"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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Dall'articolo di Alessandro Giuli su "Il Foglio" di martedì 23 agosto 2005
Carron e la donchisciottesca libertà del Meeting di Cl
Fra le specialità del Meeting di CL c'è anche che si parla
del mondo classico. Se ne parla, perché la donchisciottesca libertà che
sovrintende al Meeting non rimanga sospesa come un vapore senza origine. Ieri
mattina, prima che Carron radunasse CL, Marta Sordi (docente emerito di Storia
romana alla Cattolica, molto amata dai ciellini) aveva spiegato l'idea di
libertà in Grecia e a Roma insieme con il glottologo Moreno Morani e l'altro
storico Alfredo Valvo. Dalla libertas latina, eleuthería
in greco, hanno ritagliato nella nebbia della storia un insegnamento che si
collega (rendendola completa) alla dotta e discussa prolusione che domenica
aveva fatto Marcello Pera. Il presidente del Senato aveva intrecciato democrazia
e libertà per un occidente corazzato. Dall'armatura ideale giudaico-cristiana
solcata dal ricordo dell'acropoli. Diffidente del multiculturalismo, ma chiusa
al meticciato. Gli storici hanno controbilanciato con la libertà dei maiores.
Principio di appartenenza, identità e crescita, la libertà fu l'orgoglio vitale
dei greci di Eschilo, che "di nessun mortale son chiamati sudditi"; e la
sottomissione ciceroniana alla signoria della legge. Libertà come trascrizione
di patti sacri (la pax deorum) in fondamenti di convivenza civile. A Roma
la libertà fu in effetti identificata nel pieno godimento dei diritti politici,
e il suo senso profondo è radicato nel confine tra cittadinanza e barbarie, tra
il sorriso degli dèi e tracotanza popolare. Valvo ha trovato delle consonanze
tra il contenimento degli eccessi democratici praticato a Roma e l'intuizione di
Abramo Lincoln secondo il quale la libertà va sempre protetta dagli "eccessi
della democrazia" (quando si fa dittatura della maggioranza). E ha citato Joseph
Ratzinger ("Senza radici"), per rafforzare l'idea che libertà,
eguaglianza e solidarietà sono principi immodificabili che non si esauriscono
nella democrazia ("il popolo è sovrano entro il recinto stabilito dalla
religione").
Marta Sordi ha fatto qualcosa in più. Finita la conferenza, con quella sua aria
veneranda e quieta ha detto che la fuoriuscita dal relativismo culturale non
nega il meticciato. Semplicemente, lo rende virtuoso secondo la lezione di Roma,
città nata dal mescolamento tra popoli (italici, etruschi, greci) ordinati in
un'identità non etnica ma spirituale. "I romani –
ci ha detto la professoressa Sordi – hanno
esaltato attraverso il mito troiano la loro vocazione universale
all'assimilazione. E hanno praticato l'inclusione a prescindere da lingue,
costumi e sangue. Realizzandola, come insegna Sallustio, nella concordia di una
civitas morale. (Una lezione seguita dagli americani di prima generazione
quando si decisero ad accogliere altri migranti. Purché obbedissero alle regole
di civiltà degli ospitanti). E' una vocazione imperiale che il cristianesimo,
religione universalista, ha fatto propria e che Dante ha modellato nel suo De
Monarchia". E appunto dalle origini classiche greco-romane, "elaborate con
un salto di qualità nel cristianesimo", dice Marta Sordi, "bisogna ripartire e
superare l'attuale vuoto di radici storiche". E' un suggerimento per
reinnamorarsi dell'Europa.
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