"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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Giulia Regoliosi, Il destino del giusto. Percorsi mitici nei secoli intorno alle figure di Ifigenia, Ippolito, Alcesti, Eracle. Pag. 110, Aracne, Roma, 2006
Socrate nell'Apologia dichiara la sua certezza nella corrispondenza fra la volontà dell'uomo e la sollecitudine divina: qualunque cosa succeda all'uomo, sia che viva sia che muoia, è un bene per lui, voluto dagli dèi con interesse attento. Su questa corrispondenza, affermata con fiducia da Socrate, l'uomo greco - e l'uomo di ogni tempo - si è continuamente interrogato, alternando speranza e diffidenza, fede e disperazione. Le quattro figure su cui si svolgono i percorsi mitici di questo libro (ma altre sono via via introdotte) rappresentano dei paradigmi: uomini e donne giusti il cui destino è stato visto nelle diverse varianti ora come salvato ora come desolatamente concluso. Il variare del mito indica le differenti risposte che alla domanda ultima sul rapporto uomo-Dio sono state date nel tempo. Il libro viene proposto anche come lettura per le scuole ed è corredato da un apparato didattico.
Dall'Introduzione
Nulla di male può capitare ad un uomo buono, sia che viva sia che muoia, e
le sue vicende non sono trascurate dagli dèi (Platone, Apologia, 40 d).
Socrate è stato sconfitto al processo, e condannato a morte. Rimasto in
tribunale dopo la sentenza con i pochi giudici che avevano votato l’assoluzione
e con gli amici, si trova di fronte ad un problema che l’ha reso perplesso per
tutta quella giornata: perché il suo daimon, la divinità personale che
sempre in precedenza l’aveva avvertito quando stava per affrontare una
situazione rischiosa, non si è fatto sentire? L’assenza del segno che
manifestava l’avvertimento del dio gli ha fatto credere che il processo sarebbe
finito bene, con una sentenza di salvezza: è giunta invece la condanna a morte.
Ma la delusione si trasforma in una certezza, che egli comunica con decisione ai
compagni: l’uomo buono ha l’attenzione degli dèi, nulla avviene per malevolenza
o per negligenza da parte loro: dunque anche la condanna a morte è in questo
momento il meglio per lui.
La certezza di Socrate non è sempre condivisa dall’uomo antico: che il giusto si
salvi o muoia, abbia pienezza di vita o una rimanenza oscura, finisca per sempre
o risorga, non viene avvertito come un bene certo e costante, come una
scrupolosa e provvidente scelta per il meglio da parte degli dèi. Spesso sono
gli dèi stessi a volere la morte, o a permetterla per una noncuranza sbadata, o
per una benevolenza incosciente. Molti miti e molte rielaborazioni letterarie
presentano diverse varianti, diverse motivazioni, diverse conclusioni che
esprimono l’inquieto interrogarsi dell’antico sulla sorte dell’innocente, con
tentativi di recuperare la positività del reale o malinconici riconoscimenti
d’impotenza e irragionevolezza. I quattro miti che abbiamo scelto (ma molti
altri vi si intrecceranno, come si vedrà) sono esempi di questo inquieto
interrogarsi, e la presenza di molte varianti che si succedono nelle diverse
opere letterarie greche o latine lo testimonia.
Ma non è questo il solo legame fra i quattro miti. Ifigenia e Ippolito hanno
tratti comuni: entrambi sono connessi con Artemide: alla dea vergine è dedicata
l’uccisione di Ifigenia, fanciulla in età di nozze ma troncata nella sua
verginità o irrigidita in essa; alla dea vergine Ippolito consacra liberamente e
gioiosamente la propria vita casta, illudendosi di averne in cambio il
privilegio dell’affetto. Per entrambi la rovina è dovuta all’operato di
Afrodite, la dea dell’amore speculare rispetto ad Artemide, che provocando la
guerra di Troia determina (più o meno esplicitamente, a seconda delle varianti)
il sacrificio propiziatorio di Ifigenia, e per dignità offesa causa la
distruzione di Ippolito. Secondo una variante accolta da Pausania (II, 22, 6-7),
i due giovani sono anzi fratellastri: Ippolito figlio di Teseo e di un’amazzone,
Ifigenia figlia di Teseo e di Elena, da lui rapita fanciulla e liberatasi del
frutto della violenza, che cresce per adozione in casa di Agamennone e
Clitennestra.
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