"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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2016-2
C’è in giro
molta agitazione: da una parte la polemica
sulla versione di latino come seconda prova d’esame (la versione di
greco non è
nominata, forse s’intende eliminarla del tutto), dall’altra
un’affannosa difesa
del latino, del greco e del liceo classico, con libri, convegni,
articoli,
raccolte di firme e diffusione di statistiche. Crediamo che ci siano
degli
equivoci. L’attacco al latino e al greco come materie inutili ha fatto
il suo
tempo, dopo decenni di polemiche feroci e difese di ogni genere: non ha
più
séguito né desta interesse, tanto meno credibilità. Che si tratti di
saperi
validi e fascinosi è in realtà ormai idea diffusa, quasi scontata,
anche se
sono ben accetti nuovi libri che ne mostrino diverse sfaccettature di
ricchezza, linguistica o letteraria, filosofica e umana. Che dal liceo
classico
provengano i migliori studenti universitari, i più capaci di studiare
con
metodo, di fondare su una base solida ogni nuova disciplina, è un fatto
certo e
dichiarato da molte generazioni di docenti, da miriadi di statistiche.
Che
tutte le scomposte modifiche del Ministero, dall’alternanza
scuola/lavoro alla
sperimentazione quadriennale, mirino ad una dequalificazione della
scuola in
generale, non solo del liceo classico, è un fatto evidente. Che le
proposte di
cambiare la seconda prova d’esame partano dall’idea che così com’è è
troppo
difficile e di scarsa riuscita non è sempre dichiarato ma è palese,
anche se le
proposte difficilmente la renderebbero più accessibile, certo più
macchinosa da
preparare da parte del Ministero, più rischiosa nell’impostazione e nei
dati
forniti. Insomma la questione è molto semplice: non è
in gioco
un giudizio sul latino, il greco e il liceo classico. E’ in gioco un
tentativo
maldestro di ammorbidire la scuola, si potrebbe quasi dire di farla
sparire.
Togliamo un anno aumentando le ore, aggiungendo materie, chiedendo e
promettendo eccellenze, in un gioco di apparenze che maschera solo la
fretta di
adeguarsi all’Europa? Togliamo tempo alle materie curricolari per
inserire
masse di studenti in finzioni lavorative? In molte scuole già
esistevano gli
stages, ma di libera partecipazione e in situazioni di scelte mirate e
controllate di luoghi di lavoro. Eliminiamo le prove ritenute più
difficili
sostituendole (per legge bisogna pur sostituirle) con qualcosa ancora
da
definire? Con un implicito invito a modificare tutta l’impostazione
precedente
dell’insegnamento secondo altrettanto indefinite modalità? Da parte nostra è importante non farci
invischiare in
discussioni inutili. La lettura in originale di un’altra lingua è un
valore
indiscutibile, direi indiscusso. Che per leggere in originale occorre
imparare
la lingua ed esercitarsi è altrettanto ovvio: si può certo dissentire
sulle
modalità di tale apprendimento ed esercizio, ma non è questo il punto.
Che una
lingua si impari per leggere gli autori, e che siano autori degni di
essere
letti, non è stato forse sempre chiarissimo a tutti i docenti (qualche
confusione su scopo e mezzi), ma lo diamo per scontato. Tutto questo:
studio
grammaticale, esercizio, lettura in originale degli autori, è il senso
del
nostro lavoro. Tradurre è in realtà un di più: un’abilità difficile
perché
richiede di padroneggiare bene due lingue, un’educazione al rispetto
delle
scelte altrui, un affinamento del gusto. In sé non è un’abilità
essenziale (non
è neppure una delle quattro abilità richieste per la lingua straniera)
e anzi l’insistenza
sulla traduzione può celare il fatto che è la comprensione del testo
ciò che
conta, la sua resa italiana viene dopo di quella e la richiede. Tutti
sappiamo
che le versioni come prove scolastiche non hanno la precisione e la
purezza
metodologica di cui parliamo: tuttavia sono strumenti modesti di
verifica,
necessari ad ogni livello per dimostrare che si conosce la lingua e che
ci si
sa orientare. Non possiamo caricarli di ogni contenuto: c’è la prova
orale, con
i testi studiati su cui dimostrare i vari aspetti del sapere. In classe
c’è
anche la possibilità di saggiare le conoscenze linguistiche con letture
a prima
vista, esercizi senza dizionario, lavori lessicali, perfino prove di
resa
italiana di livello estetico alto. Ma l’esame appiattisce
inevitabilmente,
richiede prove più nette, senza equivoci: basti pensare alla
confusissima prima
prova d’italiano per temere qualcosa di simile.
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