"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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LA TENEBRA E LA LUCE
NELLE METAMORFOSI DI APULEIO
Analisi di alcune strutture narrative
dell’Asino d’oro di Apuleio di Madaura
di Tiziano Lorenzo Vezzoli
Nihil – inquit – hac fabula fabulosius,
nihil isto mendacio absurdius ...
Tu autem, accedis huic fabulae?
Ego vero – inquam –
nihil impossibile arbitror,
sed utcumque fata decreverint,
ita cuncta mortalibus provenire.
Ap. Met. I, 1.
Haec vel falsa sunt,
vel tam inusitata
ut merito non credantur.
Firmissime tamen credendum est
omnipotentem Deum omnia posse facere
quae voluerit.
Ag., De civ. Dei 18, 18.
In seguito alla profonda suggestione prodotta in noi dalla lettura di Apuleio, il lavoro era nato come uno studio che avrebbe dovuto prendere in esame i temi della Notte e del Sogno nelle Metamorfosi.
Ben presto per si rivelò non del tutto adeguata una ricerca che intendesse scoprire “particelle di sogno” in un romanzo che, tutto intero, ha le specifiche caratteristiche di una esperienza onirica (1) che ci viene raccontata, con lepido susurro, da Apuleio.
A questo riguardo, ciò che colpiva maggiormente la nostra attenzione era il fatto che la notte, soprattutto nei primi dieci libri, non era mai il tempo e la dimensione del riposo e del sonno, ma il luogo dello scatenarsi di streghe, briganti e ostesse ammaliatrici, che fanno la loro comparsa, nella notte, come su di un illuminato palcoscenico.
È qui che entriamo direttamente nel tema della luce. Sì, perché nelle notti insonni di Lucio vi è sempre una fiamma che attrae la nostra attenzione di lettori curiosi. La lucerna di Meroe o quella di Panfile, i lumi delle veglie amorose con Fotide (essa stessa luce), ci hanno subito collocato in una dimensione in cui la luce appare strumento di magia e di seduzione, in una parola di inganno.
La tenebra e la luce risultavano fin dall’inizio compresenti, come in una strana pozione. Di essa noi abbiamo analizzato gli elementi, quali l’erotismo, la goetìa, la tenebra magica e quella che invece manifestazione del divino, il “cuore oscuro della notte” (2), cercando di evidenziarne le sfumature, i toni, le sfaccettature, le implicazioni e i collegamenti all’interno delle Metamorfosi.
Siamo voluti partire proprio dal libro XI, da quella notte mistica in cui la tenebra e la luce coesistono miracolosamente (3), in occasione della epifania di Iside.
Ed così che, attraverso infiniti stravolgimenti e trasformazioni (figuras fortunasque ... in alias imagines conversas I, 1), la ricerca ci ha condotti proprio lì dove Apuleio stesso, crediamo, voleva condurci.
L’intreccio tenebra-luce, da pozione venefica e stregonesca, si trasforma in bevanda sacra e mistica, che consente l’accesso ai sacri misteri di Iside.
Il nostro lavoro viene a porsi sulle orme di molti, fra critici e studiosi, che si sono dedicati all’incantatore di Madaura. Il bisogno e la esigenza di approfondire la ricerca sul tema della luce in Apuleio era avvertito da tempo, se pensiamo che già S. Lancel, nel 1961, scriveva a chiare lettere : “Il y a chez Apulée un bon et un mauvais usage de la lampe, et le thème de la lumière – de ses pièges et de ses bienfaits – mériterait bien une analyse et un développement” (4).
È possibile che l’impostazione da noi data alla ricerca incontri qualche riserva da parte di chi non crede profondamente all’unità del romanzo apuleiano.
In ogni caso, le epigrafi apposte a questa introduzione ci invitano a ricercare gli ardui tracciati della verità che si celano, nella filigrana del racconto, sotto le forme della realtà fenomenica.
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