2010-2. Editoriale.
 

 

 

 

"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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2010-2

 

 

Mi è capitato recentemente di riprendere in mano lettere, articoli ed editoriali elaborati negli ultimi decenni a proposito dei vari progetti di riforma. Mi ha sorpreso con quanta disinvoltura, con un’irritazione già quasi rassegnata, si parlava di ipotesi che sembrano a distanza tremende: sia le ipotesi ministeriali, sia le controproposte corporative di chi voleva salvare il salvabile sulla sua o sulle sue discipline (e cattedre relative) a danno di altre. Una guerra di cui percepiamo l’assoluta inanità, ma che ha angosciato generazioni di docenti; per non parlare delle famiglie che facevano i conti sulle età dei figli: forse riusciamo a salvare anche il terzo, il quarto… Tanto la riforma (che i media presentavano come attesa con desiderio da un’opinione pubblica scandalizzata per i ritardi) era non solo non desiderata, ma temuta.

Ora che i giochi sono fatti, possiamo cominciare a tirare le somme. La soppressione delle infinite sperimentazioni ha creato degli ingorghi nelle scuole, condannate per cinque anni a muoversi a doppio regime, visto che non è proseguita l’idea originaria (coraggiosa, ma difficile) di affrettare i tempi coinvolgendo nella riforma anche le seconde. Non siamo del tutto certi che qualcosa delle vecchie sperimentazioni non continui a fare la sua comparsa, attraverso qualche escamotage; è certo inoltre che il famigerato Liceo Europeo, imposto dal ministero ai licei con annesso un convitto, sia stato stralciato dalla riforma e continui la sua vita parallela.  

Nei classici l’esito si vedrà a distanza. La riduzione dell’italiano e della geografia al biennio può non essere eccessivamente significativa, ma l’aver “spalmato” le materie scientifiche sui cinque anni temiamo molto che comporti una grave perdita: a meno che i docenti delle materie in questione non siano in grado da subito di programmarsi con assoluta precisione, il rischio è che fra cinque anni si accorgano che il patrimonio realmente acquisito di conoscenze e competenze sia molto diminuito, e che anche l’orientamento verso facoltà scientifiche sia più difficile e meno strumentato. Il problema ci riguarda, perché un classico “più classico” non è nei desideri di nessuno.

Che lo scientifico sia “più scientifico” è invece un fatto già da ora evidente. Qui la riduzione di tutto il settore umanistico tocca direttamente noi docenti di lettere: o si prosegue con l’idea purtroppo diffusa che il latino sia in questa scuola un elemento estraneo, imposto, subìto, da ridurre il più possibile (a vantaggio dell’italiano, se la cattedra è unita), e allora la riduzione ministeriale sarà accolta con sollievo, e usata come scusa per una eliminazione di fatto; oppure si crede che valga ancora (e sia sempre valsa) la pena di inserirlo nel curriculum, e allora si accetta la sfida della riduzione: trovare motivazioni, obiettivi, programmazioni, metodi che lo valoriz­zino. E’ un compito di immediata importanza, ora o mai più si direbbe. 

L’uscita del liceo linguistico dal limbo della sperimentazione ha creato un’al­ternativa con pieno diritto di cittadinanza: una sfida interessante, da ripensare.

Il modo confuso con cui il vecchio istituto magistrale, passato per varie sperimenta­zioni, è stato accolto nella riforma deve essere oggetto di riflessione: da sempre è stato considerato una sorta di rifugio per umanisti in difficoltà, ma lo è ancora? 

Un’ultima questione, precedente la riforma ma su cui ho avuto modo di riflettere ultimamente, trovandomi a lavorare in un istituto con una struttura verticale, dalla scuola dell’infanzia ai licei. Nel confronto su programmi e metodi ho ripensato alla questione dell’insegnamento della storia, su cui eravamo intervenuti anni fa ma che avevamo poi un po’ accantonato. Che i nostri studenti del biennio abbiano avuto l’unico approccio con l’antichità grecoromana nella scuola primaria è un fatto da cui non si può prescindere, anche perché i docenti della primaria non avevano né l’abitudine né la preparazione necessaria per spiegare in modo ampio e approfondito questo settore della storia. Varrebbe la pena per chi ne ha la possibilità (scuole dei figli, amici…) vedere come e che cosa del mondo antico passa ai nostri bambini, arriva ai nostri studenti.

 

Un buon lavoro per quest’anno a tutti.

 

      

 

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