"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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Beethoven e Prometeo
di M. Morani
Il nome di Prometeo ricorre esplicitamente due volte nel catalogo delle opere di Beethoven, ma il riferimento al motivo prometeico è implicito in almeno un'altra opera. Il riferimento più importante è quello dell'Op. 43, la musica per il balletto Le creature di Prometeo elaborato e messo in scena dal coreografo italiano Salvatore Viganò. Il soggetto della rappresentazione (della cui coreografia nulla ci è rimasto) è brevemente riassunto nel seguente argomento:
La base di questo balletto allegorico è la favola di Prometeo. I filosofi greci la spiegarono nel senso che si tratti di uno spirito sublime che, al suo tempo, trovò gli uomini nello stato di ignoranza, li affinò con le scienze e con le arti e dettò loro delle leggi. Muovendo da questi principi, nel presente balletto su rappresentano due statue animate che, grazie alla potenza dell'armonia, sono rese accessibili a tutte le passioni della vita umana. Prometeo le conduce sul Paranso, per farle istruire da Apollo, il dio delle Arti Belle; Apollo ordina ad Anfione, ad Arione e ad Orfeo di far loro conoscere l'arte musicale, a Melpomene e a Talia la tragedia e la commedia, a Tersicore e a Pan la danza pastorale, della quale sono gli inventori, e a Bacco la danza eroica che è la sua invenzione.
Il balletto fu rappresentato a Vienna al Burgtheater il 28 marzo 1801. Della musica fu pubblicata nel 1802 una riduzione per piano, fatta dallo stesso Beethoven e dedicata alla principessa Lichnowski, mentre la sola Ouverture fu pubblicata nel 1804 col titolo in italiano Gli uomini di Prometeo, che era il titolo originario del brano, successivamente cambiato, al momento della rappresentazione, col titolo rimasto poi definitivo Die Geschöpfe des Prometheus, usualmente tradotto in italiano con Le creature di Prometeo..
El correva a la Scala tutt Milan E vegnevan giò a tropp de là e de scià I forestee de tante mia lontan.
[Offriamo la traduzione per i lettori "forestieri": Correva alla Scala tutta Milano, e venivano a truppe di qua e di là i forestieri lontani di molte miglia].
Dell'Op. 43 di Beethoven la quasi
unanimità dei critici dà un giudizio piuttosto negativo: la musica del
balletto è ritenuta in genere ripetitiva e in ultima analisi monotona
(soprattutto la seconda parte). A noi questo giudizio pare un po'
troppo sommario. Certo la musica del Prometeo non ha
l'intensità e la ricchezza di tante composizioni di Beethoven assai più
ispirate. Ma, come dice A. Bruers nel suo catalogo delle opere
beethoveniane (Beethoven,
Roma 1951, p. 151), "il fatto di godere ospitalità nella casa del
miliardario Beethoven non autorizza a disprezzare i singoli biglietti
da mille". Si deve tenere conto del fatto che la musica era destinata a
fare da sfondo a un'azione drammatica, e quindi doveva tenere conto
delle esigenze sceniche, facendosi ancella di queste e rispettando i
tempi della scena. Questo impediva sicuramente alla fantasia
beethoveniana di dare pienamente corso alla sua genialità: Beethoven si
è in certo modo accontentato di scrivere una musica un po' di routine,
senza quelle invenzioni che profondeva a piene mani nelle sue
composizioni maggiori (avrà anche pensato che il pubblico era più
interessato a seguire le spalle nude e i lunghi capelli neri di Maria
Cassentini, l'affascinante prima ballerina della Corte di Vienna, che
non la sua musica), ed è vero che le parti più interessanti del
balletto (in tutto 16 numeri) sono quelle in cui la musica non è a
servizio della scena, come la brillante Ouverture. Va anche
detto che, nonostante tutto, la musica del balletto offre una quantità
insospettata di situazioni e di stili diversi, da brani che rievocano
la musica di Mozart a passaggi che starebbero bene in un'opera
italiana. Ed è anche vero che nella strumentazione si ha uno
sperimentalismo che porta a soluzioni inconsuete e di grande interesse.
In diversi passaggi del balletto fanno la loro comparsa strumenti che
Beethoven non aveva mai usato o non userà mai più (come l'arpa o il
corno di bassetto) e si hanno passaggi solistici e dialoghi strumentali
nuovi e spesso molto felici (basti citare l'Adagio, n. 5, del
secondo atto, in cui flauto, clarinetto, fagotto e un violoncello
solista intonano un motivo di danza in 6/8
[Per informazioni sulla
genesi dell'opera e sulla sua struttura, con precisa indicazione dei
diversi quadri e precise informazioni sulle indicazioni agogiche e la
strumentazione di ciascuno si veda questa pagina: https://www.lvbeethoven.it/opus043]
Ma il punto su cui vorremmo
soffermarci è un altro. Il balletto si conclude con un gioioso rondò in
mi bemolle maggiore, il cui tema fondamentale ha una storia tutta
particolare nell'ambito della produzione beethoveniana
[Ulteriori notizie qui: https://www.lvbeethoven.it/WoO014]
Pur
essendo difficile stabilire l'esatta cronologia, e quindi l'eventuale
priorità nell'uso del tema nell'una piuttosto che nell'altra
composizione, è rilevante come il tema si presenti qui in una forma
priva di qualsiasi coloritura eroica, con un aspetto per così dire
familiare, se non dimesso. Tuttavia la linea iniziale di sviluppo del
tema rimarrà immutata, e anche la tonalità di mi b maggiore si
ritroverà nel finale dell'Eroica. Il tutto dimostra come per
Beethoven non sia tanto il tema in sé ad essere importante, quanto il
contesto armonico e compositivo in cui esso si inserisce: da una
semplice movenza il compositore saprà trarre una serie di conseguenze
progressivamente sempre più approfondite, sviscerando tutte le
potenzialità espressive insite nella cellula originaria, fino alla
grandiosa costruzione della Sinfonia Eroica. Del resto il tema
stesso potrebbe non essere una invenzione originale beethoveniana, in
quanto sembra a sua volta la reminiscenza di un tema di una sonata di
Muzio Clementi per pianoforte a quattro mani. Ma, più che le Controdanze,
un'opera minore e poco nota del repertorio beethoveniano, vale la pena
ricordare l'uso che Beethoven fa di questo tema nelle Variazioni per
pianoforte op. 35, pubblicate nel 1803. La tonalità è la stessa.
Si tratta di quindici variazioni in cui il tema viene esplorato in
tutte le sue potenzialità, arricchito, variato nel ritmo, immerso in un
ambiente armonico continuamente cangiante, utilizzato in un breve
episodio fugato. La cosa interessante è che, mentre nel finale del Prometeo
il tema appare nella sua forma definitiva fin dall'inizio del
brano, qui al tema fondamentale si arriva progressivamente: all'inizio
si trova una specie di introduzione, in cui si ha il prevalere di un
tema secondario
Ma le variazioni op. 35
costituiscono la premessa per il'ulteriore e definitiva elaborazione
del tema, che si avrà nel finale (Allegro molto) della Sinfonia
n. 3 op. 55 "Eroica", ove il tema prometeico è nuovamente utilizzato, e
in una dimensione ancora nuova e più ricca di idee. L'idea che sta alla
base dell'op. 35, cioè il comparire del tema fondamentale solamente nel
corso del brano, qui è ripresa in modo ancora più ampio. Dopo una
cascata di semicrome proposta dagli archi
Ideale prometeico e ideale eroico si saldano e dànno vita a uno dei più straordinari brani musicali di tutto il repertorio beethoveniano e di tutti i tempi.
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