora come il dono di un dio o di un uomo eccezionale; sempre però si accompagna ad un senso di intimità con il divino e alla percezione di un compito e di un ruolo assegnato all’uomo o a un popolo.

 

 

La III e la IV sezione costituiscono un approfondimento del percorso.

 

Nella III SEZIONE, infatti, si rintraccia nella pratica del lavoro, una delle principali attività umane, la stessa duplicità di interpretazione che è stata applicata al tempo e al cammino dell’umanità in esso: per alcuni il lavoro è dovuto all’avidità dell’uomo, che, non contento dell’abbondanza naturale, si allontana dallo stato iniziale e si avvia verso la decadenza; per altri è una punizione; per altri ancora è stato voluto dagli dèi perché l’individuo potesse soddisfare le sue esigenze in modo autonomo e non dipendente dagli altri, sviluppando pienamente le sue potenzialità e contribuendo al miglioramento del mondo: il lavoro è quindi nella scelta divina una pedagogia paterna.

 

 

Nella IV SEZIONE, invece, l’attenzione è portata, da una parte, alla percezione che l’individuo ha degli avvenimenti che si verificano nella sua storia personale e, dall’altra, alla memoria degli avvenimenti di interesse collettivo accaduti che , seppur differentemente, ogni civiltà ha conservato.

Mentre alcuni popoli dell’antico Oriente non avevano conservato la memoria degli avvenimenti passati, altri l’avevano esercitata come semplice elencazione di eventi indifferentemente astronomici, naturali ed umani, senza dare centralità o rilievo all’agire dell’uomo. Il mondo greco e romano ha invece insistentemente guardato al passato, elaborando e praticando un concetto originale di “storia”; l’ha intesa essenzialmente come indagine sul passato umano e, con Tucidide, l’ha configurata come disciplina scientifica che, fondata sulla critica delle testimonianze, finalizzata alla ricostruzione della verità, arricchisce l’umanità a livello conoscitivo ed etico.

 

Con la V e con la VI SEZIONE si riprende il percorso lasciato in sospeso alla II sezione.

 

In particolare la V SEZIONE mette in evidenza come nel mondo antico neppure le affermazioni più certe della grandezza dell’uomo e della sua capacità di costruire sono prive della consapevolezza della precarietà delle conquiste umane. E’ costantemente presente la morte, la possibilità di errare e di compiere il male, sia per una volontà imperscrutabile del destino, sia per la brama di denaro e di potere che caratterizza ogni uomo ed ogni popolo. Il senso del limite e della caduta, anche quando non è sentita come necessaria ed inevitabile (cfr. I sezione) offusca ed impedisce la fede in un progresso assoluto e continuo. Prenderne coscienza e saper porre un limite alle ambizioni di potere personale e collettivo rimane il supremo segno della saggezza.

 

La VI sezione illustra un’altra posizione che ha percorso la storia delle civiltà: il desiderio di trovare una liberazione dal male, dalla guerra, dagli esiti di un’antica colpa ed insieme la speranza che la storia corra verso un fine ultimo: per la cultura romana ciò significa l’affermazione civilizzatrice e unificante dell’impero romano.

Nella tradizione del popolo ebraico questa attesa di compimento si è configurata come frutto di una promessa e il popolo d’Israele ha sempre guardato alla sua storia particolare e a quella universale come storia sacra e di salvezza, perché in essa operano gli interventi salvifici di Dio. La stessa dinamica di promessa, attesa e compimento anima l’esperienza cristiana che riconosce nel fluire continuo del tempo (chrónos) il progetto complessivo di Dio e afferma con la certezza della fede che la successione dei diversi momenti e delle più svariate circostanza (kairós) ha raggiunto la sua pienezza nel kairós dell’incarnazione di Cristo.

 

 

 

 

Immagini dal Meeting

 

Un breve filmato sulla mostra

 

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