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Pace nella letteratura cristiana antica.

 

I testi della letteratura cristiana primitiva confermano e sviluppano ulteriormente questo insegnamento. Nei padri apostolici i Cristiani sono chiamati "figli dell’amore e della pace" (ep. Barn. 21, 9) e la pace è indicata come scopo della vita cristiana nella prima lettera che Clemente, terzo papa di Roma, indirizza alla Chiesa di Corinto (I Clem. 19, 2):

essendo dunque partecipi di numerosi fatti grandi e gloriosi, affrettiamoci allo scopo che ci è stato trasmesso fin dall’inizio, quello della pace, e volgiamo lo sguardo verso il Padre e Creatore di tutto quanto l’universo e abbracciamo i doni eccelsi e sovrabbondanti di Lui e i benefici della pace.

Lo stesso autore in altro passo ci dice che la pace è conseguenza dell’operare bene (II Clem. 10, 2). Anche la correzione fraterna, secondo quanto ammonisce la Didaché (15, 3), deve essere operata nella pace:

biasimatevi reciprocamente non con ira, ma in pace, come avete nel Vangelo

La distinzione fra la pace umana (cioè l’eirēnē nel senso greco-ellenistico) e la pace divina (cioè l’eirēnē nel senso biblico e soprattutto cristiano) è netta, e viene esplicitamente sottolineata per esempio nel seguente passo di Giovanni Crisostomo (hom. in Col. 8, 3, PG 62, 354)

Dio è pace, in quanto ci ha messi in pace ... non la pace umana: infatti la pace umana discende dal difendersi, dal non subire niente di male: ma io non considero questa, bensì quella che lui stesso (Cristo) ci ha trasmesso.

Che la vera pace sia solo quella che viene da Dio è detto dallo stesso Crisostomo in altri passi (hom. 1, 1 in I Cor., PG 10, 5) e da numerosi altri autori: a questa pace dunque, e soltanto a questa, occorre tenere fissi gli occhi, come insegna Basilio (hom. in Ps. 28, PG 29, 305 A):

in alto infatti è la pace vera ... cerca dunque la pace, rottura delle confusioni di questo mondo ... per conquistare la pace di Dioxxx

Come diretta conseguenza di tutto ciò, una pace che sia tale solamente in apparenza, in quanto è in realtà il semplice non emergere all’esterno di contraddizioni latenti, non è più un valore: e questo vale anche per la pace all’interno della Chiesa: così si esprime Gregorio di Nazianzo (or. 6, 20, PG 35, 748 B):

Nessuno pensi che io dica che qualunque pace deve essere amata: so infatti che come un certo tipo di dissenso è ottimo, così vi è anche una concordia dannosissima

Una concordia apparente dunque, che non consente all’errore di manifestarsi in tutta la sua portata, non può essere definita pace. La pace come virtù umana è in stretta correlazione con altre virtù, come la giustizia, che viene definita sorella di essa da Severiano di Gabala nel seguente passo (hom. de pace 4, 20, 30 - 21, 2):

(la pace) reca con sé la sua sorella, la giustizia

Sempre Severiano si pone il problema della duplice terminologia usata da Gesù nel donare la pace, e conclude che il primo dei due verbi (dídwmi "do") è usato secondo la carne, il secondo (Þfíhmi "lascio") secondo la divinità.

Infine, poste tutte queste premesse, la pace può risiedere solamente nella Chiesa: su quest’affermazione insiste, fra gli altri, Origene (hom. 9, 2 in Jer., PG 13, 349 D):

in essa (nella Chiesa) si compie e si contempla la pace che Egli ci ha dato, se veramente siamo figli della pace

Tanto eirēnē nel mondo greco quanto pāx nel mondo romano vengono usati per indicare semplicemente la comunità cristiana (cfr. p.es. Origene, Contra Cels. V 33; Tertulliano, de cor. 11, 2). In Agostino la pace vera è identificata con la vita eterna: cfr. civ. Dei XIX 20, 648 Quam ob rem summum bonum civitas Dei cum sit aeterna pax atque perfecta, non per quam mortales transeant nascendo atque moriendo, sed in qua immortales maneant nihil adversi omnino patiendo; quis est qui illam vitam vel beatissimam neget, vel in eius comparatione istam, quae hic agitur, quantislibet animi et corporis externarumque rerum bonis plena sit, non miserrimam iudicet? ... Res vero ista sine spe illa, beatitudo falsa et magna miseria est: non enim veris animi bonis utitur. Può esservi pace anche fra i non cristiani, ma non per virtù di questi, bensì come semplice dono che Dio fa agli uomini al di là dei loro meriti, al pari del sole o della pioggia (ibid. III 9, 84): Modo autem quia de beneficiis eorum quaestio est, magnum beneficum est pax: sed Dei veri beneficium est, plerumque etiam sicut sol, sicut pluvia vitaeque alia subsidia, super ingratos et nequam  

Questo tipo di dottrina viene ulteriormente accentuata in alcuni autori, fino a definire la pace tra i non cristiani come vera e propria congregazione vòlta verso il male: nasce così la contrapposizione fra una pace buona (quella della Chiesa) e una pace perniciosa e nociva (quella dei non credenti): così leggiamo per esempio nel vescovo ginevrino Salonio, autore di un commento al Vangelo di Matteo (ed.  Curti, 142 ss.):

RESP. Videntur quidem haec exempla (scil. Mt. 10, 34 et Ioh. 14, 27) esse contraria, sed nulla est contrarietas quia est pax mala et noxia, est et bona et salutaris. De bona pace dicit dominus: Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, de mala vero pace mox subiungit: Non qualem mundus dat ego do vobis Ostendit enim quia mundus, id est mundi amatores et carnales homines habent pacem suam. INT. Quae est pax mundi? RESP. Societas et concordia malorum hominum; de hac pace dicit dominus: Non veni pacem mittere in terram, hoc est non veni dare malis concordiam et societatem ut in malo perseverent, sed veni mittere gladium qui eos separet.

 

Nell’immagine: Arte cristiana antica: Cori angelici. Mosaico della prima metà del V sec., Chiesa di S. Maria Maggiore, Roma.

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