(1) Per una trattazione esauriente della vicenda di Telifrone con particolare riferimento al profeta Zatchlas si veda A. Stramaglia Aspetti di letteratura fantastica in Apuleio. Zatchlas Aegyptius propheta primarius e la scena di necromanzia nella novella di Telifrone (Met. II, 27-30), in «Ann. Fac. Lett. Fil.» XXXIII, Bari 1990, pp. 159 ss.
(2) Il tema degli occhi viene enfatizzato e ampliato fin quasi a raggiungere l’iperbole: dagli occhi di Telifrone si passa a quelli di Apollo fino a quelli della Giustizia.
(3) L’attenzione agli occhi già presente nella novella di Aristomene (I, 11): Ac primum prae metu aliquantisper vigilo, dein circa tertiam ferme vigiliam paululum coniveo... e proprio in quel momento la porta divelta dalle streghe.
(4) Così come era fin dalla Theogonia di Esiodo (vv. 227): “ E la Notte generò Morte, Sonno e la stirpe dei Sogni.”
(5) Per Telifrone troppo sicuro di s e totus oculeus si veda V. Ciaffi Petronio in Apuleio, Torino, 1960, p. 171: “[Telifrone] ..., giovinetto ancora, prende pose da adulto, con un tono sprezzante nei riguardi dei morti e dei vivi, tutte nuptiae et nugae merae (II, 21-23), di null’altro preoccupandosi, almeno in apparenza, se non del corollarium e della cena”.
(6) Birrena riveste il ruolo di “madre” di Lucio e fa proprie le caratteristiche di salvatrice della sua madre naturale, il cui nome è appunto Salvia, assumendo in ciò tratti ‘isiaci’. Per Iside-madre rimandiamo all’undicesimo libro e in particolare al capitolo 25: Tu quidem, sancta et humani generis sospitatrix perpetua, semper fovendis mortalibus munifica, dulcem matris adfectionem miserorum casibus tribuis.
(7) Fotide è anch’essa maga, non meno di quanto lo sia Panfile: (III, 19) Sum namque magiae noscendae ardentissimus cupitor, quamquam mihi nec ipsa tu videare rerum rudis vel expers.
(8) R. Merkelbach in Roman und Mysterium in der Antike, op. cit., p. 314 e nota 5, stabilisce un attraente confronto fra Lucio che si asserve a Fotide e l’anima che è “incantata” (goeteutheìsa) dalla bellezza della materia. Merkelbach prende spunto da un preciso passo di Sinesio (De insomniis) che citiamo nella versione di A. Garcya (cap. 8): “lasciatasi ingannare dai doni della materia, l’anima si trova in una condizione analoga a quella di un uomo libero assunto per mercede per un tempo limitato il quale, soggiogato dal fascino di una servente, preferisce restare, obbligandosi a lavorare schiavo per il padrone dell’amata”. Alla base di Sinesio c’è il Fedro platonico (252 a) quando l’anima, perduta la contemplazione della verità, cade a terra ed è “pronta a farsi schiava” pur di contemplare un’immagine, seppur solo riflessa, del divino.
(9) Il nome di Telifrone significa “colui che ha l’animo femminile”. Cf. per esempio A. Carotenuto, Le rose nella mangiatoia, Milano 1990, p.169: “ Telifrone ... sembra voler dire il nome ... uno che pensa in modo femminile.” Un interessante accostamento è quello fra Telifrone, che dice a se stesso in II, 23 Animum meum conmasculo...e la giovane Psiche che in VI, 22 mostra carattere virile: ... prolata lucerna et adrepta novacula sexum audacia mutatur. Anche Carite si attribuisce in VI, 27 constantia virilis. Cf. anche N.Fick, op. cit., p.317-328.
(10) Troviamo qui un rinvio al lepido susurro permulceam dell’incipit. Se interpretiamo correttamente, per arrivare alla condizione di laetitia dell’undicesimo libro – ricordiamo lector, intende: laetaberis I, 1 – occorre passare attraverso una serie di esperienze che ai lettori saranno rese gradevoli dal lepido permulcere delle parole dell’autore. Allo stesso modo Telifrone cerca di superare la notte, con gli ostacoli e i pericoli che essa nasconde, attraverso lepidis cantationibus.
(11) Un paragone si pone con la favola del versipellis di Petronio (Satyricon 62,4): quando il miles con cui è in viaggio si allontana per poi trasformarsi segretamente in lupo, Nicerote siede cantabundus... Cf. V. Ciaffi, op. cit., p. 98. Notiamo bene che il termine cantationibus ha un forte significato magico.
(12) Una notizia interessante circa la donnole che «ruberebbero gli occhi ai defunti» ci data da Eliano in Historia animalium, XV, 11.
(13) Cf. le interessantissime osservazioni di D. Poli La donna, la donnola e lo sciamano, in Semiotica della Novella latina, Roma ‘86, pp. 247 e ss.
(14) A commento di questo passo nota Pennacini, op. cit. p. 79, che «Il tema degli occhi e dello sguardo esplode qui drammaticamente».
(15) Notiamo che anche per l’incantesimo del sonno gli occhi sono determinanti.
(16) Se di Telifrone che cade nel sonno Apuleio dice che precipita in imum barathrum (III, 25), di Lucio che fugge dalla casa di Birrena e si getta a capofitto nella goetìa dice che precipita in ipsum barathrum II, 6.
(17) Un’usanza egiziana illustrataci da J.G. Frazer serve a comprendere in profondità la vicenda: “Ogni egiziano riceveva due nomi conosciuti rispettivamente come il vero nome e il nome buono, o come il nome grande e il nome piccolo. Mentre il nome buono o piccolo era pubblico, il nome vero o grande si teneva nascosto con ogni cura... Quest’uso era destinato a proteggere la persona dalla magia, poiché un incantesimo diveniva efficace solo in combinazione con il nome vero”. Cf. The Golden Bough. A study in Magic and Religion, Londra 1922, Ed. it. Torino 1973, p. 382.
(18) Cf. D. Poli, art. cit, p. 251.
(19) V. Ciaffi, Petronio in Apuleio, Torino 1960 p.170.
(20) Per uno sviluppo molto interessante dell’idea di madre accostata a Birrena si veda A. Carotenuto, op. cit., pp. 55-56.
(21) Un’importante approfondimento, dal punto di vista narratologico, dell’immagine di Telifrone che osserva se stesso stato fatto da Winkler, op, cit., p.114: “The empty and anticlimatic scene of Thelyphron’s scrutinizing gaze on the integral face of Thelyphron is an image of the narrator who, before he became a narrator, looked at Thelyphron’s face to see wheter he had suffered dismemberment (whic would mean that he would have to suffer a reciprocal dismemberment to replace what was missing) – and saw nothing.
(22) L’analogia potrebbe proseguire su punti interessanti. Vediamo infatti che nel caso di Atteone Lucio osserva un altro se stesso che ha subito una metamorfosi-punizione per il sacrilegio – ma non lo capisce. Qui colui che osserva è ancora pienamente integro, o almeno così pare. Nel secondo caso, invece, chi osserva è Telifrone che ha già subito la trasformazione e osserva, in posizione inversa rispetto a Lucio, un secondo se stesso che gli appare pienamente integro. Dal momento che si tratta in entrambi i casi di “ammonimenti visivi”, o comunque di messaggi che è Birrena a costruire, ci sembra rispondere a una logica corretta l’inversione dell’ordine dei fattori: se in seguito al primo richiamo Lucio non ha compreso, la seconda opportunità in cui il messaggio gli è porto con chiarezza ancora maggiore, dovrebbe sortire, nelle speranze di Birrena, l’effetto desiderato. Lucio però non sembra aver ben compreso nemmeno in questo caso: come Telifrone osserva se stesso, così anche lui porterà, non solo sul viso ma su tutto il corpo, le conseguenze di questa incapacità.
(23) Aristomene e Telifrone vivono di notte l’esperienza drammatica della magia e al mattino, al sopraggiungere della luce del sole, pensano con sicumera e spavalderia di aver scampato il pericolo. Anche Socrate infatti, alla luce del giorno, sembra del tutto incolume.
(24) Cf. per questo punto Pennacini, op. cit., p. 87-88.
(25) Cf. Winkler, op. cit., p. 113.
(26) La sorte di Telifrone, “colui che ha carattere femminile “, sembra trovare un paradossale epilogo in una morte che lo accomuna al misogino Orfeo e a Penteo ucciso, in abiti femminili, dalla madre Agave.
(27) Cf. N. Fick, Art et Mystique dans les Metamorphoses d’Apulée, Paris 1991, p. 289.