INCONTRO DEL 24 ottobre 2002
Latino: lingua madre
Moreno Morani, professore di glottologia, Università di Genova
Mi
ero proposto di iniziare questa comunicazione con qualche riflessione
sulle
motivazioni dello studio del latino. Il titolo del nostro incontro
c’impone di
farci questa domanda, e del resto, fin da quando ho cominciato a
insegnare, nel
1969, in anni agitati e inquieti, inclini a mettere in discussione
tutte le
certezze acquisite con la disposizione più a distruggere che a
realizzare
qualcosa di nuovo, infinite volte sono stato provocato a rispondere a
questa domanda, in più
occasioni e da diverse parti: non soltanto dagli studenti liceali a cui
insegnavo, ma anche da tanti colleghi, docenti incontrati nei corsi di
abilitazione, e così via. Da anni con un gruppo di amici rifletto sul
valore
della cultura classica, ed è a partire da questa in fondo che è nata
l’esperienza
di Zetesis: perché studiare il mondo classico è
il titolo di una delle pagine
del sito internet annesso alla rivista. Potrei dire di sentirmi un
esperto in
motivazioni di studio del latino, perché credo di avere letto e sentito
tante
risposte a queste domande, e altre ne ho elaborate io stesso, dedicando
tempo e
attenzione a questo problema. Allora, prima di rispondere alla domanda,
vorrei
leggere alcune righe da un libretto che mi è capitato per caso nelle
mani
qualche anno fa visitando a Losanna una libreria di libri esauriti. Il
libro si
intitola l’Affaire du latin, e risale agli anni
Cinquanta:
«Noi
siamo vittime, ripetendo che bisogna insegnare il
latino ai bambini, della nostra eterna pigrizia, della nostra paura di
riflettere, della nostra routine e della nostra miserabile
sottomissione alla
tradizione che ci offre da vivere. La conclusione si impone con forza:
si deve
smettere di insegnare il latino. Tutto porta a questa verità
perfettamente
semplice: ma, per debolezza e per infingardaggine, noi rifiutiamo di
riconoscerla. Si continuerà così senz’altro a tormentare dei giovani
spiriti
volendo imporre loro lo sforzo di imparare una lingua morta,
assolutamente
morta, pesante e grossolana nella sua forma, povera fino alla miseria
nelle sue
opere e il cui studio è nocivo da tutti i punti di vista» (pp. 25 s.).
Questa
è già, in fondo, una risposta alla domanda: la
totale assenza di motivazioni razionali da parte di chi propone
l’eliminazione
del latino. Il testo letto è la prova che non vi sono, in realtà,
ragioni
vere, culturali, forti per non studiare il latino: o affermazioni vuote
e
provocatorio, o ragioni di opportunità o circostanza, magari, ma nulla
di
realmente solido. Perché dovremmo lambiccarci a trovare chissà quali
motivazioni per difendere lo studio del latino, quando chi ne propugna
l’eliminazione
non ha neppure un elemento, neppure piccolo, per difendere la sua tesi?
Chi ha
sostenuto l'abolizione o la riduzione del latino ha spesso squalificato
la
propria tesi con argomenti vuoti e insulsi come quelli che abbiamo
letti: è
già un dato di fatto positivo non trovarsi intruppati con simili
compagni di
strada.
Ero
ancora studente, quando si avviò il dibattito
parlamentare da cui doveva scaturire l’eliminazione del latino nelle
medie
inferiori, eliminazione che fu attuata in varie fasi: anche allora, per
quanto
fossi molto inesperto e seguissi solamente dai brevi resoconti dei
giornali lo
sviluppo del dibattito, mi colpiva la scarsità di motivazioni culturali
con cui
la discussione procedeva e l'impostazione grettamente ideologica degli
avversari
del latino. L’unico motivo reale era un motivo di ordine
pratico, assai più che culturale: l’avvento di una scuola di massa
imponeva
un livellamento verso il basso del tenore degli studi. Una motivazione
tenacemente perseguita anche negli anni successivi, ripetuta poi per le
scuole
superiori, e infine ribadita esplicitamente in questi ultimi tempi
anche nelle Facoltà Universitarie. La
pietra tombale sul latino nelle medie inferiori fu posta nel 1976,
essendo
ministro della PI Giovanni Spadolini, che commentò la decisione
affermando
(cito a memoria) che si trattava di un provvedimento di cui la
Repubblica
italiana non doveva vergognarsi.
Perché
riprendere, a quasi un quarto di secolo di
distanza, questo dibattito? Le comunicazioni successive entreranno
nella
concretezza del problema. Io vorrei suggerire qualche ragione di ordine
più
generale e vorrei dare alla domanda «Perché ampliare e anticipare lo
studio del latino?»
delle risposte diverse da quelle che avrei dato trenta o anche solo
quattro o
cinque anni fa: non perché quelle risposte fossero intrinsecamente
sbagliate,
ma perché la situazione attuale dovrebbe portare ad alcune
accentuazioni un po’
diverse.
Una
prima ragione è di ordine strettamente culturale e
linguistico. Una delle priorità che si è più fortemente rilevata nella
scuola
italiana in questi anni è quella dello studio delle lingue moderne. Lo
studio
dell’inglese si è diffuso in maniera quasi totalitaria nelle scuole di
tutti
gli ordini e grado, soppiantando in modo pressoché totale la varietà di
lingue
che si studiavano nelle scuole medie e superiori soltanto una dozzina
di anni
fa. Vi sono scuole elementari in cui si insegnano due e persino
più lingue; alla base di questa insistenza vi è una motivazione reale e
innegabile: il vertiginoso aumento degli scambi impone l’esistenza di
lingue
veicolari che permettano la comunicazione tra gli esseri umani, e
l'inglese è
allo stato attuale delle cose la lingua predominante, cosicché una sua
conoscenza, almeno minimale, è consigliabile, se non imposta dalle
circostanze.
Ma i risultati di
questo aumento degli insegnamenti linguistici per la verità sono
deludenti.
Quando ricevo degli studenti che mi chiedono di svolgere la tesi,
domando loro
innanzitutto quali lingue conoscono, perché la bibliografia che
sottopongo è
generalmente in lingue straniere: la prima risposta, quasi
invariabilmente, è:
«Non conosco nessuna lingua» (e in genere segue l’enunciazione del
proposito
di studiare in corsi privati più lingue); alla mia replica che almeno
una
lingua straniera devono conoscerla dagli studi liceali, in genere
rispondono con
aria un po’ smarrita che sì, qualcosa di inglese hanno fatto al liceo,
ma lo
maneggiano poco. Alla domanda, che spesso mi sono sentito rivolgere,
«perché
studiare il latino, quando sarebbe più utile studiare una lingua
straniera
moderna»,
rispondo che studiare il latino non significa sottrarre tempo ed
energia per una
lingua straniera. Si tratta di due cose qualitativamente diverse. Nello
studio
di una lingua straniera le finalità di ordine pratico superano molto
spesso le
ragioni della riflessione di ordine linguistico. Si studia una lingua
straniera
per praticarla, per acquisire, anche mnemonicamente, determinati
meccanismi.
Parlando in inglese o in russo dico automaticamente what's
your name o kak
vas zavut, e non mi pongo minimamente il problema che,
ancorché
complessivamente equivalenti (perché entrambe si attendono come
risposta il
nome del mio interlocutore), le due costruzioni sono profondamente
diverse tra
di loro, ed entrambe differenti dalla corrispondente italiana come
si chiama.
Lo
studio del latino invece, privo come è di finalità pratiche immediate
(perché
credo che nessuno di noi penserebbe di insegnare il latino per parlarlo
o per
scriverlo, almeno non come ragione preminente dello studio), impone di
continuo
una riflessione sulle strutture e sulle categorie, permettendo
allo studente di approfondire in modo sistematico le strutture della
sintassi e
della morfologia, aiutandolo a penetrare in profondità nel tessuto
stesso della
lingua. Studiare il latino significa abituarsi a porre continuamente
delle
domande, a cercare di capire, a penetrare sempre più al fondo di una
lingua e
del suo sistema, e
questo porta inevitabilmente anche a un continuo confronto con
l’italiano,
cosicché lo studio del latino può avere influssi benefici anche sullo
studio
dell’italiano. Ma, a queste considerazioni di per sè non originali,
vorrei
aggiungere un ulteriore elemento. Strettamente parlando, il latino non
può
essere considerata un’altra lingua: il latino è, pur con tutte le sue
innegabili diversità. la fase antica dell’italiano: siamo autorizzati a
dire
sia che noi parliamo latino (la varietà di latino volgare che si è
imposta
nell’Italia del XXI secolo) sia che i nostri trisavoli dell’età di
Cesare
parlavano italiano, perché quella era la forma che le lingue romanze
avevano a
quell’epoca. Studiare la fase antica della nostra lingua significa
abituare i
ragazzi a prendere coscienza del fatto che le lingue si modificano, a
ragionare
sul perché e sul come dei cambiamenti, a chiedersi perché determinate
parole
abbiano assunto un certo significato diverso da quello originario o
perché
siano state sostituite da parole diverse, in una parola significa porsi
di nuovo
delle domande e delle curiosità. Se in genere studiare una lingua è un
valore,
studiare il latino significa sentirsi concretamente immersi nella
storia, nella
nostra storia.
La
seconda risposta è di ordine culturale ed è
strettamente legata ai problemi dell’attualità. La tendenza generale
delle
scuole negli ultimi anni è stata quella di nascondere la nostra
identità
culturale, con un pudore tanto esasperato quanto immotivato: in quante
scuole, nella sola zona di Milano, si sono censurati i
momenti più significativi della nostra tradizione culturale e si è
tentato di
evitare qualunque minimo accenno a quanto vi è di specifico nella
nostra identità,
fino a censurare nelle scuole elementari le canzoncine di Natale e il
presepio, in quante
scuole le ragioni della correttezza politica hanno portato a fondare
una nuova
cultura sostitutiva della nostra più autentica e a imporre una
religione asettica e valevole per tutti, cosicché la figura di
Babbo Natale è diventata un dogma di fede a cui i bambini sono tenuti a
credere? Non si fa nessuna opera di dialogo o di integrazione
semplicemente
nascondendo quelli che sono i fatti e i valori della nostra civiltà. A
proposito di integrazione culturale e problemi connessi leggiamo su La
Repubblica del 18 ottobre: «La società americana ha
un’identità molto
forte ed è molto capace di facilitare l’integrazione... Io valuto che
due
terzi degli islamici d’Europa non desideri affatto integrarsi, ma
bisogna
tener conto che questo dipende anche dal fatto che le società europee
non
forniscono una forte identità e non sono in grado di favorire il
processo di
integrazione... La capacità di favorire integrazione produce desiderio
di
integrazione e il desiderio di integrazione rafforza la capacità di
integrare». L’insegnamento del latino può essere un primo timido passo
in
questa direzione. Il latino è stato uno degli strumenti della nostra
civiltà:
è stato il mezzo con cui prima Roma e poi il cristianesimo occidentale
hanno
fatto conoscere alle altre lingue e popolazioni dell’Europa una cultura
che
aveva messo insieme uno straordinario patrimonio di conoscenze
scientifiche, di
riflessioni filosofiche, di produzioni artistiche. Non è questa la sede
per
insistere sul debito che hanno le lingue d’Europa non romanze nei
confronti
del latino: quel che è certo è che tutte le lingue dell’Europa
occidentale,
nessuna esclusa, nel momento in cui hanno acquisito (grazie anche allo
studio
della retorica e della grammatica romana) lo stato di lingue di
cultura, non
hanno potuto fare a meno di subire l’influsso del modello latino.
Diceva uno
dei più grandi grecisti del nostro tempo, Eduard Schwyzer, che è più
facile
tradurre Demostene in tedesco standard che in un dialetto svizzero: e
rilancio
la medesima osservazione: vedete se è più facile tradurre Cicerone in
italiano
standard o in dialetto lombardo: perché la struttura sintattica
dell’italiano
standard è continuamente modellata sul periodare latino, e lo stesso
vale per
tutte le altre lingue dell’Europa. Non è solamente il futuro della
scuola
classica oggi in discussione, come poteva essere venti o trenta anni
fa: è un
problema radicale, di civiltà e di identità culturale: abbiamo un
assoluto
bisogno di conoscerci, di sapere chi siamo, quali sono i valori (e i
disvalori)
della nostra civiltà e della nostra tradizione, abbiamo bisogno di
confrontarci
criticamente col nostro passato, non in un’ottica di chiusura o di
superba
affermazione di una nostra asserita superiorità, ma proprio per saperci
proporre, per permettere a quanti ci conoscono dall'esterno di sapere
chi siamo
e come fare per integrarsi con noi.
C’è
un ultima affermazione che vorrei ricordare
brevemente. Come ottenere da ragazzi di undici dodici anni attenzione e
interesse di fronte a una materia che sembra irreparabilmente lontana
dai loro
interessi e dalle attività che più fortemente li coinvolgono?
Risponderò con
una citazione «In questo periodo ([che va dal fanciullo fino alla
scelta
professionale]) lo studio e la parte maggiore dello studio deve essere
(o
apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici
immediati o
troppo immediati, deve essere formativo, anche se "istruttivo", cioè
ricco di nozioni concrete». Non sono parole mie, ma di Antonio Gramsci:
peccato
che non se ne ricordino molti che si richiamano al suo pensiero e al
suo
insegnamento, e hanno concepito piani di riforma della scuola che vanno
in
direzioni totalmente opposte.
Il latino tra medie inferiori e superiori
Giulia Regoliosi, direttore di Zetesis e docente di liceo classico:
Il
mio intervento parte da una storia che ha interessato la
nostra rivista e quanti si riconoscevano nel suo lavoro intorno al ’90.
Era il
periodo in cui lavorava la Commissione Brocca, e si prevedeva a tempi
abbastanza
brevi la riforma delle Superiori, con modificazioni soprattutto di
orari per le
nostre materie; d’altra parte la Scuola Media già due volte riformata
era
soggetta ad una specie di tabu ideologico, che impediva di porne in
dubbio il
carattere fondamentale di unitarietà e di monoliticità, specie dopo che
la
riforma della riforma aveva eliminato ogni residuo di distinzione
togliendo il
latino opzionale in terza media e sopprimendo la peraltro
sgradevolissima
istituzione delle classi differenziali con la pretesa nel contempo di
eliminare
le differenze. In un lavoro redazionale pubblicato nel 1988 ci eravamo
occupati
dell’orientamento dell’editoria scolastica, con uno spoglio sistematico
dei
cataloghi delle case editrici: il fatto più stupefacente era stata la
scoperta
che alcune case editrici pubblicavano e propagandavano manuali di
latino per la
scuola media. Si era cioè di fronte a testi per una materia che
ufficialmente
non c’era, anzi la materia su cui maggiormente si era scatenata una
battaglia
politica e culturale all’epoca del dibattito parlamentare, ma anche
giornalistico, sulla Nuova Media, circa venticinque anni prima.
Naturalmente
sapevamo che molte scuole libere e anche alcune statali avevano
reintrodotto il
latino in varia forma, ma che degli editori si dotassero di testi
specifici
(alternativi a schede e fotocopie artigianali) significava che avevano
constatato con più consapevolezza di noi l’ampiezza del fenomeno e
forse ne
prevedevano, secondo le conoscenze occulte che si suppone gli editori
posseggano, un incremento o addirittura una ufficializzazione. L’anno
successivo invitammo due autori di tali libri di latino, i proff. Peri
e
Montecchi, ad essere relatori al nostro convegno abituale di fine anno;
e in
seguito promuovemmo una serie di incontri con insegnanti di scuole
medie e
superiori su questo tema. Altri intanto si stavano mobilitando, in
particolare
il CNADSI e alcune sezioni dell’AICC. Giungemmo alla stesura di un
documento
(pubblicato sul n. 1/90) che inviammo ad associazioni di categoria e a
personalità politiche. Ne ripresentiamo le prime due parti, perché
riteniamo
ancora rilevanti le osservazioni e validi i presupposti culturali ed
educativi.
Considerato
che
1)
nella maggior parte delle scuole medie inferiori statali e
libere vengono svolti corsi di latino sotto diverse forme (al
pomeriggio o al
mattino all’interno delle ore di storia della lingua, organizzati dalla
scuola
stessa o da gruppi di genitori, per la durata di pochi mesi e di uno,
due, tre
anni);
2)
il fenomeno è così generalizzato che alcune case
editrici hanno introdotto in catalogo libri di latino per la scuola
media
inferiore, a volte recuperando vecchi testi, a volte addirittura
commissionandoli ex novo: si assiste così alla situazione assolutamente
anomala
di testi scolastici destinati ad una materia che per legge non esiste;
3)
l’ufficiosità di un fenomeno così massiccio comporta
un’estrema varietà e confusione di metodi e contenuti, e quindi
l’impossibilità
per l’insegnante delle superiori di dare per scontato qualche aspetto
del
programma;
4)
l’impostazione di tali corsi risulta per lo più
strumentale ad un più facile inserimento nelle superiori, mentre spesso
non
tiene conto del calore culturale ed educativo in sé dell’incontro con
la
latinità;
5)
da molte autorevoli associazioni nazionali, nonché da
scuole e singoli, è stata richiesta la reintroduzione del latino nella
scuola
media inferiore;
Chiediamo
che
1)
si prenda atto della diffusa domanda da parte soprattutto
dell’utenza rivolta ad ottenere l’insegnamento del latino nella scuola
media
inferiore;
2)
si studino modalità per rendere ufficiale una realtà che
già esiste, così da indirizzarla opportunamente quanto ad obiettivi,
metodi e
programmi e a permetterle quindi una coerenza con l’impostazione
didattica ed
educativa della media nonché un’omogeneità della preparazione.
Della
prima parte ci sembrano molto importanti in particolare
i punti 3 e 4: si constatava, infatti, e sai constata tuttora (basti
pensare ai
commenti che la nostra iniziativa ha suscitato nelle scuole superiori
in cui
siamo presenti) una resistenza da parte dei docenti dei licei contro il
latino alle medie: è esperienza comune la frase: "Meglio che studino di
più l’italiano, perché tanto il latino così è peggio che niente". Il
fatto è che un insegnamento non ufficiale, del tutto spontaneo quanto a
obiettivi, metodi, conoscenze e competenze, rischia di creare storture,
confusioni, rigidità o approssimazioni; inoltre l’impossibilità di dare
per
acquisita anche una sola nozione costringe ad iniziare totalmente da
capo, fra l’annoiato
stupore di molta parte della classe. Va detto però che l’alternativa
presente
nella frase-tipo citata sopra non è detto sussista: anzi, spesso
l’insegnamento
del latino si accompagna con il consolidamento delle strutture italiane
usate
con valore contrastivo, cosa che difficilmente avviene
nell’insegnamento della
o delle lingue straniere, per cui un miglioramento delle conoscenze
linguistiche
della propria lingua può essere considerato se non un obiettivo, almeno
una
conseguenza possibile dello studio del latino. Quanto agli obiettivi,
appunto,
ci pare riduttivo quello di facilitare il passaggio alle superiori
anticipandone
delle conoscenze (il punto 4 del documento), così come sarebbe
riduttivo il
puro e semplice obiettivo di imparare meglio l’italiano: sono entrambe
conseguenze interessanti, sicuramente da tenere presenti nella
programmazione,
ma non obiettivi essenziali: questi infatti vanno ricercati all’interno
del
lavoro formativo specifico per la scuola media. Pertanto il punto 2
della
seconda parte sottolineava l’importanza di un inserimento ufficiale del
latino
nella programmazione del Consiglio di classe, e di un insegnamento che
si
adeguasse a metodi e obiettivi di quel livello formativo, invece di
essere un
corpo estraneo. Siamo quindi totalmente contrari alla proposta che
siano docenti
delle superiori a intervenire nelle medie per questa materia (proposta
avanzata
da varie parti): è certo bene che ci sia un confronto fra scuole medie
e
superiori vicine, ma solo a livello di docenti. Naturalmente i docenti
della
media dovrebbero avere una preparazione adeguata, cosa che non è sempre
possibile dati i piani di studi delle facoltà di lettere moderne che
non sempre
prevedono l’obbligo di uno studio approfondito del latino: ma
all’interno di
ogni scuola è possibile effettuare una scelta fra i docenti per
l’insegnamento
di questa disciplina.
Il
documento comprendeva poi una serie di suggerimenti sull’attuazione
della proposta: è interessante rileggerli a distanza di tempo, perché
si nota
come siano cauti e pieni di distinguo, segno che il tabu
dell’unitarietà era
fortissimo; inoltre comprendevano una preoccupazione, quella di non
superare, o
superare di poco, le 30 ore dell’orario, nella certezza che fossero
anche
troppo per dei ragazzini: certezza che abbiamo tuttora, ma che urta
contro l’abitudine
al lungo orario scolastico (sia a tempo pieno sia modulare) già
acquisita alle
elementari. Ora i problemi sono minori: è già in corso di elaborazione
una
riforma, l’unitarietà è di fatto sparita con le varie opzioni e
tacitamente
è caduto il tabù ideologico, così come il tetto delle trenta ore. La
possibilità più semplice è quella della sezione col latino in
alternativa ad
altre opzioni (doppia lingua, informatica, musica o altro): non ci
sembra
infatti accettabile il latino per tutti, che riprodurrebbe di nuovo una
monoliticità (verso l’alto) tendente a ignorare le differenze di
capacità e
vocazioni.
Sul
numero di dicembre ’90 pubblicavamo l’esito della
proposta: una notevole accoglienza, in particolare da parte del partito
liberale
(senatore Valitutti), che dava notizia di un’iniziativa politica del
partito
per la reintroduzione del latino, e della DC: attraverso i deputati
Portatadino
e Mazzuconi ci giunse la risposta dell’allora ministro alla Pubblica
Istruzione Gerardo Bianco che mostrava interesse per un’analisi della
situazione esistente, mentre l’onorevole Brocca si dichiarava
interessato
soprattutto alla concretezza delle proposte (era l’epoca della proposta
Fiandrotti sul latino alle elementari: un’ipotesi del tutto astratta,
che dice
molto sul fatto che era più facile azzardare assurdità sulle
elementari,
allora peraltro in fase di riforma, che toccare la Media).
Non
avevamo all’ epoca la forza di proseguire, soprattutto
in un ambito che non era in fondo il nostro. Ora ci sembra che il
problema
ritorni a farsi interessante, senza che sia mai venuto meno, perché
anche le
medie inferiori sono entrate nei vari progetti di riforma e l’autonomia
ha
smantellato completamente l’idea unitaria. Per questo ci proponiamo di
lavorare.
Esperienze di insegnamento del latino alla scuola media
Laura Longaretti, docente di lettere alla
Scuola Media S. Tommaso Moro:
L’insegnamento
del latino nella scuola media inferiore pone inevitabilmente tutta una
serie di
problematiche, a cominciare dal perché introdurlo, a chi insegnarlo (a
tutti o
solo a chi ha intenzione di continuarlo al liceo?), fino ad arrivare al
che cosa
e come (con quali metodi, con quali modalità, con quali strumenti ?)
insegnarlo.
È
chiaro che si tratta di questioni molto complesse, tanto è vero che
oggi come
oggi nelle nostre scuole medie vengono adottate metodologie e proposte
impostazioni molto diverse, al punto che vien da chiedersi quanto possa
essere
utile una offerta di questo tipo. Io inizierei fissando due presupposti
che mi
sembrano importanti.
Il
primo è che non è possibile insegnare il latino nelle scuola media così
come
lo si insegna al liceo. La scuola media inferiore ha infatti una sua
specificità che va salvaguardata.
Il
secondo presupposto è che non è più possibile insegnare il latino ai
ragazzi
di oggi come lo si insegnava 30 o 40 anni fa: troppe cose sono
cambiate, la
stessa didattica della scuola media è cambiata
Insegnare
una lingua come il latino a queste nuove generazioni potrebbe sembrare
a
qualcuno un’impresa impossibile e anacronistica, perché infatti
insegnare ai
ragazzi di oggi una lingua " morta ", che non si usa più se non in
ambiti e situazioni particolari?
Iniziamo
allora a parlare subito di motivazioni , tenendo presente che, come ci
ricorda
il titolo del convegno, nella didattica motivazioni e metodi sono
strettamente
legati.
Per
fare questo devo partire dalla mia esperienza di insegnante.
Insegno
da qualche anno nella scuola media San Tommaso Moro, una scuola
paritaria nata
nel ’79.
In
questa scuola, fin dai primi tempi, è stato deciso, con una scelta che
allora
sembrava contro corrente, di introdurre il latino in orario curricolare.
Tale
scelta era nata dalla convinzione che non si potesse far comprendere ,e
quindi
insegnare ai ragazzi, l’evoluzione della lingua italiana, così come
dettavano
i programmi ministeriali, senza partire dalla lingua origine e cioè il
latino.
Insegnare
la lingua italiana significa insegnare che le parole hanno una forma,
un suono,
un ritmo, un significato, che si combinano tra loro, ma significa anche
insegnare che le parole hanno una storia, esse infatti nascono,
cambiano,
muoiono. Ma come è possibile studiare la storia della nostra lingua
senza
partire dalle origini? Come è possibile fare dei confronti tra una
realtà
conosciuta e una sconosciuta?
Occorre
dunque andare alle origini, cominciare a conoscere, a familiarizzare
con la
nostra lingua madre : il latino.
I
ragazzi sono sempre molto affascinati, interessati nel momento in cui
si propone
loro di andare a cercare l’origine delle parole.
Nelle
parole che usiamo tutti i giorni troviamo tracce del nostro passato,
anche le
parole sono indizi importanti per scoprire qualcosa della nostra storia.
Questo
è un lavoro che si può affrontare occasionalmente, in tutte le ore di
lezione,
ogniqualvolta si incontra una parola di cui non si conosce il
significato .
Ad
esempio capita spesso durante le ore di storia di spiegare un concetto
difficile
partendo proprio dalla sua etimologia. Quando ai ragazzi si spiega che
potere
"assoluto" significa "sciolto da" qualsiasi controllo (
solutus ab ) essi oltre a capire immediatamente e con grande chiarezza
questo
concetto, tendono a non dimenticarselo più.
Ma
tale lavoro può diventare più sistematico. È possibile così scoprire
insieme
che
− la
lingua italiana è cambiata nel tempo
− sta
ancora cambiando (v. parole come "paninoteca",
"tangentopoli", "videocassetta" e parole che stanno
scomparendo come"fanciullo" o "prestinaio",
"drogheria")
− Ci sono
parole o espressioni latine che usiamo abitualmente senza rendercene
conto (album,
referendum, pro capite)
e molte appartengono al linguaggio
pubblicitario (Nivea, Volvo, Rex, Vim)
− Esiste una
familiarità tra alcune lingue europee data dalla loro comune origine
latina
− Partendo
da degli esempi è possibile vedere come esistesse un latino letterario
e un
latino parlato e come alcune parole italiane derivino dall’uno o
dall’altro
(v. da caballus e equus o da ignis
e focus)
È
possibile vedere insieme le principali modificazioni nelle parole dal
latino all’taliano
(da pectus a petto, da aurum
ad oro)
Ma io
penso che oltre a questo interessantissimo lavoro sull’origine delle
parole
sia necessario un lavoro sul testo, che ci consenta di capire il
funzionamento
della lingua latina e quindi il funzionamento della nostra stessa
lingua.
Studiando
il latino inoltre i ragazzi possono avere delle occasioni per scoprire
essi
stessi l’etimologia di alcune parole che usano abitualmente o che
incontrano
sui testi. Ad esempio può essere interessante far notare ai ragazzi
come il
verbo augeo, incontrato poniamo caso in un testo
che si sta traducendo,
possa avere qualche rapporto con il titolo Augustus
scelto da Ottaviano.
Infine
ritengo che uno dei motivi per cui alcuni insegnanti si accontentano di
proporre
uno studio superficiale e poco sistematico della grammatica italiana
sia proprio
il fatto di non dover fare poi i conti con l’insegnamento del latino.
Mi è
capitato di fare delle supplenze in classi in cui la grammatica
italiana veniva
insegnata davvero, e in altre in cui si stava lavorando sull’attributo,
ma
pochi ricordavano cosa fosse il soggetto.
Perché
dunque insegnare il latino alle medie?
Per
rendere i ragazzi, tutti e non solo quelli che andranno al liceo, più
sicuri e
quindi più consapevoli rispetto alle loro conoscenze storiche
(evoluzione della
lingua) e nelle loro scelte lessicali e sintattiche, dunque nell’uso
della
lingua .
L’insegnamento
del latino può infine avere un importante valore orientativo perché
consente
ai ragazzi e agli insegnanti di operare delle scelte e di dare delle
indicazioni
più motivate rispetto alla scelta della scuola futura.
Questo
è dunque un punto di partenza importante : il latino nella scuola media
inferiore è per tutti, da qui la scelta nella nostra scuola di proporlo
a tutti
in orario curricolare.
Passiamo
così al secondo punto: quale metodo usare?
Negli
ultimi anni sono stati adottati metodi diversi che vanno dai più
tradizionali,
i quali privilegiano l’aspetto della sistematizzazione,
dell’apprendimento
della regola, e metodi più innovativi che privilegiano l’aspetto
comunicativo
e che partono da una sfida : è possibile apprendere il latino
utilizzando delle
tecniche, dei metodi più attuali, come se fosse una lingua moderna, e
cioè
parlandolo?
E
allora : quale metodo scegliere?
Scegliere
un metodo, una strada adeguata, significa prendere in considerazione
due fattori
: 1) il soggetto dell’apprendimento, cioè chi si ha davanti, il nostro
interlocutore 2) che cosa si sta insegnando, l’oggetto del nostro
insegnamento.
Rispetto
a questo secondo punto occorre dire che il latino è una lingua molto
strutturata, diversa ad esempio dall’inglese. Inoltre noi non lo
studiamo per
parlarlo, ma per tradurre testi e per conoscere la nostra lingua madre.
Rispetto
al primo punto invece occorre partire da un dato di fatto: che stiamo
lavorando
con dei ragazzi di 11-12 anni e che pertanto non è possibile
prescindere dall’aspetto
giocoso, di scoperta dell’apprendimento.
I
ragazzi di questa età apprendono ancora "giocando", cioè operando,
facendo esperienza. Occorre dunque salvaguardare questo aspetto. Ma a
questo
primo approccio deve necessariamente seguire il momento della
sistematizzazione,
del "dare ordine", della memorizzazione, dell’uso della regola.
Questo
vale non solo per il latino, ma per tutte le discipline.
C’
è un momento in cui sono i ragazzi stessi a chiederci di avere delle
certezze,
dei punti di riferimento. C’è il momento dell’intuizione, del
ragionamento
e c’è il momento di riordinare le conoscenze, di classificare, di
memorizzare.
Questo
è tanto più importante in una lingua come il latino ed è importante per
chi
continuerà tali studi al liceo (v. come bagaglio di conoscenze).
Come
dunque lavorare?
È
possibile iniziare partendo dalla lettura di brevi testi latini, meglio
se d’autore,
come le favole di Fedro ( Il lupo e l’agnello, La cicala e la formica,
La rana
e il bue) e proporre ai ragazzi di fare delle semplici operazioni, come
contare
le parole del testo in latino e della traduzione in italiano e, una
volta
appurato che il testo latino ne contiene meno, cercare di capire
perché,
cercare le parole uguali, quelle simili, le derivazioni lessicali, le
differenze
nelle costruzioni sintattiche etc.
Attraverso
queste semplici operazioni, guidati dall’insegnante, si arriverà
facilmente
alla definizione di caso e di declinazione.
Questo
lavoro non richiedendo, almeno all’inizio, particolari conoscenze
grammaticali, spesso riesce a coinvolgere e appassionare anche i
ragazzi "
in difficoltà", che possono finalmente "dire la loro" su un
testo su cui si sta lavorando insieme, un testo da "decifrare".
In
sintesi, lavorando sul testo, attraverso domande, osservazioni,
riflessioni,
opportunamente guidate, si arriverà a formalizzare la regola che
diventerà
familiare attraverso uno studio puntuale e attraverso esercizi di
applicazione e
di consolidamento (ad esempio esercizi di riconoscimento, di flessione,
di
completamento, di trasformazione) e attraverso delle traduzioni.
La
stessa traduzione di frasi e di brevi versioni, se impostata
correttamente (dal
riconoscimento del verbo all’identificazione del soggetto e
dell’eventuale
compl. oggetto e via via delle altre espansioni), può diventare un
coinvolgente
lavoro di "decifrazione" di un testo a prima vista oscuro e
incomprensibile.
In
questo modo la traduzione diventa un importante momento di riflessione
sul
testo, un momento in cui si fa esperienza di qualcosa, in cui si
sperimenta un
metodo e insieme si valuta se è adeguato o meno. In questo lavoro anche
l’errore
diventa un momento importante dell’apprendimento (perché ho sbagliato?
V.
utilità di esercizi alla lavagna).
Un
accenno agli strumenti : sarebbe utile , fin dalle medie, quando si
traduce,
introdurre l’uso del vocabolario di latino, strumento di lavoro tanto
importante quanto complesso da consultare.
Non
basta memorizzare un certo numero di parole per poter tradurre! Occorre
un
puntuale lavoro di ricerca sul vocabolario (il primo significato non è
detto
che sia quello che ci serve) ed è utile che questo lavoro inizi quanto
prima,
anche se con la dovuta gradualità e magari all’inizio sotto forma di
gioco,
ad esempio proponendo ai ragazzi delle gare di velocità
Naturalmente
non è possibile pretendere che tutti abbiano in casa un vocabolario di
latino.
Per
questo è utile che la scuola abbia in dotazione un certo numero di
vocabolari
che possono essere utilizzati in classe. Ma è anche possibile ogni
tanto
fotocopiare una pagina del vocabolario su cui lavorare insieme. Quante
osservazioni ad esempio si possono fare sulla pagina in cui è contenuta
la
parola latina "res"!
In
questo modo gli studenti fin dalle medie avranno la possibilità di
lavorare su
testi latini non limitandosi a memorizzare vocaboli, costruzioni e
regole (
anche se il lavoro di memorizzazione in un secondo momento diventa
indispensabile per poter conoscere e assimilare una lingua diversa
dalla
nostra), e arrivando attraverso il ragionamento a "decifrare una lingua
"lontana", ma ancora così presente.
La
lontananza non rende certo la lingua latina meno affascinante, anzi!
Non
è necessario "attualizzare" lo studio del latino , sia formalmente
(v.uso
dei fumetti), sia nell’approccio (v. utilizzo di metodi e percorsi di
apprendimento propri delle lingue moderne ) per rendere affascinante
l’avventura
di decifrare dei testi che appartengono a una grande civiltà passata
che
tuttavia continua a vivere nella nostra.
Ciò
che rende affascinante lo studio di una lingua che non si parla più è
la
possibilità di scoprire un nuovo modo di lavorare su dei testi, di
scoprire l’origine
delle parole che usiamo tutti i giorni, di comprendere come,
utilizzando l’intuizione
e applicando un corretto metodo, un testo a poco a poco si svela a noi
e ci
parla.
Terzo
punto : "quando" ?
E' indispensabile che i ragazzi abbiano solide conoscenze morfologiche
e sintattiche nel momento in cui si decide di iniziare lo studio del
latino.
Ne
consegue che difficilmente si potrà iniziare prima del secondo anno.
Tenendo
conto della diversa preparazione nelle classi in cui di volta in volta
ci si
trova ad insegnare, io penso sia preferibile mantenere una certa
elasticità nei
tempi di introduzione , piuttosto che pensare a percorsi differenziati,
escludendo, di fatto, dei ragazzini
dalla
possibilità di un sia pure iniziale incontro con la lingua latina.
Anche
se questo è un punto su cui sicuramente si possano sollevare molte
obiezioni .
Ultimo
punto: "che cosa " insegnare?
In
linea generale sarebbe utile riuscire a lavorare sulle cinque
declinazioni, fare
almeno l’indicativo e l’imperativo delle quattro coniugazioni, la
coniugazione del verbo essere, gli aggettivi della I e della II classe,
alcuni
pronomi ( personali, possessivi, relativi)
Ritengo
comunque che alle medie non sia tanto importante svolgere tutto il
programma
quanto impostare un metodo di lavoro corretto.
Concludendo,
come avvicinare i ragazzi di oggi allo studio del latino fin dalle
medie ?
Destando la loro curiosità, la loro voglia di capire, accompagnandoli
in questo
studio "da grandi", insegnando loro un metodo di lavoro rigoroso e
richiedendo da parte loro un lavoro altrettanto serio e rigoroso.
Dilemmi
e tendenze dell'insegnamento del latino nei Paesi di lingua tedesca.
Rainer Weissengruber, direttore del Centrum Latinitatis Europae
Il latino e il greco si insegnano ancora.
Anche se in vari
paesi europei (e anche – e forse soprattutto – in quelli di lingua
tedesca)
la filosofia politica è assai ostile alle lingue e culture classiche,
nella
frenetica corsa al "moderno" e all'"utile". E ciò mentre
l'interesse generale per le epoche antiche è assai vivo, se non
cresciuto negli
ultimi anni, quasi all'insaputa di noi insegnanti. In Germania e in
Austria il
mercato del libro fa registrare un grande boom di tematiche antiche e
anche gli
argomenti dell'umanesimo sono tornati di nuovo a galla. In crisi è
finito però
l'originale, l'autentico. Siamo in una società tipo Readers' Digest, di
"cultura
all'incirca". Qualche fascino però resiste. Ma anche il latino resiste.
Resiste anche, non dappertutto, ma in alcune regioni e in alcune
scuole, l'insegnamento
del latino nella sua "langform", cioè nella dimensione 5 o 6 anni –
con poche ore alla settimana, però. A mala pena, anche per colpa di noi
latinisti, perché siamo spesso troppo filologi e troppo poco umanisti.
Siamo
insegnanti di lingua (morta) o siamo diffusori di cultura ? La domanda
è sulla
tavola delle riunioni informali, non delle commissioni ufficiali di
programmazione scolastica. Le riunioni di latinisti si tengono sempre
più
frequentemente, in tutta l'area tedesca. Ma sono riunioni chiuse.
L'interdisciplinarietà
non è di casa tra le file dei filologi super-classici, tradizionali. La
tradizione, ufficialmente bocciata a gran voce, vive e frena talvolta
il
rinnovamento. Ed è forse questa la causa principale perché almeno nei
paesi di
lingua tedesca noi filologi viviamo con un problema di immagine. Siamo
riguardati custodi di un museo, narratori di storie del "c'era una
volta", o semplicemente cultori di ginnastica grammaticale, di gare di
traduzione, o peggio: investigatori alla ricerca di errori. C'è chi ha
cercato
di difendere le lingue antiche a spada tratta (come si esprimono
alcuni), e
quindi con atteggiamenti quasi marziali, un po' alla vecchia prussiana,
e dovete
sapere che in Prussia il liceo tradizionale era sempre vicino alle
accademie
militari. Ma c'e anche chi difende il latino con la penna sottile e con
la bocca
gentile (come diciamo noi del CLE) o, e sarebbe la via migliore, con il
nostro
modo di essere latinisti e grecisti vivaci e accattivanti (come
dovremmo fare ed
essere tutti noi). Il latino esiste, resiste, rivive, può entusiasmare,
e in
alcuni casi riappare rinfrescato, con formule e procedimenti nuovi di
trasmissione, malgrado la strategia non sempre saggia di molti
latinisti di
difendere il latino con il viso serio e severo invece di rilanciare i
nostri
tesori con serenità e iniziative giuste. C'è chi sperimenta soprattutto
nelle
classi inferiori del liceo, con i ragazzi che hanno 13 anni, chi fa un
latino
sportivo, un "agon" al quale sono invitati tutti. Ma il ferreo rito
della traduzione acribica, sostenuto ancora da molti secondo vecchi
schemi e
regole antiquate, inasprisce la situazione. Il quadro è quindi
contrastato,
nero e bianco uno accanto all'altro. Comunicare ai ragazzi di 13-14
anni che il latino
è una lingua da tradurre, e solo (!) da tradurre, è consuetudine,
nonostante i
riformatori che fanno di tutto per rendere variopinto il quadro della
situazione. Agli alunni viene comunicato, peraltro senza gran successo,
che la
traduzione potrà essere fedele, valida già in se stessa. Un ragazzo
potrà
capire che "tradurre" è un "bonum" valido già per se
stesso? Ho dei dubbi. Un ragazzo potrà capire che una lingua morta può
essere
anche viva, se viva la rendiamo noi insegnanti ? Certamente sì, fino a
un certo
punto.
Anche
le forze dell'economia nei paesi di lingua tedesca hanno scoperto negli
ultimissimi tempi che l'insegnamento del latino ha la sua ragion
d'essere. In
Germania alcune note aziende si esprimono in favore del Liceo Classico,
il che
significa nella terminologia tedesca ed austriaca 5 o 6 anni di latino.
Per il greco
la situazione è sensibilmente più critica. Le aziende che privilegiano
i
diplomati in lettere non sono poche, anche in terre lontane dalla
cultura
antica. Possibile che i rappresentanti del grande business non hanno
cambiato
atteggiamento di fondo, è difficile pensare che viene capito il vero
valore
dello spirito della cultura antica. Appare evidente il valore da
disciplina
utile per imparare a ragionare. Una scuola della logica quindi, utile
per la
logistica. Il "ragionare classico" in funzione della vita di oggi. Un
argomento stretto, ma utile, assai lontano dalla tradizione classica,
lontano da
ogni romanticismo. Ragionare bene e con una logica brillante serve
all'economia
soprattutto in un'"epoca di terziario avanzato". Bisogna sapere che la
Germania e l'Austria sono oramai paesi con un alto grado di "spirito
post-industriale", servono uomini capaci di ragionare, la produzione in
senso classico avviene piuttosto altrove. I paesi di lingua tedesca
sono
laboratori di progettazione, ateliers del concetto, investono molto in
ricerca e
quindi felice può essere chi ha imparato ad imparare. Lingua Latina
ancilla .
Le riforme scolastiche tedesche ed
austriache – a parte il fatto
che pare che nessuno le conosca fino in fondo
− con tutte
le vicende tortuose e
contraddittorie prevedono un certo spazio per le lingue classiche,
precario che
sia, e con mille insidie pericolose. La parola magica è "autonomia"
della scuola, del singolo istituto. Opportunità e trappola nello stesso
tempo.
L'autonomia scolastica è diventata perfino un'ossessione.
Forse bisogna sottolineare a questo punto
che i licei nei
paesi di lingua tedesca sono in un certo senso "omnicomprensivi", nel
senso che non esiste la scuola media. In liceo si entra all'età di
dieci anni,
dopo quattro anni di scuola elementare: i primi quattro anni sono il
"liceo
inferiore", poi segue il "liceo superore". Il carattere classico
(o meno classico) inizia quindi già in prima classe, all'età di dieci
anni.
Proprio questo "liceo lungo" crea delle tensioni. Molti chiedono il
"liceo inferiore unificato o standardizzato" (Gesamtschule,
un cavallo
di battaglia della politica socialista degli anni '70, in séguito
adottato anche dai
partiti di destra) per garantire trasferimenti più facili da una scuola
all'altra.
Ed ecco il rischio e la mina vagante che minaccia ogni liceo: I primi
anni
dovrebbero essere uguali in tutte le scuole. In
quel contesto il latino nel liceo inferiore diventa sempre più un
miraggio. O
almeno una materia che molti vogliono abbattere o mettere in
concorrenza con le
lingue viventi appena introdotte, come lo spagnolo p.es.. Queste guerre
si fanno
da trent'anni. Con un discreto successo: Sono molte le scuole che
abbandonano il
latino nelle prime classi, pur rivendicando ancora la fama del liceo a
pieno
titolo.
D'altra parte mi sono giunte anche delle
notizie da scuole
in Germania che hanno reintrodotto il latino già nelle classi
inferiori. Esempi
da contare sulle dita di una mano, ma comunque da non sottovalutare.
Mancano
ancora i numeri per poter dire se queste nuove offerte hanno un impatto
sulla
società o una prospettiva operativa per il futuro.
Non dobbiamo
cadere, quindi, nella trappola delle
illusioni. Da nessuna parte ci sarà fornita la dichiarazione di
garanzia. Tanto meno
in un tempo che si dichiara dinamico e pronto a tutte le mutazioni
pensabili.
Siamo chiamati noi latinisti tedeschi ed austriaci a darci uno sforzo
particolare, una vera spiegazione di forze del cervello, dello spirito,
dell'anima,
del cuore, che non avrà nessun effetto se non sarà basato su una vera
rivoluzione interna del nostro modo e della nostra filosofia di
insegnare – e
soprattutto di essere. L'entusiasmo visibile deve essere più forte
della
tradizionale precisione super-filologica. L'argomento della buona
tradizione di
150 anni di liceo classico non basta. Gli edifici scolastici tedeschi
ed
austriaci sono spesso veri gioielli d'architettura e anche ben curati.
L'atmosfera
respira lo spirito classicista di generazioni di scolari che hanno
studiato
abbondantemente Omero e Virgilio, Cicerone e Livio, con pazienza e
tenacia,
senza discussioni. Il liceo era quello che era. Ma di quei giorni
parlano
soltanto le targhe, con le scritte in oro sullo sfondo nero e l'alloro
finto
attorno. Con lo spirito burkhardtiano e le considerazioni di Winkelmann
non si
possono attirare i genitori di oggi. (Sono sempre loro a decidere sugli
indirizzi delle scuole mandando li i figli o non.) Lontani sono anche i
tempi
dei maestri che non hanno mai lasciato il posto davanti al tavolone,
l'insegnamento
frontale era indiscusso.
Oggi tutto è cambiato: Urge un
insegnamento che deve
essere una azione duratura di accompagnare lo studente "per aspera ad
astra",
attraversando anche quelle difficoltà che a noi latinisti sembrano
banali. Ne
ho parlato recentemente davanti a latinisti italiani ed esteri a
Trieste alla
nuova Summer School of Classics. Queste mie considerazioni non sono
inedite. Ma
certe cose bisogna ripetere, per sottolineare la loro importanza: Il
latino non
può essere una serie di lezioni che hanno come unico contenuto la
traduzione,
parola per parola, non può essere un semplice corso di "trasformazione
di
testi" da una lingua all'altra e con lo scopo di imparare ad evitare
errori
e sbagli. Non può essere un semplice corso di grammatica, non può
essere un
continuo esercizio di morfologia e sintassi, anche se queste cose
bisogna
insegnare bene e consolidare in vista dei futuri contenuti della
materia. Il latino
non può essere presentato (o peggio: venduto) con l'etichetta della
sola
tradizione. Lo stemma nobile non è sufficiente, il proverbio nobile in
un latino
elegante, schietto e snello non salva l'atmosfera. E tanto meno il
continuo
parlare del valore del latino per salvare i tesori del passato. Piaccia
o no,
non dobbiamo parlare troppo di passato, bisogna parlare del futuro. Ciò
soprattutto in una società che è post-industriale, che deve affrontare
i
problemi del tempo libero in abbondanza. Soprattutto la Germania è un
paradiso
del divertimento. Un paese che forse ha voglia di cultura proprio
perché è
afflitto dalla noia del recente passato industriale e del presente
super-tecnologico. L'insegnamento del latino deve offrire un tuffo in
un mare di
pensieri attuali, di contenuti che nessun' altra materia può offrire:
un
piccolo universo culturale, di avventure, di un mondo creduto morto e
stranamente vivo. Il latino in noi, uomini dei tempi di oggi.
Non solo
"lingua Latina", ma "Latinitas". E ciò non solo poche
settimane prima degli esami di stato, ma dall'inizio dell'insegnamento.
Non
nascondo che anche nelle elementari si dovrebbe parlare di più di
questa nostra
Europa latina. Di Europa si parla nelle scuole dell'Europa Centrale, ma
non di
quella latina.
Viene richiesta una disponibilità forte e
permanente come
mai prima, a reinterpretare, o piuttosto: ridefinire la nostra azione
d'insegnamento,il
nostro stato d'animo, il nostro "habitus", lo scopo supremo
(autentico, speriamo) del nostro "docere". Troppo spesso è stato
commesso l'errore di fare tale esame di coscienza solo quando si
trattava di
affrontare le tematiche riservate alle classi superiori. Con quelle
domande
dobbiamo confrontarci fin dalla prima ora di latino, magari davanti a
quei
ragazzi che sono entrati nel "liceo inferiore" con insegnamento di
latino
(!), e non sanno la causa per la quale frequentano questi banchi di
scuola e non
altri. Forse non lo sanno neanche i loro genitori.
La domanda di fondo è: Docere, come e con
quale stato
mentale, con quale identificazione, con quale filosofia e con quale
immagine del
giovane che dobbiamo accompagnare? Con quali strumenti e con quali
procedure ?
Docere come impegno su vari livelli: intellettuale, emotivo, artistico.
Se
vogliamo portare il latino nelle classi inferiori, non dobbiamo essere
riconoscibili come "latinisti", ma come uomini che abbondano di cultura
viva, allegra, accattivante, in una parola: cultura a 360 gradi. Un
fatto del
cervello e dell'animo, del cuore e del istinto. Perché docere è una
arte.
Pedagogia, vuol dire condurre i giovani,
pedagogia non
invadente, ma costante e con emozioni finissime, sottili, raffinate –
in un
mondo caratterizzato dagli impatti fin troppo forti. L'attuale tendenza
filosofica che tocca i paesi di lingua tedesca, una specie di visione
universale
del mondo e della vita, rende più probabile un successo in quella
direzione.
La questione di base è tripla. Il latino
come materia
linguistica o come materia culturale per antonomasia? "La Materia
Culturale" quindi. Non pochi in Germania e Austria la rivendicano. In
ogni
caso un latino autentico e non semplificato artificialmente, anche
perché il latino
più bello e più nobile non è complicato, ma è proprio quello chiaro e
semplice. I giovani devono capire che il latino è bello perché è
trasparente,
come lingua e come cultura. Simplicitas vincit. Un
latino che è rimasto una
lingua viva, un essere vivente fuori dalla gabbie della tradizione,
fuori dalle
prigioni della traduzione, lontano da ogni tradimento. Ma anche lontano
da
modifiche e manomissioni improprie. Ci sono casi in cui per esprimere
un
pensiero in italiano o tedesco occorrono dieci o dodici parole, e in
latino ne
bastano quattro o cinque. Brevitas vincit. Il
latino è un bene in evoluzione,
certo, ma non deve essere vittima di storture. Illustrarlo come una
lingua
chiara e perciò semplice fa bene, ma non è necessario banalizzarlo,
renderlo
troppo facile. I giovani vanno stimolati ad affrontare anche alcune
difficoltà.
La tendenza didattica predominante nei paesi di lingua tedesca è quella
di
alzare il livello delle prestazioni. Troppe azioni di semplificazione
non
possono creare, a lunga andata, piacere nei giovani perché un bel
giorno si
renderanno conto che non hanno imparato il latino vero, ma un secondo
"esperanto" del quale il mondo non ha bisogno. Dobbiamo renderci conto
che anche per i giovani il tempo è prezioso. In una società che vive
con la
velocità in tutte le cose, parlo appunto dei paesi di lingua e
mentalità
tedesca, bisogna calcolare i tempi a disposizione. Non dobbiamo fare lo
sbaglio
di tentare di sostituire l'inglese dal latino, in quel caso il latino
perde di
sicuro. In quel caso noi latinisti siamo i bersagli di tutti, e neanche
a torto.
Penso a una anima europea non imprigionata
dalla
tradizione, ma sostenuta dalla consapevolezza della "sostanza in
movimento" della civitas europea. Il latino come lingua di
identificazione,
non da veicolo linguistico quotidiano. In Germania ci sono alcuni
"estremisti" del latino che vogliono parlarlo in ogni momento della
vita. Anche questa è una tendenza, ma non vincente. Con tutta
l'ammirazione per
l'idealismo palese,voglio dire: il "troppo" può anche nuocere. Nel
mondo scolastico bisogna navigare a vista ed evitare ogni sorta di
estremismo.
In ambedue le direzioni. Essere riguardati ridicoli non aiuta per
niente. Non
possiamo tornare indietro nella storia, dobbiamo inserirci noi nel
contesto che
ci circonda.
Sia chiaro: La tentata fuga verso una
scuola superiore
senza lingue classiche sarebbe una fuga verso una scuola non-europea,
qualunquista
dispersa e sospesa nel mondo anonimo. La tradizione scolastica ha
sicuramente
una ragion d'essere. La sola imbalsamazione del latino , però, non ha
senso e
non è per niente sufficiente. Se tradizione vuol dire adorazione di
mummie,
saremo dei poveri custodi di un museo morto.
Molto spesso le tradizioni liceali
tedesche ed austriache
sono diventate gabbie. Nel caso della Germania e dell'Austria la
filosofia
metodologica regnante, quella della traduzione meticolosa, dominava il
"mercato" delle pubblicazioni didattiche per molte generazioni. Una
tradizione che doveva servire da spina dorsale e che è venuta
insufficiente nel
frattempo. Ma spesso i riformatori si trovano come il famoso Gabbiano
Ionathan.
Se una battaglia per il rinnovamento viene vinta in Italia,con il
metodo
naturale p.e.o altre metodologie interessanti, la vicenda non è vinta
in
Europa. Se parlo di vicenda non penso solo agli ostacoli che la
politica e la
società creano al rilancio e al consolidamento degli studi del latino e
del greco,
ma anche alla piccola (e nello stesso tempo grande) fatica quotidiana
che gli
studenti devono subire davanti a un testo che appare difficile,
indecifrabile,
pieno di insidie e quindi noioso e già per questo antipatico. Ai
margini del
discorso voglio dire che anche i testi da leggere sui banchi di scuola
sono
rimasti sempre gli stessi fino a pochi anni fa: decenni e decenni di
ripetizioni, e solo pochi insegnanti hanno rotto il "canone"
dell'usuale.
Alcuni propongono oggi dei programmi non basati su un elenco di autori,
ma su
elenchi tematici. Una tendenza che si diffonde, sempre di più.
In tutta l'area non prettamente neolatina
(vale a dire nei
paesi germanici, anglosassoni e slavi) il latino è davvero lingua
straniera, e
non viene considerata "lingua degli antenati". Il latino viene da
fuori, anche se fuori non era mai, vista la Latinità "subcutanea" di
molte delle civiltà europee. Anche i Paesi germanici hanno sin dai
tempi del
Sacro Romano Impero un forte elemento latino che è andato dimenticato,
ma non
è perso. Certamente il minor impatto della cultura ecclesiastica sulla
società
- a parte il fatto che la Chiesa è già lontana dal latino per molti
aspetti
– si fa sentire. L'eredità linguistica latina è assai indiretta (o
almeno
pare di esserlo) per essere percepita automaticamente, le
trasformazioni
lessicali, morfologiche e semantiche sono troppo gravi per permettere
una
percezione di rapporto madre-figlia. E poi ci sono le parole
prettamente
non-latine, germaniche o celtiche appunto. Il latino è "lontano", e
difficile perché nettamente diverso dal tessuto linguistico della
proprio
lingua. Ma c è anche un'altro fatto, in un certo senso positivo: il
latino è
"lontano"- e quindi appetibile, interessante perché esotico, strano
ed estraneo, magari un lusso culturale ed intellettuale, e perfino uno
"status simbol" della borghesia d'elite o di quella che si crede tale.
È la chance per le "famiglie di cultura" di darsi un profilo
socio-culturale. Si intende da se che questi aspetti sono già
problematici in
se stessi. Il latino e la cultura classica latina appaiono come dei
beni d'importazione,
un oggetti quindi preziosi, per qualche verso stranieri e quindi belli,
giusti
per il "salotto di buona famiglia". I libri dei poeti antichi si
inserivano molto bene negli ambienti "Biedermayr" della Vienna della
fine dell'800 e dell' "Altdeutsche Stil" della Berlino del primo '900.
In tale senso il latino godeva anche di un posto d'onore.. Un motivo
sincero,
quindi ? Visto anche il fatto che l'approccio si fa o almeno si faceva
tramite
la traduzione (!) e non tramite la lingua come bene integrato nella
propria
vita. Una tradizione della traduzione che doveva colpire già i piccoli
all'età
di 11 anni. Ho detto appositamente: colpire. Spesso l'arrivo del latino
sui
banchi degli alunni di prima classe era davvero un colpo.
Centocinquant'anni di
tradizione, traduzione e tradimento. Eccoci qua.
Centocinquant'anni di tradizione
romantica, eroica,
snaturante e falsificante. La traduzione dal latino in un tedesco assai
discutibile,
perché artificiale e poco naturale aggiungeva il suo. Ancora un
tradimento.
Forse ciò non ha validità negli occhi dei giovani, ma almeno in quegli
dei
genitori che a loro volta hanno studiato le "lingue nobili" sui banchi
dei licei d'elite di tanti anni fa, con un palese atteggiamento di
addestramento
borghese e perfino militare. I licei prussiani con la loro tradizione
quasi
marziale servivano da modello per tutto il mondo di lingua tedesca. Tradition
oblige, la tradizione obbliga, e sono tentato di aggiungere:
la traduzione anche.
Ma non solo per amore per la cultura, ma per dotarsi di un marchio di
qualità.
La cultura del marchio è diffusa in Germania e in Austria, come in
pochi paesi.
Ma attenzione: Se però dilaga la mania del
"credo" tecnologico e consumistico, come è da parecchio tempo il caso
nei paesi del Nord in una misura non più comprensibile, il latino perde
subito
l'aura e il carisma del gioiello prezioso. Cito per un attimo il caso
della
Svizzera, dove il latino è quasi scomparso, del greco non parliamo,
anche dalle
scuole più nobili, ivi compreso il Canton Ticino che in teoria dovrebbe
sentirsi particolarmente legato al mondo latino.
La situazione in Austria è particolarmente
difficile: L'Austria
è un piccolo paese, la società è afflitta dall'impressione di essere in
ritardo rispetto ai grandi paesi europei, e quindi si fa di tutto per
lanciarsi
a tutti i costi in un mare di modernismi. Il latino ne è una vittima.
Ora
sembra che siamo arrivati a una fase di consolidamento, le scuole con
un
discreto spazio per il latino si mantengono, alcune sono anche
riconosciute, ma
non sappiamo se siamo solo all'occhio del ciclone o davvero in acque
tranquille.
In ogni modo: la tregua consente una riflessione più approfondita e
passi
decisi per il rinnovamento dell'insegnamento del latino. Nessuno però
può
programmare il futuro, e la didattica ne risente.
Ogni azione didattica deve partire dalla
domanda sincera e
coraggiosa: Cosa vogliamo trasmettere ai giovani nelle nostre ore di
latino ?
Quale peso vogliamo dare noi latinisti al latino in una società non
neo-latina,
ma sospesa tra le tradizioni tedesche e l'inglese "chic" invadente da
tutti i lati? Una più vasta comprensione dei testi, dei loro contenuti,
dei
significati palesi e nascosti, delle allusioni sottilissime, dei motivi
e dei
simboli, delle metafore e parabole, dei mezzi stilistici e perfino un
po'di
poesia, e quindi l'arte di scrivere e quella (ancora più importante) di
capire? E forse quell'ultima è ancora più difficile da imparare. Non
solo il
"corretto" e lo "sbagliato", ma anche il "buono" e
il "cattivo", il "bello" e il "brutto". Non
dobbiamo dimenticare che in francese si parla di "belles lettres".
Categorie che di solito le materie matematiche ed informatiche non
possono
offrire. E neanche le scienze naturali se non viste assieme alla
filosofia, all'etica,
alla teologia e più in generale alle lettere. Il nostro insegnamento
potrebbe
essere quindi multidimensionale.
O vogliamo limitarci soltanto a un
esercizio linguistico,
alla matematica delle parole, a esercizi di ginnastica grammaticale, a
una
"tour del force" della morfologia e della sintassi" ? L'art pour
l'art del latino e del greco ? Vogliamo aggiungere altri anni di
"filosofia
della ripetizione" ai 150 anni appena passati ?
In poche parole: vogliamo dare spazio al
rinnovamento ?
La domanda tutto cruda si impone: Quale è
il fine supremo,
quindi ultimo, della nostra azione ? Da dove partiamo e fin dove
vogliamo
arrivare ? Non sarà che vogliamo far capire ai nostri giovani il
messaggio e
quindi il contenuto di un patrimonio ? Dato che noi siamo i custodi,
piuttosto
mal pagati, ma un po'sacerdoti di un dono divino. Capire, assumere,
interiorizzare, integrare nella propria anima ? In una visione
universale, che
comprende tutto l'uomo nel suo essere, il cervello e l' anima. Per
farlo
diventare modello di vita ? Per farlo diventare un vademecum per sempre
? Un
"ktema eis aei ". Tutto ciò senza utopie, niente
"esperanto" artificiale, ma latino vero e vivo. Un latino che trova
molto bene il suo spazio giusto in un'Europa che si rinnova e alla
quale noi
stessi crediamo. Lo spirito dei tempi attuali permette un "credo" ?
Tendenze chiare cercansi. C è un po'di nebbia.
Se oggi alla formazione dei giovani viene
chiesto sempre di
più un atteggiamento mentale universale, universalistico, integrale ed
integrativo, pluralistico e omnicomprensivo, "globale" se vogliamo, è
chiaro che anche l'insegnamento delle lingue classiche dovrebbe essere
cosi,
molto di più che un addestramento linguistico. Molto di più che un
corso di
traduzione. Magari un'avventura, che consente anche qualche
sperimentazione. E
ciò è molto di più che una tradizione riciclata. E voglio ripetere:
"molto di più", il che significa: non senza il primo. Il nostro
insegnamento deve conoscere bene il destinatario. Se non vogliamo
capire la
gioventù di oggi, se la crediamo "come sempre", abbiamo perso già in
partenza. Piace o no, dobbiamo cercare di capire i giovani e il loro
mondo. Ma
dobbiamo mantenere noi stessi la nostra filosofia, niente svendita del
nostro
"credo" per essere riguardati bravi e belli dai giovani. Anche noi
filologi dobbiamo conoscere e saper spiegare lo spirito dei tempi, ma
con il
nostro bagaglio di filosofie ed esperienze.
Dove mettere quindi gli accenti, cosa
privilegiare, cosa
accantonare, dove fare i tagli ? E cosa ritirare dall'obbligo,
rispolverare,
rilanciare ?
Una relazione che deve parlare di
"tendenze" deve
anche parlare di tagli da fare.
Tagli fondamentali che riguardano il
nostro approccio alla
materia: Il latino non è il nucleo della vita scolastica di oggi. È una
delle
materie principali, questo ruolo mi permetto di rivendicare ancora. Da
questa
posizione non mollerò. Ma va visto integrato in un ventaglio di materie
tutte
importanti, delle quali nessuna è una materia-nemica del latino.
Tagli fondamentali che riguardano la
dimensione didattica:
Soprattutto nelle classi del "liceo inferiore" bisogna ridurre le ore
di latino la dove sono davvero in esubero. Se noi latinisti ci
accontentiamo di
tre o quattro ore settimanali nella fascia di età tra i tredici e
quindici
anni, almeno in Austria e in Germania possiamo trovare simpatia da
parte dei
genitori, con cinque ore settimanali siamo fuori dai tempi attuali.
Nessun liceo
potrà mantenersi sul mercato con troppe ore di latino, meglio limitarsi
e fare
un insegnamento molto concentrato, intensissimo e anche
− lo dico
volutamente
– un po' più severo rispetto agli anni passati, nei quali abbiamo
abbassato
notevolmente il livello delle prestazioni richieste. Il "discount" non
ci ha portato niente, ne in termini di qualità ne in termini di
comprensione da
parte della società.
Sul mercato troviamo tutta una vasta gamma
di libri per i
primi due anni di insegnamento grammaticale. La linea generale è assai
unificata: Siamo oramai lontani dall'insegnamento declinazione dopo
declinazione, si procede invece assai trasversalmente, imitando in
parte i
procedimenti delle lingue moderne. I risultati però sono un po'scarsi.
Nessuno
dei corsi sul mercato ha soddisfatto davvero. Bisogna quindi integrare
i
capitoli grammaticali che nelle lezioni stesse sono solo presentati in
parti (e
quasi mai approfonditi) da apposite integrazioni da parte
dell'insegnante. In un
certo senso un k.o. dei metodi proposti. Mancano da una parte libri che
seguono
il vecchio metodo, ma con lezioni più interessanti, testi accattivanti
e un po'di
lingua viva, mancano dall'altra parte i metodi moderni seguiti con
perseveranza,
tipo metodo Orberg. Non c è dubbio: viviamo dei momenti di grande
confusione. Una
linea maestra non c è. Io personalmente mi augurerei individuare un
corso che
procede con chiarezza grammaticale e con elenchi riassuntivi chiari ed
esaurienti e con testi tutt'altro che noiosi. Oppure un corso tipo
metodo
naturale, ma per fare ciò bisognerebbe avere la garanzia di tempo in
abbondanza
e di autorità scolastiche assai tolleranti. Va detto che almeno in
Austria il
controllo da parte dei provveditorati anche in termini di metodi
adoperati
esiste ancora. Non è facile sperimentare radicalmente.
Per consolidare o riproporre
l'insegnamento del latino
nelle classi inferiori, con un numero di ore di lezione limitato, per
non dire
limitatissimo, non possiamo andare avanti con soluzioni a metà. O la
chiarezza
didattica e strutturale tradizionale, ma con testi completamente
rinnovati e
resi vivi e variopinti, con esercizi direi quasi sportivi e un certo
elemento
"ludico", o un metodo radicalmente nuovo che spiega la lingua latina
"per se stessa illustrata", ma per fare ciò ci vuole la garanzia di
assoluta libertà didattica e un maggior numero di ore settimanali a
disposizione. In un mondo scolastico, ancora caratterizzato dalla
filosofia del
controllo da parte delle autorità, lo spazio di manovra per un
rinnovamento
sostanziale, per una sperimentazione con libertà garantita, per un
ripensamento
della filosofia del "docere" non è grande.
Non credo che nei paesi di lingua tedesca
esiste una
tendenza dominante, se non quella dei lodevoli tentativi di rendere
vivace e
colorito l'insegnamento,e i libri scolastici, pur nella parziale
confusione
metodologica. I latinisti giovani sono assai motivati, molti hanno
capito che
bisogna proporre ai giovani anche capitoli di storia culturale, ma ciò
che
manca da molte parti è la disponibilità (e forse anche la capacità) a
interpretazioni di testi con atteggiamenti non solo filologici, ma
anche
filosofici, culturali, storici ed antropologici. L'interdisciplinarietà
viene
sempre rivendicata, ed è questo già un fatto positivo, ma solo pochi la
praticano, e poche scuole – vale a dire poche presidenze – danno lo
spazio
per farla. A questo punto bisogna parlare della rivista "Der
Altsprachliche
Unterricht", la più autorevole testata tedesca in termini di didattica
del
latino e del greco. Bisogna parlare anche della rivista "DOCERE" che
viene proposta dall'Academia Vivarium Novum e dal Centrum Latinitatis
Europae, e
che ripropone in esclusiva alcuni articoli tradotti parola per parola
in
italiano, e tenta quindi di portare alcune considerazioni di oltralpe
in Italia.
E parlo un attimo anche di ZETESIS che accoglie articoli miei che
riassumono i
contenuti del dibattito didattico nell' Europa Centrale. Gli addetti ai
lavori
hanno già scoperto che ci sono differenze di non poco conto tra i due
mondi
scolastici. Bisogna dire con franchezza che non pochi articoli della
rivista
tedesca propongono delle vere e proprie utopie che possono essere
stimoli
preziosi, ma non possono essere tradotti in realtà punto per punto.
In questo quadro tra tradizione e utopia,
con molte
incertezze e dubbi, l'insegnamento del latino in Germania e Austria va
avanti,
non troppo male, ma minacciato non solo dalla politica assai
anti-latino, ma
anche dalla confusione che noi latinisti abbiamo tra le nostre righe,
in fatti
di didattica, ma anche di filosofia di fondo: siamo soprattutto
filologi, o
siamo concessionari di cultura generale con un po' di latino ?
C'è da augurarsi che la confusione potrà
partorire
prodotti nuovi: quelli attuali non sono pienamente soddisfacenti.
INCONTRO
DEL 20 marzo 2003
Alcune riflessioni d’oltralpe.....
di
Rainer Weissengruber, Direttore del Centrum Latinitatis Europae
Come
direttore del Centrum Latinitatis Europae ho l’onore di proporre alla
Vostra attenzione la seguente nota, che non vuole essere una relazione
nel senso pieno della parola, ma soltanto uno stimolo e un
intervento-saluto proveniente dall’estero – sono infatti insegnante in
un liceo austriaco – per arricchire, se ciò mi sarà possibile, questa
prestigiosa manifestazione.
La
tematica mi interessa in modo particolare, visto che anche oltralpe i
problemi attorno alla “scuola del domani” non mancano. Il latino nelle
medie – un titolo quasi provocatorio in tempi di riforme e riforme
delle riforme. Ho appreso che proprio in questi gironi la riforma
scolastica italiana è stata approvata anche dal Senato, vedremo cosa
porterà nella prassi della vita scolastica. Il latino nelle medie – una
rivendicazione di chiaro spirito europeo, perché proprio il latino è
elemento europeo per antonomasia, e se l’Europa non viene vista
“latina”, che cosa potrebbe essere in alternativa ?
Il
latino nelle medie – un tema che giustamente si pone in Italia.
L’Italia non è una potenza politica di portata mondiale, è una potenza
economica delle dimensioni medie, ma è una super-potenza in materia di
cultura. Solo che la scuola italiana segna il passo, potrebbe e
dovrebbe essere migliore, e tutto ciò in uno scenario che almeno in
teoria dovrebbe essere molto favorevole proprio verso le materie
classiche. Ma forse una certa mentalità “museale” ha contribuito a una
stasi nello sperato sviluppo del mondo scolastico, e da ciò deriva
proprio un regresso. Lo ho dovuto constatare diverse volte in questi
ultimi anni, e mi permetto di dirlo francamente. A partire dall’aspetto
estetico di molte scuole – edifici fatiscenti, aule non curate,
mancanza di mezzi didattici, vetustà degli arredamenti –
all’insegnamento stesso che in molti casi è ancora molto “frontale” e
non sa dei progressi didattici ottenuti in molti Paesi che da decenni
vivono un rinnovo metodologico che fa tremare interi sistemi scolastici.
Attenzione: non voglio dire
che in altri paesi la situazione è oro, nella stessa Germania la famosa
ricerca “Pisa” ha evidenziato lacune molto gravi, nonostante le scuole
perfettamente allestite e ben curate. I muri ben imbiancati non sono
una garanzia per un buon insegnamento e per uno spirito amichevole
verso le lingue e le culture classiche.
Posso
dire anche che ho conosciuto in Italia dei latinisti che si danno molto
da fare nell’individuare nuovi metodi e sanno convincere i ragazzi che
il latino ha il suo valore.
Dobbiamo
dirlo con chiarezza e sincerità: il latino si trova in una situazione
di difesa, da anni. Chi pensa di poter considerarlo consolidato si
illude, e le illusioni sono più che pericolose. Forse in Italia il
latino come materia scolastica gode di qualche “naturale” sostegno
dalla storia del Paese e dal “sentirsi eredi della Latinità”. Dico
forse, perché ho avuto delle impressioni molto contrastanti nei miei
incontri con gli insegnanti italiani, e ancor di più nei contatti con i
giovani. So benissimo quali problemi dovete affrontare anche voi,
proprio nel Paese-custode dell’antichità. Fa pena, anzi: è
dolorosissimo dover sentire (ripetutamente) il governo italiano parlare
delle tre “i”: inglese, industria, internet. Il resto passa in seconda
riga. E chi sa quante trappole contiene e nasconde l’attuale riforma
scolastica? Ma la posizione del latino mi pare ancora più difficile in
alcuni altri Paesi europei. Penso all’Austria stessa, che conosco fin
troppo bene, penso alla Svizzera, dove il latino è passato quasi
nell’area del facoltativo, penso ad alcuni “Länder” della Germania,
alla Francia e perfino alla Spagna. La consolazione che il latino ha un
ruolo assai privilegiato in Finlandia non è una consolazione che conta
davvero.
Non
si tratta soltanto di una crisi di una materia classica: è il caso di
parlare di una crisi del liceo, soprattutto di quello classico, ma
anche gli altri tipi non si trovano in acque tranquille. Il liceo oggi
viene visto spesso come scuola non precisamente definita e, per
mancanza di specializzazione particolare, appare troppo
omnicomprensiva. Il liceo non prepara direttamente alla vita
professionale, e quindi rimane troppo sul vago. Cosi si sente dire,
quasi in tutta Europa.
D’altra
parte bisogna ammettere che il liceo, in molti casi, è rimasto privo di
vera innovazione. Spesso l’interdisciplinarietà è solo un bel pensiero
(peraltro non condiviso da tutti), i metodi nuovi non vengono adoperati
che da un limitato numero di insegnanti, il latino e il greco sono
troppo spesso materie di “traduzione” e non di interpretazione.
Intendiamoci: il valore della traduzione è indiscusso, ma mi pare che
la traduzione può essere solo una parte della materia: purtroppo
l’interpretazione, l’analisi dei contenuti, la riflessione, la
discussione, gli aspetti della storia letteraria, della filosofia,
della politologia, ecc passano in secondo piano e vengono semplicemente
lasciati da parte. Questo atteggiamento limitativo ha danneggiato molto
l’immagine del latino, ha mutilato una delle materie-chiave del liceo,
ha provocato la domanda: ma perché dobbiamo studiare questa lingua
morta?
Se
questa domanda domina nei cervelli e sulle labbra dei giovani (e dei
genitori, che forse sono più frustrati dei giovani, perché hanno
vissuto un insegnamento “tradizionale”, vale a dire: traduzione sopra
ogni altra attività pensabile) non c’è da meravigliarsi che la società
sia assai propensa all’idea di ridurre l’insegnamento del latino. Se
“latino” vuol dire solo ciò che ho illustrato in questi ultimi passaggi
del mio intervento, non c è da meravigliarsi che il latino sia
difficile da ri-introdurre nelle medie. In verità pare già difficile
conservarlo nelle superiori.
Ma
noi dobbiamo ragionare in positivo: Come si potrebbe ri-introdurre il
latino “ricco, splendido, attraente, divertente….” nelle medie, come si
potrebbe rompere il circolo vizioso del “latino morto” e renderlo vivo
e colorito?
Mi
perdonate se tento di portare la domanda su un piano più generale? La
scuola ha troppo spesso un carattere da “imparare per essere
esaminati”. Le prestazioni, i risultati, i prodotti… hanno ucciso (mi
permettete l’esagerazione) il bel concetto di “scholé”. La scuola è
purtroppo “fabbrica di risultati” e non “palestra di educazione verso
il buono ed il bello”.
Se
la scuola, e in modo particolare il “blocco” media-liceo devono
cambiare atmosfera, l’insegnamento del latino deve cambiare in modo
particolare. I tempi del “latino-materia di addestramento” sono quasi
ovunque definitivamente passati. Speriamo. Il latino, pur essendo una
materia che sa dare ai giovani una forte dose di “akribeia”, e quindi
di educazione alla precisione e all’attenzione intellettuale, in primo
luogo deve essere capito come “ars”, e quindi non soltanto come
“disciplina severa”, ma come vera arte, quindi anche con un elemento
“artistico”, estetico, bello, poetico, attingente all’anima – e non
solo al cervello. Proprio nei paesi di lingua tedesca questo elemento è
stato sottovalutato per molto tempo, per più di un secolo, precisamente
dai tempi del liceo classico con funzione di “educazione militare” dal
tipo “Vecchia Prussia”. Questo “habitus militare” di molti professori
di latino e greco delle generazioni passate è diventato un “modello”
che ancora oggi ha una certa validità, in particolar modo in alcuni
licei d’élite, ma ancora più fortemente nelle teste dei genitori, per i
quali la parola “latinista” è sinonimo di “dittatore” o “tiranno” o
semplicemente “professore che ha sempre ragione”. Per non parlare
dell’insegnamento stesso: tradurre, e di nuovo tradurre, poca
interpretazione, poca cultura “dei dintorni”. Il latino come esercizio,
non come attività creativa o ri-creativa. Una “techne” senza elementi
sereni e divertenti. E dove sono i collegamenti con la nostra civiltà
odierna ?
Occorre
fare di tutto per rompere con questa tradizione. Certamente un bel
pezzo di strada si è fatto, e in molte scuole i latinisti hanno
imboccato da tempo la strada buona. Ma per far capire al grande
pubblico tali mutamenti passeranno ancora molti anni. Nel frattempo
dobbiamo intraprendere degli sforzi particolari. Ma sforzi che
alleggeriscono il quadro didattico soprattutto nei primi anni. Il
latino va presentato come materia viva. Non credo all’utopia del
“latino parlato a pieno titolo”: nessun esperanto latino, per
intenderci! ma il latino parlato come elemento ludico, quasi da gioco,
può far parte di un corso di latino – ipotizziamolo pure – negli anni
delle medie. Il latino va presentato come “madre” delle lingue moderne,
come “materia naturale” per i giovani europei, come “bene bello” di una
vita di valori, senza tocco di “vecchia borghesia culturale”,
semplicemente come “latino piacevole e giovane”. L’insegnamento è
chiamato a cospargere entusiasmo, l’insegnante deve dimostrare la sua
identificazione, il suo interesse, il suo amore per la “sua” materia.
Un ipotetico insegnamento del latino nelle medie dovrebbe essere
accompagnato da una forte disponibilità dell’insegnante a lodare, non
ad andare sempre alla ricerca degli errori. Non pochi critici della
scuola di oggi puntano il dito contro una certa cultura dell’errore,
che non riesce a premiare in maniera adeguata il positivo che può
essere trovato nei lavori dei giovani. La filosofia guida deve essere
quella della valorizzazione del positivo.
Se
si tratta di tentare di riportare il latino nelle medie, e nei Paesi di
lingua tedesca nella “Unterstufe” dei licei, va detto che il latino
deve trovarsi in contrasto con molte altre materie. Il latino deve
essere vissuto come materia “in positivo”, come materia che fa pochi
danni, che incoraggia, che aiuta a vivere i successi, forse piccoli,
che il giovane può trovare nell’apprendimento di questa lingua
“strana”, perché morta e viva nello stesso tempo.
Studiare
il latino deve essere una piccola – e forse grande – avventura, che è
totalmente diversa dallo studio delle lingue moderne, diversa dallo
studio della matematica o della madre-lingua. Il latino è diverso, e
quindi anche il suo insegnamento dev’essere diverso. Bisogna cercare di
introdurre un elemento sportivo, da gara, da “agon”
giovanile, ma senza vincitori arroganti e sconfitti
scoraggiati.
Fin
dall’inizio non si deve parlare solo di lingua latina. Anche i giovani
possono essere sensibilizzati verso l’unione “lingua-cultura”. I libri
di scuola dei primi due anni di latino usati in Austria e Germania
hanno subito una grande metamorfosi in questi ultimi tempi. Una volta
sterili compendi di grammatica e relativi esercizi, oggi sono veri e
propri guide attraverso il mondo antico, visto ed interpretato da un
punto di vista giovane. Non solo i testi latini parlano del mondo
antico, ma possiamo trovare anche dei piccoli capitoli “marginali” che
spiegano la vita ai tempi di Cicerone o degli imperatori romani, con
disegni e foto, con barzellette e giochi di parole, con esercizi che
non sono noiosi come quelli di venti anni fa.
Il
ragazzo di oggi viene preso per mano e portato attraverso un labirinto
romano, con tanto brivido e tanti divertimenti intelligenti. E già il
titolo dell’ultimo libro di introduzione nella lingua latina trasmette
questo messaggio, che il latino non è noioso ma variopinto.
Felix non è solo il titolo del libro, ma anche il nome del
piccolo eroe che si offre a guidare gli alunni attraverso le
terre virtuali del mondo antico.
L’insegnamento
non si fa soltanto in scuola. Bisogna portare in giro gli alunni.
Proprio in Italia ciò non dovrebbe essere un problema: non bisogna
visitare necessariamente il Foro Romano o Pompei, che non saranno a
portata di mano, ma basta una escursione che ha come meta uno scavo
minore, ideale per poter essere compreso dagli alunni delle medie. Non
è soltanto il grande che colpisce i ragazzi, ma basta già la modesta
area archeologica davanti a casa propria.
Perfino
internet. Noi latinisti dobbiamo usarlo in maniera sostenuta, sempre di
più. Meglio esagerare in tempi come questi. Si tratta di fare capire
che il latino vive, ed i giovani capiranno che il latino vive quando lo
trovano in internet. La rete virtuale è piena, strapiena, di pagine
dedicate al latino: perfino dei giochi in latino si possono trovare. E
non soltanto prodotti italiani, anzi: il mondo anglo-sassone offre
un’infinità di pagine internet dedicate alla civiltà antica, dalla
grammatica ai testi dei classici, dal teatro al latino volgare,
dall’archeologia in situ ai tesori dei Musei archeologici di tutto il
mondo. Non bisogna chiudersi davanti alla “Latinità in rete”: proprio
questa potrebbe essere per molti un vero approccio “dolce” al mondo
delle lingue classiche. Ma quanti latinisti usano davvero il computer e
internet in misura notevole ?
So
benissimo che nelle teste dei giovani dei termini come “l’Europa di
tutti” non hanno un significato concreto. Ma vale comunque la pena fare
un tentativo: Bisogna spiegare sempre di nuovo che il nesso che ci
unisce davvero non è l’inglese, che è un elemento linguistico venuto
all’ultimo momento in tutti gli angoli del continente, ma è il latino
che già da più di duemila anni è una base comune per tutti noi. Chi
studia il latino è davvero “europeo” perché ha riscoperto e si è fatto
propria una sostanza che è il fondamento di (quasi) tutte le
popolazioni d’Europa, in maniera diretta o indiretta.
Devo
parlare anche un attimo di un aspetto – chiamiamolo politico. Le
ipotesi ed eventuali prove di re-introduzione dell’insegnamento del
latino nella media vanno elaborate e realizzate con grande cura e con
grande determinazione. La nostra posizione e il nostro atteggiamento
devono essere offensivi. Non ha senso “documentare” sempre di nuovo la
nostra misera situazione di difesa, dobbiamo uscire dai nascondigli e
proporre un “prodotto” inedito. Dobbiamo farlo con grande convinzione e
con “sicurezza di noi stessi”. Se si vuole fare capire che esistiamo
ancora (e di nuovo) dobbiamo dimostrarlo con serenità e grande
dinamismo. Sappiamo tutti che tali iniziative sono sperimentazioni, ma
anche un risultato limitato è già un risultato e molto meglio che
niente. Tutta questa nostra azione deve avvenire senza “ombre
politiche”, senza strumentalizzazione politica, senza schieramento da
un lato o da un altro – bisogna agire super partes,
rigorosamente, e integrare nelle nostre attività tutti coloro che in
materia dimostrano buona volontà. Se la nostra azione assume un timbro
politico, il nostro lavoro è già perdente nella fase stessa della
nascita. Sono convinto che abbiamo perso buona parte del nostro
“argento di famiglia” nelle lotte culturali che hanno visto coinvolti i
partiti o le correnti politiche. I giovani e i genitori devono capire
chiaramente che noi ci muoviamo assolutamente ed esclusivamente per
rilanciare la cultura delle nostre radici, sotto il segno di una
collaborazione sincera ed aperta. Dobbiamo fare capire che il nostro
impegno è fuori di ogni discussione ideologica, anche perché il latino
è un bene che deve essere accessibile da tutti, indipendentemente dai
ceti sociali e dalle provenienze politiche. Cosi facendo la nostra
azione potrà assumere un vero valore sociale, perché è un lavoro
“socialmente utile”.
Per
chiudere il mio piccolo intervento mi permetto di parlare anche di un
trucco che forse mobilita l’interesse dei giovani: il lusso
culturale e l’orgoglio di essere un po’diversi. Chi studia il latino fa
qualcosa di straordinario, si offre un qualcosa di particolare, si
differenzia dalla massa di coloro che imparano solo ciò che possono
adoperare direttamente dietro l’angolo. Il latino è bello, perché è
diverso. Una materia speciale per dei ragazzi che vogliono essere
speciali anche loro. Non è un peccato essere un po’speciali. Mi
sbaglio?
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