"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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2016-1
Quest’anno ho tenuto un corso di dieci ore su Erodoto
in una Università della terza età, dove tengo questi brevi corsi ormai da otto
anni. È stata un’occasione importante per rivisitare un autore sempre insegnato
e amato nella programmazione scolastica
ma inevitabilmente legato a poche scelte di brani, quelli presenti nelle
antologie e ripetuti con un po’ di pigrizia. È stata anche una scommessa: far
interessare il mio pubblico a lontane vicende storiche, oltre che a idee,
usanze, credenze inusuali, espresse non in forma poetica come i testi letti
negli anni passati ma nella prosa del narratore.
Che personaggio straordinario, inesauribile: creatore
della storiografia, di cui propone gli scopi e, con la ricerca delle cause, il
metodo; interessato a tutto l’umano, tanto che il primo scopo proposto è
salvarlo dall’oblio del tempo, indagatore curioso dei nomoi e tenacemente
rispettoso della loro diversità, tanto da considerare folle Cambise che se ne
beffava, ammiratore della capacità dei Greci di unirsi nel momento delle
difficoltà, di combattere in modo ordinato anche quando colti di sorpresa,
eppure acuto e realista nel rilevarne divisioni, opportunismi, motivi poco
limpidi, capace di elogio verso gli Spartani per la loro obbedienza alla legge
e al posto assegnato, anche se l’elogio è attribuito ad un esule traditore, ma
ammiratore anche di Atene che definisce, come decisa opinione personale,
salvatrice dell’Ellade, pessimista sugli dèi e sulle vicende umane ma capace di
ammettere, per bocca di Creso, che la colpa è dell’uomo e non del dio,
osservatore attento di pregi e difetti dei diversi ordinamenti politici così da
aprire la via a tutta la riflessione politico/filosofica successiva, narratore
affascinante, creatore di una modalità del raccontare che tuttora attrae.
Ma è soprattutto l’equanimità fra Greci e Barbari che
colpisce: nel proemio dice di scrivere perché le imprese straordinarie degli
uni e degli altri non restino prive di fama; e di fronte ai prodromi delle
guerre persiane con tutto il loro carico di devastazioni e di morti
commenta: furono l’origine di gravi sciagure e per i Greci e per i Barbari.
Amici e nemici sono accomunati nell’apprezzamento e nella pietà.
Non è solo per la rivisitazione di Erodoto che scrivo
questo: negli ultimi anni mi è capitato, per gusto personale o per diverse
occasioni, di leggere o rileggere opere intere, o le opere di uno stesso autore: molto si scopre che le letterature
non dicono, che le antologie sempre più ristrette non riportano; molto si mette
in crisi di giudizi riduttivi, schematici, limitati a una visione parziale, dei
critici, dei commentatori o anche propria; molto si mette in discussione in
termini di apprezzamenti, migliorandoli
se si scoprono pieghe inaspettate o peggiorandoli se l’opera intera risulta
inferiore ai “pezzi scelti”.
Ai ragazzi in classe, ad ogni pubblico che ci si trova
davanti bisogna insegnare a leggere: in originale, se è possibile, in
traduzione (sempre controllata!) se l’ambito non lo consente o il tempo
scolastico stringe. Leggere vuol dire essere e rendere liberi: da
sovrastrutture e ideologie, da schemi propri e altrui, dal già saputo e
scontato, dal timore di un nuovo incontro che scompagini i piani e le idee.
Vuol dire confrontare la propria umanità, il proprio vissuto, con quelli
dell’autore, per noi dell’autore antico, cogliendone la distanza ma anche la
somiglianza di desideri ed esigenze, rilevandone contraddizioni e ambiguità ma
scoprendone il valore di segni di quell’andare come a tentoni che s. Paolo notava nell’antica Atene.
Come ho già più volte osservato, noi e i nostri
allievi siamo in fondo dei privilegiati: abbiamo la possibilità di incontrare e
far incontrare un mondo che non ci ha solo preceduto, né è soltanto alle radici
del nostro, ma ha individuato ed espresso tutta la complessità dell’umano,
l’importanza dell’appartenenza come l’accoglienza dell’altro, l’autosufficienza
e il valore dell’amicizia e della solidarietà, il nemico e il supplice magari
nella stessa persona, il senso del limite e la divina follia, l’aspirazione a divinità incontrabili e il desiderio
inesausto delle perfezione divina, il mito e il logos. Dove questo incontro
avviene in lingua c’è tutta la ricchezza formale e semantica, strutturale e
concettuale: la libertà si amplia, non si rischia di essere alla mercé di
traduttori erronei o fuorvianti. Diventa risibile allora ogni obiezione sulla
difficoltà del liceo classico avanzata in un recente convegno molto
pubblicizzato: la proposta di censurare due declinazioni latine, semplificare
in qualche modo l’aoristo greco, eliminare la versione e quant’altro poggia su
un’idea perversa di lingua come inutile sovrastruttura, faticosa e maligna, e
al fondo sulla svalutazione di uno studio serio ed educativo, una scuola
appunto di libertà.
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