Tito Maccio Plauto, La Gomena, A
cura
di Silvia Stucchi. Testo latino a fronte, Pag. 302, Marietti 1820,
Bologna, febbraio 2020.
Tra le commedie plautine la Gomena ha un posto speciale. Ha
un'impostazione di fondo e un modo di trattare l’intreccio che la
caratterizzano in modo netto: è impregnata di humanitas e ricca di
spunti riflessivi più di altre commedie di Plauto. Vi sono naturalmente
passaggi in cui troviamo momenti di funambolismo linguistico o
situazioni di forte comicità quali siamo abituati a vedere nelle sue
commedie, ma vi sono anche numerosi brani con impostazione severa, in
cui diversi personaggi esprimono considerazioni sul destino e sulla
vita umana e forniscono consigli morali sul comportamento e sui doveri
umani. Vero che, come dice uno dei personaggi, Gripo (vv. 1249 e ss.),
quando gli spettatori sentono a teatro queste sagge esortazioni
all’onestà applaudono, ma poi appena usciti riprendono i loro piccoli
traffici e le loro piccole ruberie: ma questa considerazione, un breve
momento di metateatro all’interno della commedia, ha soprattutto lo
scopo di stemperare il clima e di evitare che si scivoli nel moralismo:
pur sempre di un’opera comica si tratta. Rivela il carattere
particolare della commedia anche il fatto che il prologo sia affidato a
una divinità, la stella Arturo, che fin dall’inizio ricorda agli
spettatori come Giove mandi i suoi collaboratori nel mondo a scrutare
caratteri e azioni degli uomini per prendere poi i provvedimenti
opportuni e fare in modo che il bene prevalga. Vi sono momenti di
grande drammaticità, ad esempio nella descrizione della tempesta marina
che ha fatto naufragare la barca in cui erano il lenone, l’amico e le
sue schiave. Alla fine la vicenda si dipana verso la vittoria finale
del bene. Tutti questi caratteri fanno della Gomena un documento di
grande rilievo artistico e teatrale, in cui comico, serio e drammatico
si alternano o piuttosto si fondono. Non mancano alcuni dei personaggi
favoriti della commedia plautina, il lenone che cerca di imbrogliare il
cliente, il giovane innamorato, lo schiavo che mira ad acquisire meriti
da parte del padrone, e tanto meglio se il suo apprezzamento si traduce
in denaro contante o promessa di libertà: ma il modo con cui questi
personaggi sono portati in scena e rappresentati rivela una
partecipazione sincera da parte del poeta, col risultato di una grande
intensità artistica. Ha notevole e inusuale forza drammatica ad esempio
il modo con cui sono rappresentate le due donne protagoniste della
commedia, Palestra e Ampelisca: Palestra è di origine libera ma rapita
da piccola e fatta schiave illegalmente; le due sonne, sbattute sulla
costa dopo il naufragio, restano prive di ogni mezzo e alla mercé di un
padrone privo di scrupoli: per loro non è sicuro nemmeno il rifugio nel
tempio di una divinità, Venere, perché il malvagio lenone, senza
scrupoli e contro ogni regola, le strappa via da questo rifugio e le
tiene poi assediate sull’ara antistante il tempio. E’ però vero che
alla fine esse trovano persone disposte a dare loro aiuto e protezione,
e questo fa sì che in conclusione la commedia trasmetta un’immagine
positiva dell’umanità, al di là di tutti gli imbrogli e sotterfugi che
alcuni dei protagonisti cercano di mettere in atto. Alla cena finale
bandita dall’anziano Demone, colmo di gioia per avere ritrovato la
figlia che gli era stata rapita da piccola e che ha riconosciuto grazie
al ritrovamento dei segni di riconoscimento che il lenone aveva
sottratti, viene invitato anche il lenone stesso che fino all’ultimo
aveva cercato di approfittare fraudolentemente della situazione: una
cena che segna dunque un momento di riconciliazione inaspettato che
aggiunge un ulteriore tratto di umanità.
Trattandosi di un’opera significativa, giunge gradita e utile la nuova
traduzione di Silvia Stucchi, edita dalla casa editrice Marietti 1820.
Il libro presenta, oltre alla traduzione, il testo della commedia
corredato da note che focalizzano problemi linguistici e interpretativi
che si aprono nel testo aiutando il lettore poco esperto a sciogliere
problemi di interpretazione sintattica o lessicale che s’incontrano non
di rado nei testi plautini. L’introduzione mette in luce in modo
puntuale i tratti essenziali della commedia, e in particolare discute
le questioni di natura giuridica che alcune parti della commedia
sollevano (ad esempio, la liceità di tenere per sé un oggetto pescato
in mare senza restituirlo a chi pretende di avere diritti di proprietà
su di esso): anche questo interesse per problemi di natura legale
infatti è un altro tratto peculiare della commedia.
Tradurre Plauto non è impresa facile. Innanzitutto è problematica la
scelta del registro da usare. La lingua di Plauto si rifà alla lingua
parlata a Roma nella sua epoca: se la lingua di Terenzio ha come
modello la parlata delle élites. Plauto riprende una lingua più
variamente e vastamente praticata nella parlata corrente, e questo
spiega anche perché il nome di Plauto sia evocato con tanta frequenza
in manuali come quello di Hofmann sulla lingua dell’uso latina.
Tuttavia la lingua di Plauto non scade mai nel triviale e mantiene
sempre una sua dignità, ed è anzi una lingua a suo modo colta, coi suoi
giochi di parole spesso inattesi e pieni di vis comica, coi
doppi sensi (non sempre di immediata evidenza e traducibilità per il
lettore italiano), con le sue innovazioni, con parco uso di grecismi ma
senza nessuna forzatura puristica. Il traduttore italiano deve
necessariamente tenere conto di tutti questi elementi, e sforzarsi di
rendere in una lingua non aulica, ma neppure sciatta. Ci sembra che
questa versione raggiunga questo difficile compito e che sia fedele sia
nella puntuale resa del testo sia nel timbro linguistico prescelto.
A chi è rivolto il libro? Chi ha nelle mani questo testo dovrebbe
possedere già informazioni su Plauto e sul suo teatro, informazioni che
potrà ottenere facilmente da una qualunque storia letteraria. Il
commento al testo aiuta il lettore a sciogliere alcuni nodi di un testo
in qualche frangente problematico, ma per una piena penetrazione del
resto il lettore dovrà contare o sulle sue sole forze o sulla guida di
un docente che lo aiuti a superare le difficoltà dello stile e della
lingua plautina. Con queste caratteristiche il libro sembra adattarsi
sia alle esigenze del lettore poco esperto e con poche e superficiali
cognizioni di lingua e letteratura latina, che potrà essere affascinato
dal testo semplicemente affidandosi alla lettura della traduzione, sia
a quelle del lettore esperto che, pur aiutandosi con la traduzione,
intende conoscere più da vicino e approfondire il testo originale. Il
testo ci sembra pienamente adatto a un uso fruttuoso nelle aule liceali
o universitarie. La bibliografia finale è molto ampia e aggiornata e
contiene riferimento a tutti i principali studi disponibili sull’autore
e la sua problematica. Non ci sarebbe dispiaciuto però avere qualche
notizia, magari anche succinta, sulla metrica, e soprattutto sul testo
della commedia e sulla sua tradizione, dal momento che esso presenta in
più punti incertezze e lacune che sono state variamente integrate dai
filologi: si tratterebbe di piccole integrazioni che renderebbero
ancora più completo e prezioso questo strumento, e siccome riteniamo
che esso avrà fortuna e andrà incontro a ristampe, ce li attendiamo per
le edizioni successive.
Un’ultima considerazione. La traduzione dà sempre il titolo della
commedia al maschile (il Rudens), ma spesso in altri testi ci si
riferisce ad essa come la Rudens.
Plauto usa tre volte questa parola in questa commedia: solo dal v. 938
si evince con certezza il genere femminile del sostantivo. Negli autori
successivi (da Lucrezio in poi) si trova generalmente rudens
maschile. C’è da aggiungere che Plauto usa rūdens con la prima
sillaba lunga, mentre successivamente (p.es. in Lucrezio e Virgilio)
abbiamo rŭdens
con la prima sillaba breve. Questo dà l’idea di una fluttuazione
prosodica e grammaticale della parola, utilizzata evidentemente in
contesti tecnici particolari che hanno consentito incertezze e
alterazioni.
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