"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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L'Incontro L'uomo romano e l'impero senza fine.
Lunedì 23 agosto 2004 alle ore 11.15 Hanno parlato il prof. Alfredo Valvo (Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia) e la prof. Marta Sordi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano). Ha introdotto e coordinato Moreno Morani
Il testo completo delle relazioni e degli interventi è riportato nel numero 2-2004 della rivista.
Riportiamo qui il Comunicato Stampa n. 23, col quale l'Ufficio Stampa del Meeting ha dato notizia dell'incontro, e il testo curato da Arcangelo Berra e apparso su Quotidiano Meeting di martedì 24 agosto 2004, sotto il titolo Contadini alla conquista del mondo.
COMUNICATO
STAMPA N. 23
Il
professor Valvo ha iniziato il suo intervento descrivendo cos'era
l'Uomo Romano: essenzialmente un contadino, legato indissolubilmente
alla terra. Da qui il pragmatismo e il realismo che hanno
caratterizzato ogni azione di questo popolo. L'Uomo Romano descritto
dal professore è quello della Media Repubblica (III-II secolo a.C.),
caratterizzato da una religiosità semplice e concreta e da un forte
senso del dovere e del sacrificio. La religiosità romana è un
atteggiamento serio e responsabile nei confronti della divinità che si
concretizza nel concetto di "pietas", dipendenza dalla divinità e
attesa della benevolenza degli dèi come contraccambio. Solo grazie a
questo si realizza la "pax deorum", un vero e proprio patto tra uomo e
divinità, fondamento essenziale del progresso di Roma. Agli dèi veniva
chiesto il parere prima di intraprendere qualunque azione e il potere
di farlo, ovvero l'azione di trarre gli auspici, era una prerogativa
esclusiva dei magistrati: senza questo rapporto con la divinità lo
Stato non poteva esistere. C'è un'idea di appartenenza alla stirpe
divina, la divinità principale del pantheon romano è "Iupiter" e nel
suo nome è contenuta la stessa radice di "pater", padre. Inoltre, il
nucleo principale del popolo romano, i "patricii", è identificato
proprio dal concetto di discendenza, di "avere un padre". L'idea di
paternità è legata a quella di "libertas", che ha la stessa etimologia
di "liberi", figli. Cicerone identificava la "libertas" con la
"civitas": lo Stato era visto come padre dei cittadini. Per indicare la
corrispondenza uomo-Dio, lo stesso autore usava il termine "ratio",
ovvero l'impronta divina nel cuore dell'uomo, ciò che consente di
discernere il Bene dal Male. San Paolo nell'Areopago di Atene ricorderà
il passo di un poeta greco, Arato, "di Dio noi siamo la stirpe" (cfr.
Atti degli Apostoli 17, 32-34): uomo e Dio appartengono allo stesso
genere. In queste parole si trova il punto di contatto tra
Cristianesimo e Mondo Classico.
Contadini alla conquista del mondo Marta Sordi spiega chi erano i romani
“I pretoriani non erano quella specie di SS che spesso il cinema ci fa vedere: Augusto si era scelto come guardie di fiducia uomini dotati di fortitudo e pietas, cioè di due virtù romane tradizionali”, così racconta Marta Sordi, docente emerita di Storia greca e romana all’Università cattolica di Milano. Ma chi era quest’uomo romano, che ha fondato un impero senza fine, o quasi, quale fascino aveva, se persone di tutte le regioni del mondo appena potevano si dichiaravano romani ed erano pronti a dare la vita per questo? “L’uomo romano era un contadino, il latino è una lingua essenziale e senza sinonimi, una lingua del diritto e le etimologie riportano alla terra”, precisa Alfredo Valvo, docente di Storia romana all’Università cattolica di Milano. “Anche le conquiste partono da un’idea di difesa della propria terra e il dominio comprende sempre l’estensione del diritto”. E quali sono le doti di quest’uomo? Pragmatismo, realismo, ma soprattutto pietas che è dipendenza e appartenenza alla divinità, con la quale entra in rapporto con un patto e il risultato è la pax deorum, la condizione essenziale per la salvezza dello stato. Per essere certi di non sbagliare, i romani chiedevano sempre il parere degli dei tramite gli auspicia. Li potevano fare solo pochi, i magistrati eletti dal popolo (anche la carica di pontefice massimo era elettiva), unica fonte dell’imperium, il potere supremo. Le divinità romane, diversamente da quelle greche, erano stabili e avevano con gli uomini un rapporto di paternità: la divinità suprema era Juppiter (nome che contiene la parola padre). E all’idea di paternità era legato il concetto di patrizi (come dire, i padri del popolo) e di libertas, che era la condizione dei liberi, cioè dei figli (liberi significa figli). Perciò per il bene della Res publica (la “cosa di tutti”, lo stato) il romano è pronto al sacrificio come Decio Mure. Con il Cristianesimo nessuna di queste doti umane viene rinnegata e per questo la professoressa Marta Sordi afferma che il Cristianesimo non è tra le cause di decadenza dell’impero romano.
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