Prosa latina e lingue europee (III)
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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Prosa latina e lingue europee (III)

Con l’accentuarsi dell’influsso greco, come si è già detto in un precedente intervento, si fa più forte la propensione al periodare complesso. Cicerone teorizza in modo definitivo questo modo di scrivere: si rilegga la parte finale dell’Orator. Il periodo è un’unità perfetta, in cui si raggruppano unità più piccole in sé concluse e disposte simmetricamente: anche nelle unità più piccole si dovrà poi disporre i singoli elementi nella maniera più appropriata. Il tutto è riassunto all’inizio del paragrafo 149: Conlocabuntur igitur verba … ut forma ipsa concinnitasque verborum conficiat orbem suum, aut ut comprehensio numerose et apte cadat («Le parole saranno disposte in modo tale che il giro stesso della frase e la simmetria delle parole realizzino la propria unità o in modo che il periodo abbia un andamento ritmico e adatto»). Affermatasi saldamente nella scuola, questa propensione può presentarsi in modo più attenuato, ma mai abbandonata, neppure da quegli autori che consapevolmente cercano vie espressive diverse (come Seneca o Apuleio). Anche chi si riallaccia a tradizioni stilistiche differenti da quella ciceroniana (Sallustio, Tacito) non viene meno a questi principi: alla ricerca di un ritmo spezzato, esaltando la variazione a norma stilistica assoluta, Tacito presenta un esempio di prosa che si pone agli antipodi dello stile ciceroniano, ma nessuno potrebbe neppure pensare che i suoi periodi siano sciatti o disadorni, e i nessi tra i vari momenti del pensiero sono sempre chiaramente individuati.
Anche dopo la fine dell’impero romano, quando la lingua è investita da trasformazioni profonde e nessun settore del sistema si sottrae a un lavorìo di trasformazione e risistemazione, e sia la mancanza di un’azione politica e culturale centralizzata sia il decadere delle scuole pongono le premesse per un più rapido dissolversi della lingua nelle varietà romanze, il periodare complesso costituisce comunque il modello di riferimento: di esso si servono gli autori ecclesiastici e gli scrittori che fanno rivivere e adattano ai loro tempi la storiografia romana. Si legga l’inizio della Storia dei Franchi di Gregorio di Tours (VI secolo): Decedente atque immo potius pereunte ab urbibus Gallicanis liberalium cultura litterarum, cum nonnullae res gererentur vel rectae vel improbae, ac feretas gentium desaeviret, regum furor acueretur, eclesiae inpugnarentur ad hereticis, a catholicis tegerentur, ferveret Christi fides in plurimis, tepisceret in nonnullis, ipsae quoque eclesiae vel diterentur a devotis vel nudarentur a perfides, nec repperire possit quisquam peritus dialectica in arte grammaticus, qui haec aut stile prosaico aut metrico depingeret versu («Mentre in tutte le città della Gallia decade o piuttosto va in rovina la cultura letteraria, in un momento in cui si operano imprese valorose o malvagie, e la ferocia delle genti infuria e si acuisce il furore dei re, le chiese vengono espugnate dagli eretici, protette dai cattolici, la fede di Cristo è vigorosa in moltissimi, è tiepida in alcuni, e le stesse chiese o vengono arricchite dai devoti o spogliate dagli infedeli, non si potrebbe trovare alcun grammatico esperto nell’arte dialettica che sappia descrivere in prosa o in poesia questi avvenimenti»). Gregorio scrive nel suo latino, che è un po’ diverso da quello classico che ci è familiare, nella fonetica (feretas per feritas, perfides per perfidis, tepisceret per tepesceret e così via) e nel lessico, impacciato nella consecutio, ma mantiene il ricordo dell’antica tradizione prosastica in questa solenne apertura: il periodo si apre con un ablativo assoluto e prosegue e con una nutrita serie di cum narrativi, e il dosarsi di simmetria e asimmetria, di asindeto e polisindeto, l’uso dei chiasmi e la collocazione delle parole crea alla fine una compagine ricca di fascino.
L’uso di periodi ampi è meno pronunciato nelle opere di carattere tecnico, per la loro indole stilisticamente meno curata e la loro finalità essenzialmente pragmatica. In Petronio troviamo passaggi come il seguente (Sat. 38): Valde sucosi sunt. Vides illum qui in imo imus recumbit: hodie sua octingenta possidet. De nihilo crevit. Modo solebat collo suo ligna portare («Sono pieni di soldi. Vedi quello che sta straiato nel punto più basso. Oggi ha i suoi ottocentomila. Si è fatto dal niente. Fino a ieri portava la legna sulla schiena»). Qui però questo modo disarticolato di giustapporre le proposizioni una di seguito all’altra discende dalla decisione dell’autore di imitare il parlato.
Non stupisce che nei più antichi testi romanzi prevalga la paratassi rispetto all’ipotassi. Questo spostamento di prospettiva può in parte essere motivato da ragioni linguistiche, perché la scomparsa della declinazione rende più rigida la collocazione delle parole, e pertanto meno agevole quei richiami da un punto all’altro del periodo che favoriscono l’affermarsi di strutture ampie e complesse. Ma la ragione più profonda sta nel carattere stesso dei testi, che sono o testi di poesie o testi in stretta relazione col parlato: per le opere impegnative si usa comunque il latino. Solamente quando la lingua romanza assume anche il ruolo di lingua di cultura si pone il problema: e a questo punto l’imitazione dello stile latino diventa impegno primario degli autori che decidono di utilizzare il volgare in luogo del latino. Basta leggere una qualsiasi pagina del Convivio dantesco per vedere quanto il modello latino abbia penetrato in profondità il testo romanzo. Gli stessi caratteri si rinvengono poi nel Boccaccio e in sostanza in tutta la tradizione successiva della prosa elevata. L’evoluzione successiva esula dai nostri scopi. Basti constatare come anche la nostra tradizione letteraria abbia ribadito l’efficacia del periodare complesso: ausilio per chi redige il testo, in quanto obbliga alla sintesi e all’astrazione e impone una precisa gerarchizzazione logica, e strumento per l’interlocutore, in quanto riconosce più facilmente il processo mentale che sta alla base del testo.

 
 

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