Il latino dei Vangeli (III)
 

 

 

 

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Il latino dei Vangeli (III)

Nuova Secondaria, 15 giugno 1997, pag. 65, col titolo Nei Vangeli

Tra le molte possibilità che il testo evangelico offre, ne segnaliamo ancora una, che proponiamo come possibile percorso di unità didattica nelle classi del triennio ove vi sia un insegnamento di greco. La presenza di più versioni antiche a fronte del medesimo originale greco permette agli allievi due ordini di considerazioni: l’enucleazione di differenze sintattiche fra lingua greca e latina e il riscontro in latino di varietà linguistiche più o meno elevate, con l’eventuale ulteriore verifica della continuità storica nella nostra lingua degli elementi individuati come volgari. Tentiamo, attraverso un paio di esempi, di spiegarci meglio e premettiamo che, senza entrare nel merito di questioni complicatissime su cui esiste una bibliografia sterminata, ci accontenteremo di assumere l’esistenza di due versioni principali, tra loro indipendenti, che precedono la Vulgata (l’Afra e l’Itala) e la dipendenza della Vulgata dalla seconda di queste. Come strumento di lavoro consigliamo il manuale, ricco di notizie e facilmente accessibile, di A. Ceresa-Gastaldo, Il latino delle antiche versioni bibliche (Roma, Ed. Studium, 1975), ove sono recati e analizzati vari passi del Nuovo e Antico Testamento nel testo originale e nelle diverse versioni antiche; ad esso si può affiancare il bel libro di E. Valgiglio, Le antiche versioni latine del Nuovo Testamento (Napoli, Koinonia, 1985), che offre un ampio esame linguistico delle versioni pregerolamiane.
In Io. 2, 13 l’Itala ha ascendit Iesus in Hierosolymis: si nota sia l’uso di premettere in ai nomi di città sia la confusione fra nozione di stato e di moto a luogo: entrambe le tendenze hanno riscontro, e si sono imposte, nelle lingue romanze (l’it. in Gerusalemme può esprimere sia il moto sia lo stato): la Volgata ha ascendit Hierosolyma Iesus. Parimenti in Io. 20, 27 l’Afra ha adfers [indicativo in luogo dell’imperativo] manum tuam et mitte in latere meo, mentre e l’Itala e la Vulgata hanno adfer manum tuam et mitte in latus meum.
L’esame di Mc. 14, 35 mostra la difficoltà di rendere in latino il participio aoristo greco: l’assenza dell’aoristo e l’uso più limitato dei participi in latino rispetto al greco obbliga gl’interpreti a soluzioni che presentano comunque degli inconvenienti. Il comportamento delle tre versioni è di volta in volta diverso: l’Afra coordina il participio al verbo finito (processit pusillum et cecidit), l’Itala si avvale di un participio presente (adcedens paulum procidit), la Vulgata fa corrispondere al participio greco una proposizione subordinata esplicita (cum processisset paululum, cecidit). Subito dopo (v. 40) il problema si ripresenta: il comportamento delle due versioni pregerolamiane è analogo (et venit et invenit illos l’Afra; et veniens invenit eos l’Itala), mentre è diverso il comportamento della Vulgata, che può avvalersi qui di una forma participiale che pare più aderente alla forma greca (et reversus denuo, invenit eos); si osserverà anche che Gerolamo è l’unico dei tre a riprendere con denuo il pálin dell’originale, tralasciato dai precedenti interpreti. Ne emerge immediatamente sia lo scrupolo di precisione di Gerolamo (che sottolinea nella lettera a Pammachio la necessità di conservare fedelmente ogni particolarità del testo sacro, in cui tutto, compreso l’ordine delle parole, è mistero) sia la sua attenzione nel valutare gli strumenti espressivi che la lingua latina gli mette a disposizione e la loro adeguatezza alla resa del greco.
In Io. 20, 29 il perfetto gr. pepísteukas è reso con un presente dall’Afra (credis) e un perfetto (credidisti) dall’Itala e dalla Vulgata, che hanno meglio percepito il valore aspettuale della forma latina e la sua sostanziale corrispondenza con la forma greca. Subito dopo, dove l’originale ha due participi aoristi sostantivati (idóntes ... pisteúsantes), l’Afra rende sorprendentemente il secondo con un futuro (beati qui non viderunt et credent), mentre l’Itala e la Vulgata mantengono il parallelismo (beati qui non viderunt et crediderunt).
Numerosi i casi in cui la Vulgata elimina scorrettezze morfosintattiche ravvisabili in una o in entrambe le versioni precedenti: p. es. Mc. 14, 39 l’infinito finale delle versioni antiche (abit adorare l’Afra e abiit orare l’Itala) non trova corrispondenza nella Volgata che ha abiens oravit. In Lc. 18, 13 leggiamo percutebat nell’Afra e regolarmente percutiebat nelle rimanenti versioni; in Io. 20, 26 leggiamo ienuis clausis nell’Afra e ianuis clusis (it. chiuso!) nell’i: solamente Gerolamo ha il corretto ianuis clausis. Per contro in Lc. 18, 9 la Vulgata ha il grecismo parabolam istam, dove le restanti versioni hanno il termine schiettamente latino similitudinem istam: segno evidente che ormai gr. parabolé aveva assunto un contenuto tecnico preciso che il corrispondente latino non era in grado di comunicare in modo adeguato.
Le osservazioni che si possono ricavare, come si vede, sono numerosissime: sta solo alla fantasia del docente approfondire, rielaborare, proseguire gli spunti qui offerti.

 

 
 

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