"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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1988-2
La madre di un atleta, che più degli altri ha deluso durante le recenti Olimpiadi di Seul, in una intervista rilasciata il giorno stesso della gara a un giornale sportivo, additava come responsabili principali del risultato deludente del figlio alcuni professori, che durante tutto il corso dell’anno scolastico l’avrebbero perseguitato, rimproverandogli di pensare solamente allo sport e di non avere alcun interesse nei confronti della scuola. Può essere l’inizio di una nuova epoca, in cui i tifosi delle squadre, delusi dalle prove mediocri dei loro beniamini, anziché inveire contro l’arbitro venduto organizzeranno spedizioni punitive contro i professori degli atleti, addebitando loro la colpa della sconfitta.
Ma, al di là dell’ironia, fin troppo facile, sull’episodio, emergono alcuni dati di riflessione significativi. La prima; la sostanziale perdita di valore, in gran parte della mentalità corrente, dell’esperienza scolastica: i cinque anni di scuola superiore sono sempre meno sentiti come un momento formativo di importanza decisiva per uno sviluppo armonico e completo della persona. E la responsabilità di questa perdita di valore è largamente diffusa. Si è progressivamente abbandonata l’idea della scuola come momento educativo: la figura dell’insegnante, sempre più sbiadita, si è progressivamente assimilata a quella di un impiegato, che nel chiuso di un ufficio pensa a disbrigare un certo numero di pratiche giornaliere, pratiche che nulla gli dicono e nulla gli interessano; a questa deformazione non è certo estranea la politica sindacale degli anni Settanta, come non sono estranee certe campagne sostenute dai principali organi di stampa negli ultimi mesi: la politica sindacale degli anni Settanta mirava ad un appiattimento retributivo quasi totale, a una carriera basata unicamente sull’anzianità di ruolo, a una sostanziale deresponsabilizzazione dell’insegnante; gli opinion-maker che pontificano dai giornali, e che nella stragrande maggioranza dei casi hanno idee confusissime della scuola e della peculiarità della funzione docente, si sono collocati all’estremo opposto e parlano di produttività, di orari di servizio più corposi, di un innalzamento di livello del servizio da quantificare con gli stessi criteri che si userebbero per valutare la puntualità dei treni o il fatturato di un’azienda.
Entrambe le linee, è ovvio, sono perdenti: ed entrambe creano disagio soprattutto fra i docenti più motivati e coscienti della peculiarità specifica del loro lavoro. Basta vedere come viene trattato il problema dell’aggiornamento: l’unico aggiornamento ammesso è quello stabilito dal collegio docenti, e, per accontentare tutti, il docente di educazione fisica come quello di greco, non potendosi, per ovvie ragioni, scendere nello specifico delle materie, ci si deve rifare a corsi fumosi e inutili, corsi in cui si insegna come organizzare la lezione tipo, come dev’essere lo schema autentico di lezione, valido erga omnes. Tutte cose distanti anni luce dagli interessi veri dei docenti, ma tant’è: questo è l’aggiornamento, e se invece si volesse avere un pomeriggio
disponibile per andare in una biblioteca e rinfrescarsi qualche idea sulla Pauly-Wissowa o sulla grammatica greca dello Schwyzer si sarebbe guardati con sospetto, e comunque tutto questo non sarebbe l’aggiornamento vero, ufficiale, garantito DOC.
Come detto, tutta questa congerie di elementi mette a disagio e in difficoltà proprio gli insegnanti più motivati (gli altri si adattano benissimo sia alla pratica impiegatizia sia alla pratica manageriale di chi vedrebbe volentieri computers in luogo di docenti: nel primo come nel secondo caso non vengono per nulla sollecitati a una presa di coscienza umana e morale). E’ a questa parte del corpo docente che vorremmo rivolgerci: per quanto sparuta e minoritaria essa possa essere, finirà ancora per avere un peso decisivo nei prossimi anni, così come è merito suo se, nonostante molte follie perpetrate da decenni a questa parte, la scuola italiana può È ancora vantare una tradizione di tutto rispetto.
La nostra impressione è che finora ci siamo posti sulla difensiva, cercando di ribattere, colpo su colpo, le posizioni di avversari che facilmente potevano avere la meglio, perché avevano a disposizione i mezzi di comunicazione o erano legati al potere politico. Ebbene, quando in una partita di calcio o di scacchi ci si trova a dover difendere le proprie posizioni e ci si rende conto che l’avversario dispone di mezzi superiori o si trova in una posizione tatticamente più favorevole, l’unico mezzo per risolvere la situazione a proprio vantaggio è quello di elaborare una strategia audace, destinata, nel lungo periodo, a mettere in difficoltà l’avversario. E’ inutile controbattere che un orario di ventidue ore di lezione è pura demenza, quando ci si sente dire che i contratti di altre categorie prevedono quaranta ore di lavoro. La tattica vincente è quella di far sentire come evento insostituibile il rapporto che lega il docente all’allievo, e lo fa crescere verso una più matura visione della vita e una presa di coscienza della propria umanità: una capacità di accoglienza dello studente e dei suoi problemi e la promessa di guidarlo verso la maturità, non più come raggiungimento del trentasei ma come momento di padronanza di strumenti critici e culturali tali da fornire un patrimonio interiore inatteso. E’ quello che i Greci chiamavano “paideia”: rendere in atto quello che uno era potenzialmente, ed è un’altra prova che, tutto sommato, della speculazione dei Greci abbiamo ancora bisogno. Di fronte a questa prospettiva, anche il valore di una medaglia olimpica verrebbe drasticamente ridimensionato!
Ma come fare, perchè tutto questo non diventi un’utopica affermazione di principio? Due i suggerimenti vorremmo proporre alla riflessione dei nostri lettori. Il primo: un continuo ripensamento dei valori formativi della nostra materia, degli obiettivi finali ed intermedi che essa propone, e una continua proclamazione agli studenti dei valori insiti nelle nostre materie. Ti aiuto a diventare adulto perché ti offro la possibilità di approfondire culture ricche di significato e di riflessione sull’uomo, che si collocano alle origini della nostra memoria, e ti dò gli strumenti per questo lavoro affascinante: che vuol dire, ti aiuto a diventare adulto anche nel momento in cui ti faccio imparare la formazione dell’aoristo passivo o l’organizzazione del sistema verbale latino.
Il secondo, imprescindibile dal primo: la necessità di rendere i propri strumenti di lavoro sempre più trasparenti e adatti al fine che si vuole raggiungere. Che non vuol solo dire (come taluni si affannano a ripetere da qualche anno a questa parte) utilizzare le acquisizioni della linguistica moderna per l’insegnamento del latino: è un discorso certo da riprendere e da approfondire, ma ci sembra che, nel complesso, si tratterebbe di una riverniciatura puramente formale, che fa dare nuovi nomi (e spesso strampalati) a fenomeni noti e aggiungerebbe più confusione che efficacia. La novità vera difficilmente è nei nomi: la novità vera è nell’atteggiamento dell’educazione che cerca e propone modalità nuovo per l’apprendimento non di nozioni, ma soprattutto di valore.
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