La pronunzia del latino (III)
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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La pronunzia del latino (III)


Delineate così le principali caratteristiche della restituta, si può procedere a un tentativo di giudizio sulla sua utilizzabilità didattica, anche in confronto con la pronunzia tradizionale. Ci sembra che vari aspetti debbano essere messi in rilievo.
1. Innanzitutto una pratica corretta della restituta comporta un impegno tutt’altro che indifferente e approda sempre e comunque a risultati parziali, lontani dagli intendimenti a cui si mira. Pronunziare il latino secondo la restistuta significa infatti mettere in rilievo tutte le vocali lunghe e le brevi. In caso contrario, si ha semplicemente una pronunzia italiana con consonanti velari, u consonantiche e poco più, una risciacquatura della pronunzia nazionale che ha scarso significato. Valuti dunque l’insegnante se, nella scarsità di tempo che ha a disposizione, valga la pena impegnarsi alla corretta resa della quantità, alla sottolineatura che la prima i di infelix e insanus è lunga e quella di incertus e intentus è breve. Il risultato a cui si perviene anche dopo questo sforzo defatigante (e a nostro parere superfluo) è comunque sempre approssimativo, perché la realizzazione dei fonemi può essere ricostruita con discreta sicurezza, ma quella dei tratti prosodici no: come abbiamo già visto, non siamo in grado di dire quale tipo di accento avesse il latino dell’età classica.
2. Se si confrontano fra loro pronunzia tradizionale e restituta, si ha da una parte la continuazione di una prassi che si rifà alla tradizione scolastica tardoantica, dall’altra una ricostruzione moderna scientificamente corretta, ma pur sempre astratta e artificiosa. Non si dimentichi che la pronunzia del latino in Italia si pone in modo totalmente diverso rispetto alle altre nazioni europee: la pronunzia italiana è al termine di una storia che affonda le sue radici nel mondo tardoantico (la nostra pronunzia potrebbe corrispondere all’incirca alla pronunzia colta dell’epoca di Boezio, tanto per avere un punto riferimento), mentre quella degli altri paesi europei (Caesar pronunziato Sesàr dai francesi, Zésar dai tedeschi, Sisa dagli inglesi) è priva di senso, perché grosso modo applica ai classici le norme e le consuetudini della pronunzia moderna.
3. Se l’intendimento è quello di avvicinarsi il più possibile, nella lettura dei testi, alla situazione antica, rifiutando di leggere Cicerone e Virgilio in una maniera che avrebbe ripugnato alle loro orecchie, si parte da una posizione di principio corretta, ma non tale da risolvere il problema, perché si finirebbe per leggere Cicerone e Virgilio in una maniera un po’ più vicina a quella da loro usata, ma si cadrebbe di nuovo nell’anacronismo quando si leggessero testi delle epoche precedenti o seguenti. In Tacito, ad esempio, au era letto o, non più au. La parola mulierem era letta mùlierem da Plauto, mulìerem da Cesare, muljèrem nell’età tarda (da cui it. mogliera e spagnolo mujer). Si dovrebbe, a questo punto, leggere ogni autore secondo la pronunzia del suo tempo: ma questo, come ognuno capisce, è inattuabile. Dunque la scelta della restituta non può vantare una sia pure astratta superiorità di rigore metodologico o scientifico: la restituta non può essere considerata la “vera” pronunzia del latino, perché si tratta di una modalità di esecuzione che ha limiti cronologici e sociolinguistici ben definiti e sarebbe un abbaglio pensare di poterla estendere a tutta la Latinità.
4. Infine, c’è un’ultima considerazione che vorremmo sottolineare. Finora abbiamo parlato di pronunzia nazionale italiana: dovremmo, più correttamente, parlare di pronunzia ecclesiastica, perché la nostra pronunzia tradizionale corrisponde alla pronunzia dell’uso ecclesiastico, esplicitamente raccomandata da Pio X (a prezzo di durissime polemiche e contestazioni, soprattutto in Francia) in una lettera pastorale del 1912. Ciò significa che la pronunzia tradizionale ha una diffusione ben superiore ai nostri confini, anzi ha un carattere di universalità, essendo utilizzata non solamente nelle celebrazioni cattoliche finlandesi o neozelandesi, ma anche in tutto quel gigantesco repertorio di opere vocali e artistiche che fanno capo alla tradizione cristiana. Nessuno si sognerebbe di cantare il Magnificat di Bach con la pronunzia restituta!
In sostanza. Ci sembra giusto e corretto che gli alunni sappiano che il nostro modo di pronunziare il latino non corrisponde a quello usato da Cesare ed è giusto che l’insegnante faccia presente le principali differenze tra le due modalità, magari in qualche caso dando un saggio di lettura dei testi secondo pronunzie diverse. Ci sembra giusto ribadire la sostanziale impossibilità di riprodurre in modo adeguato la pronunzia che si usava nel Foro all’epoca di Cicerone. Abbiamo messo in rilievo il costo, in termini di impegno didattico e di utilizzazione del tempo a disposizione, che avrebbe un tentativo di realizzare la restituta in modo coerente. Abbiamo richiamato le ragioni di carattere storico (e ideale) che fanno propendere per la pronunzia tradizionale. Fermo restando che la scelta finale è affidata alla sensibilità del docente, vorremmo concludere con un’osservazione che a noi sembra comunque prioritaria. Studiare il latino oggi ha tra le sue motivazioni fondamentali quella di una ripresa di coscienza della nostra tradizione culturale e della nostra identità, fondata sull’incontro tra cultura antica e Cristianesimo (come ci è stato ribadito più volte, in questi ultimi mesi, anche dalla voce autorevole di Benedetto XVI). Si tratta quindi di motivazioni saldamente e profondamente culturali. In questa prospettiva la conoscenza della lingua è strumento indispensabile per perseguire questa finalità in modo non superficiale e non dilettantesco. Va da sé che si deve trovare il giusto equilibrio tra acquisizione delle strutture linguistiche e riflessione sulla cultura e sulla civiltà. Non ci pare (ma questa è una nostra convinzione personale) che una sproporzionata insistenza sugli aspetti esteriori aiuti in questa direzione né il docente né il discente.


 
 

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