Latini e Germani (IV)
Si è accennato finora al passaggio di termini
germanici in latino. L’intensificarsi dei contatti tra le due culture,
dopo la dissoluzione dell’impero e con la nascita dei regni
romano-barbarici, portò anche all’ingresso di parole germaniche nel
latino. Quest’influsso, assai meno sensibile nella lingua letteraria,
che per motivi puristici era pur sempre riluttante ad accogliere parole
straniere, fu molto più robusto nella lingua parlata, e se ne vedono gli
effetti in modo particolare in quelle continuazioni del latino parlato
che sono le lingue romanze. Poiché i nuovi programmi di storia hanno
portano a una amputazione vigorosa, quanto storicamente ingiustificata,
di questo delicato periodo, potrebbe essere utile cercare di recuperare
qualcosa attraverso lo studio linguistico, ricordando che alla base del
divenire linguistico vi sono spesso importanti ragioni di carattere
culturale.
Qual è la ragione, ad esempio, che spinge i Latini a sostituire, in
molti settori del lessico, una terminologia precedentemente esistente
con elementi d’accatto? Nell’ambito della terminologia militare il
motivo è evidente. Se in epoca precedente la superiore organizzazione
della milizia romana aveva portato al passaggio di parole latine in
gotico (p.es. spaikulatur da lat. speculator, il verbo
militon da lat. militare), con la decadenza
politico-militare romana si ha la tendenza inversa: antichi prestiti
germanici sono, per esempio, guerra (che sostituisce bellum),
truppa o schiera (che sostituiscono exercitus:
l’italiano esercito è parola di origine colta), elmo,
tregua. Provengono dal lessico militare anche parole come
albergo (da un germanico hari-bergo ‘riparo per la
truppa’), arengo e arringare (da hari-hrings,
propriamente ‘cerchio dell’esercito’, che allude alla disposizione in
circolo dell’esercito attorno a un oratore), gonfalone (da
gund-fano ‘stendardo per la batta-glia’). L’interesse dei Romani
per il diritto portò alla nascita di una terminologia rigorosa e
fortemente articolata. Ma nel momento in cui la giustizia è amministrata
da tribunali germanici sulla base di norme germaniche, si devono
introdurre termini nuovi per indicare istituti diversi da quelli patri:
tali ad esempio faida, fio, guidrigildo. Le
forze dell’ordine sono costituite da guardie, oppure da
scherani o sgherri, mentre un funzionario di rango più
elevato è lo scalco. Se per molti oggetti e momenti del
convivio i Germani ricorsero a parole latina, di origine germanica è la
parola fiasco o fiasca.
In italiano vi è una triplice stratificazione di prestiti germanici, in
relazione con le tre principali fasi della penetrazione germanica in
Italia (gotica, longobarda, franca): argomenti di ordine linguistico,
geografico e storico permettono in genere di stabilire, anche se non
sempre in modo certissimo, la provenienza della parola: ad esempio
banca è gotica, panca longobarda; balcone è
gotico, palco longobardo. Ma il dato più interessante è che, a
differenza di quanto avveniva negli imprestiti latini in germanico, la
maggior parte delle parole che percorrono la strada inversa riguardano
aspetti umili della realtà. Appartengono (o appartenevano) agli strati
più bassi del lessico termini come rubare, arraffare,
arrancare, astio, bega, buttare,
guercio, gruccia, laido, melma,
pozzanghera, sguattero, slittare, stalla,
stamberga, e via dicendo. Ancora nella lingua attuale il
trincare e il ghignare germanico hanno un valore ben
diverso e meno nobile del bere o del ridere di origine
latina. In qualche caso il valore anticamente basso della parola è più
difficile da avvertire, perché l’evoluzione semantica l’ha sensibilmente
allontanata dal significato originario: è il caso ad esempio di sala,
che in origine indicava le dimore a un solo locale dei Germani, in
quanto contrapposte alle abitazioni a più locali dei Latini.
Quest’aspetto era stato fortemente rilevato da K. Gamillscheg, uno
studioso che, trattando del problema in un’opera tuttora fondamentale,
Romania Germanica (Berlino-Lipsia 1934-1936), scrive: «Negli
imprestiti gotici in italiano si ri-specchia tutta la miseria della
popolazione straniera rimasta in Italia, che fino all’arrivo dei nuovi
signori germanici, i Longobardi, condusse una vita da paria. (...) Quel
che è rimasto di relitti lessicali longobardi nell’italiano proviene
praticamente tutto da questo livello inferiore, dal patrimonio lessicale
dell’“uomo-stamberga”, non del conte longobardo». Non è qui il caso né
di approfondire né di valutare una simile problematica: rinviamo chi
volesse avere ulteriori ragguagli al volume di G. Bonfante, Latini e
Germani in Italia, Bologna, Pàtron, 1977 (ma sull’argomento sono
disponibili moltissimi altri lavori). A noi basta rilevare come lo
studio del lessico latino possa essere condotto secondo una prospettiva
di interesse storico e culturale. Resta inteso (ma questo lo davamo per
scontato) che il lavoro qui proposto non costituisce il fine né ultimo
né principale dello studio del latino: è semplicemente un’occasione per
aggiungere un motivo in più d’interesse nello studio della lingua.
|