Andrea
Del Ponte. Per le
nostre radici. Carta d'identità del latino
Prefaz. di Salvatore Settis
Aracne editrice, Anterano (RM), 2018
Rispetto ad altri libri simili presentati in questa rubrica quello di
Andrea Del Ponte ha il vantaggio di nascere da una lunga esperienza
didattica e da una intensa attività di promozione degli studi classici,
realizzata attraverso incontri, conferenze, partecipazioni a seminari e
convegni, organizzazione di spettacoli teatrali.
Il
libro è organizzato
in tre sezioni. La prima (Radici
storiche e attualità della Latinitas) muove inizialmente da una
prospettiva
di fondo linguistica. L’autore parte dalla constatazione che la Latinitas
(intesa sia nel senso di sfondo ed eredità culturale sia nel senso
proprio di
area dove si parla una lingua romanza) è una delle più vaste macrozone
linguistiche e culturali del mondo, anche se il progressivo
rafforzamento dell’inglese
come lingua veicolare in diversi settori ha portato spesso a una
perdita di
contatto con le radici latine, al punto che si può oggi parlare di una Postlatinitas.
Dopo essere stato per secoli la lingua veicolare della scienza e della
Chiesa,
il latino ha subito una lunga fase di riduzione dei propri ambiti di
uso e si
trova oggi in uno stato di conflitto con l’emergere di una lingua non
neolatina
(anche se fortemente modellata sul latino e intrisa di elementi
neolatini),
l’inglese appunto. Questo conflitto ha portato a un disinteresse, o
addirittura
a un’insofferenza per il latino (e dunque anche per il suo
insegnamento) in
molti ambienti culturali. Perché far studiare il latino e sottrarre ore
a
materie più coinvolgenti e di utilità immediata e più vasta? Nonostante
questo,
si registra, secondo Del Ponte, un interessante riemergere del latino
(per
esempio nel mondo della politica, dove spesso si usano frasi latine
come motto
di organizzazioni o Stati). Tutto ciò, in conclusione, sconsiglierebbe
di diminuire
o addirittura di eliminare la presenza del latino nel tessuto
scolastico
italiano, come fatalmente accadrebbe, se si rendesse l’insegnamento del
latino
puramente opzionale e limitato a pochi corsi liceali.
Il
secondo capitolo
segue il dibattito sull’utilità del
latino a partire dagli inizi del XIX secolo (in realtà il dibattito era
cominciato prima, con la Querelle des anciens et des modernes),
attraverso un’antologia di testi: vi compaiono voci di personaggi
interessanti,
da Monaldo Leopardi fino ad autori recentissimi, interventi di
intellettuali (come
Gramsci o Pasolini o Magris) o di cultori della materia (come
Mastrocola,
Gardini, Tonelli). Negli epilegomena si fa cenno ad altri
interventi
importanti degli ultimissimi anni, dal momento che la polemica sulla
validità
del latino si è fortemente insediata in organi di stampa e nei media.
L’autore
rileva come il pensiero contemporaneo sia orientato a considerare
importante
solamente ciò che genera reddito: tutto questo relega fatalmente in
secondo piano
l’interesse per gli studi umanistici, e questa mentalità irrompe anche
nel
mondo della scuola orientando il sistema alla valorizzazione di forme
di sapere
immediatamente spendibili nel mondo del lavoro e dell’economia
(ricordiamo le
fatidiche e famigerate tre I: inglese, informatica, impresa). Quale
dunque il
rimedio? Del Ponte ritiene «del tutto
controproducente continuare nello sforzo di uniformarsi alla linea di
pensiero
dominante per essere accettati; prestarsi a un defatigante e quotidiano
esercizio
di mimetismo culturale per dimostrare di avere almeno una parvenza di
affinità
con il sistema; piegarsi a qualunque contorsione intellettuale pur di
dimostrare – per sopravvivere – che sì, almeno a livello di eterogenesi
dei fini
le humanae litterae possono prestare ancora qualche servizio
alla
società postindustriale, nel ruolo fosse anche di paria o di sherpa.»
Il
rimedio consiste piuttosto nella presentazione «di un’offerta ‘alta’
dei valori
del Latino e della classicità ai nostri contemporanei, presentata come
un’alternativa secca, e di altissima qualità, al deserto etico nel
quale ormai
da troppo tempo ci siamo incamminati».
Il
capitolo termina
con una vigorosa puntata polemica indirizzata
a quei cultori delle materie antiche che tendono a limitare
l’importanza
dell’antico sminuendone il valore. In modo particolare ricadono sotto
le
puntate polemiche di Del Ponte le tesi di Maurizio Bettini e dei suoi
collaboratori dell’AMA (“Antropologia e mondo antico”). Una sezione
interessante del capitolo controbatte le tesi di Bettini sull’inutilità
(anche
sotto il mero profilo didattico ed educativo) della traduzione. Le tesi
di
Bettini hanno come conseguenza anche un appello a una “ibridazione di
culture”
e a una sostanziale diluizione della nostra identità in vista di
un’Europa più
multiculturale e politeistica, tesi che Del Ponte confuta
perentoriamente,
affermando «con forza che i classicisti europei (…) non hanno nessuna
intenzione di ‘chiudersi in una difesa della tradizione umanistica’, ma
non
sono neanche disposti a subire passivamente gli attacchi distruttivi di
orientamenti culturali quanto meno discutibili, che vorrebbero (…)
estromettere
dall’Italia e dall’Europa il patrimonio della classicità, (…) sfigurare e
sconciare ciò che di meglio essa ha saputo esprimere, da Omero al
Rinascirnento, in termini di λόγος, di spiritualità e di un’autentica humanitas
capace di indicare le
coordinate per un vivere bello, armonioso, altarnente civile».
Il
terzo e ultimo
capitolo ha un taglio molto originale: è
un’antologia di passi di autori latini inquadrati in parole chiave
della
cultura contemporanea presentate in ordine alfabetico (da Architettura
a Zucca
passando p.es. attraverso Giardinaggio, Inquinamento, Vegetarianesimo):
per
ogni parola un breve passo latino con un rapido ed efficace
inquadramento
sull’autore e una riflessione sulla problematica attinente alla parola
esaminata.
Una
breve introduzione
rende conto delle ragioni che hanno
spinto l’autore alla stesura di questo libro. In particolare ha avuto
un peso
importante la sua attività di redazione di una Carta del latino,
un
testo sull’importanza della cultura classica e umanistica e sul peso
che essa
dovrebbe avere nella società: nella sua genesi il testo si
poneva come punto
di riferimento per l’associazione di cui il Del Ponte è presidente
nazionale
(il Centrum Latinitatis Europae). L’autore si oppone alle
prospettive di
una orizzontalità culturale e realitivistica e si colloca tra «gli
ammiratori
dell’arborea verticalità proiettata sia verso il cielo che nel profondo
della
terra (le radici greco-romane e assieme giudaico-cristiane della nostra
civiltà occidentale)». Completa il volume, come prefazione, un saggio
di
Salvatore Settis dal titolo significativo Salviamo il latino.
In
conclusione un
volume interessante, con una panoramica
molto estesa di problematiche, che toccano sia il profilo culturale sia
il
profilo educativo o strettamente didattico. Le tesi dell’autore sono
presentate
in modo sempre energico e con uno stile chiaro. Il libro può essere argomento di
discussione o anche di polemica, ma certamente l’autore non è
personaggio che
si sforza di nascondersi o di mimetizzarsi per non urtare chi la pensa
in
maniera diversa, come purtroppo tendono oggi a fare molti cultori del
mondo classico:
anzi, in vari passaggi Del Ponte preferisce la verve polemica
rispetto all’accondiscendenza
logorante. Lo stile è sempre molto nitido ed efficace.
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