Il
giorno 18 dicembre alle 16.30
si è svolta in collegamento la ripresa del terzo momento dei “Sabati di
Zetesis
2020”.
Nell’incontro precedente non avevamo infatti concluso la lettura di
Prudenzio,
per cui si era deciso di proseguire. Tema di questo incontro natalizio
sono
stati l’inno di Ambrogio In nocte Natalis
Domini e di Prudenzio l’ Hymnus
VIII Kal. Ianuarias, l’undicesimo
del Liber Cathemerinon.
-
Leggiamo anzitutto l’inno
attribuito ad Ambrogio: è in dimetri giambici con alcune sostituzioni:
troviamo
due anapesti nella quarta strofa: thalamo
e geminae.
-
Notiamo vari preziosismi
stilistici: il contrasto nella stessa strofa tra il forte realismo di alvus tumescit virginis e le metafore claustrum
pudoris, vexilla virtutum micant;
i giochi fonici egressus / regressus,
excursus / recursus, infirma /
firmans, la rima tuum / suum ; parole rare come perpeti, attributo di virtute e iugi, ablativo
dell’attributo di fide.
-
Riferimento biblico
nell’immagine del tempio (v.12) o dello sposo che balza dal talamo (v.
13)
-
Citazione evangelica quasi
letterale verbum Dei factum est caro, con
Dei a completare il dimetro.
-
Una ripresa successiva dei
versi 3 / 4 della sesta strofa si trova nell’inno liturgico Veni
Creator Spiritus attribuito a Rabano Mauro (IX secolo): infirma
nostri corporis / virtute firmans
perpeti. Forse una ripresa successiva di vexilla
virtutum potrebbe essere vexilla regis di Venanzio
Fortunato (VI secolo), citato anche da
Dante.
-
L’ultima strofa ci introduce
nell’immagine tradizionale del Natale:
il presepe immerso nella luce. Ci serve come collegamento con l’inno di
Prudenzio.
- Lo
leggiamo. E’ anch’esso in
dimetri giambici, con qualche libertà: ad esempio al v. 19 Sophia
ha la i lunga,
forse, come già si diceva la scorsa volta, per l’influsso della
pronuncia
greca.
- Si
possono riconoscere le
caratteristiche proprie del genere innologico: l'uso insistito della
seconda
persona, il tono alto, l'afflato religioso, le ampie perifrasi e
circonlocuzioni, l'aggettivazione abbondante, le immagini luminose. Ma
si
alternano anche diverse sezioni "teologiche" e meditative: sono
ribaditi più volte il mistero del parto verginale di Maria e la doppia
natura
divina e umana di Gesù; si ripercorre brevemente la storia della
salvezza a partire
dalla creazione del mondo: in principio il Verbo era nel seno del
Padre, era la
Sapienza con cui Dio ha creato e ordinato il mondo, in seguito corrotto
e
decaduto a causa del peccato e dell'idolatria, finché Cristo nella
pienezza dei
tempi si è rivestito di un corpo mortale per infrangere le catene della
morte e
riportare gli uomini al vero Dio. La nascita del bambino Gesù è
l'inizio di una
nuova creazione, di un mondo nuovo descritto con i tratti tipici
dell'età
dell'oro. L'ultima sezione contiene un'aspra invettiva contro Israele
nella
forma dell'apostrofe: mentre i popoli pagani e persino gli animali
privi di
ragione di fronte al presepe adorano il bambino e si convertono, gli
Ebrei
tradiscono i loro patriarchi e non riconoscono il "Dio presente" donato
alle genti come un fragile bambino in una culla, partorito da una
vergine, che
un giorno verrà come giudice trionfante e darà a ciascuno secondo il
merito,
destinando gli uni alla luce eterna, gli altri alla Geenna. Solo allora
Israele, che ha rifiutato la croce, capirà chi è colui che la morte ha
inghiottito e poi restituito.
- Le
prime tre strofe sono
incentrate sul tema della luce. Il giorno di Natale, indicato nel
titolo con la
datazione romana, segue di pochi giorni
il solstizio, quindi coincide con l’inizio dell’aumento di luce. Ma
questo dato
naturale è qui ampliato con l’idea dell’incremento di luce dovuta alla
nascita
di Gesù.
-
Qualche difficoltà
interpretativa dà il verbo callebas
al v. 20. Le traduzioni che abbiamo a disposizione non aiutano: vivais, hadst understanding? Penso che
il senso sia strettamente connesso con quello di Sophia,
qui predicativo del soggetto, che indica in greco
un’intelligenza fattiva, abile, creatrice: infatti il Verbo è creatore
del
mondo, come dice la strofa successiva. Quindi callere equivarrebbe
all’essere
sophòs.
- Ai
vv. 39-40 per descrivere
l'umanità in preda al peccato e schiava degli idoli, Prudenzio ricorre
al
lessico giuridico: perfidi praedonis in ius venerant, et mancipatam
fumido vitam barathro immerserant (39-41).
-
Sono presenti parecchi
riferimenti a Virgilio e a Orazio. Oltre agli evidenti richiami alla IV
ecloga,
si possono osservare altri passaggi. Ai vv. 93-95 Prudenzio accusa la
discendenza dei patriarchi di Israele, che aborre il Dio incarnato: credas
venenis ebriam, / furiisve lymphatam rapi. / quid prona
per
scelus ruis? Con termini simili Orazio descrive
nell'Ode I, 37
la regina Cleopatra che ingaggia una guerra folle contro Roma: ebria
(12), mentemque lymphatam mareotico
(14), mentre nell'Epodo
VII apostrofa i cives che si precipitano verso la guerra
civile: quo,
quo scelesti ruitis? (1) Furorne caecus
an rapit vis
acrior / an culpa? (13-14); il lessico del furor si
ripropone in
Prudenzio anche ai vv. 34 (caeca vis mortalium) e
117 (te
furoris praesule) e come negli autori latini è
associato alla colpa
e all'eclissi della ragione, mentre la conversione al Dio bambino
comporta un
ritorno alla sapienza: sed cum fideli spiritu / concurrat ad
praesepia /
pagana gens et quadrupes, / sapiatque quod brutum fuit (87-90);
anche Israele è esortato a riconoscere il Signore usando la ragione: agnosce,
si quidquam tibi / mentis resedit integrae, / ducem
tuorum
principum (95-98).
- Mi
ha colpito il passaggio, ai
vv. 29 ss., in cui Prudenzio motiva l'incarnazione di Gesù con la pietà
per
l'umanità caduta e con la volontà di non farla perire ma di riportarla
al
Padre. Il Verbo rimase nel seno del Padre donec rotata annalium /
transvolverentur milia, / atque ipse peccantem diu / dignatus
orbem viseret
(29-32). I termini sottolineati mi hanno fatto
venire in mente il
finale del carme 64 di Catullo, una sorta di "congedo" in cui
Catullo, dopo aver descritto il felice matrimonio di Peleo e Teti
allietato
dalla profezia delle Parche sulla nascita di Achille, si abbandona alla
nostalgia
per il tempo degli eroi, quando gli dei visitavano in molte occasioni
gli
uomini e condividevano i momenti salienti della loro vita, poichè
dominava
ancora la pietas: praesentes namque ante domos invisere
castas /
heroum et sese mortali ostendere coetu / Caelicolae nondum spreta
pietate
solebant (384-86). Ma poi la terra si riempì di colpa e di male,
gli uomini
si macchiarono di terribili delitti che allontanarono per sempre gli
dei dalla
loro vita: Sed postquam tellus scelere est imbuta nefando, /
iustitiamque
omnes cupida de mente fugarunt ... omnia fanda nefanda malo permixta
furore /
iustificam nobis mentem avertere deorum./ Quare nec talis dignantur
visere
coetus, / nec se contingi patiuntur lumine claro (396 ss.). Anche
nel mito
esiodeo delle età dei metalli, a cui Catullo si è ispirato, alla
penultima
generazione degli eroi si contrappone quella del ferro, formata dagli
uomini
più empi; per le loro colpe imperdonabili Aidòs
e Nèmesis se ne andranno dal
mondo e troveranno rifugio presso gli dei, abbandonando l'umanità alla
sua
miseria: allora agli uomini mortali resteranno i dolori fonte di
lacrime; e
non ci sarà più scampo dal male (Op. 200-201).
- La
gioia indicibile del Natale
nasce dall'immeritata, inconcepibile misericordia divina per cui Gesù
Cristo
non abbandona gli uomini prigionieri del peccato, ma entra per sempre
nella
storia diventando un uomo come loro: mortale corpus induit, / ut
excitato
corpore / mortis catenam frangeret, / hominemque portaret Patri, 46-49
(da
notare l'insistenza sulla"carnalità": mortale corpus induit; excitato
corpore; te creator arduus spiravit el limo indidit).
-
Tuttavia l’immagine
apocalittica delle ultime strofe sembra lasciare poco spazio per la
salvezza
del popolo eletto, Iudaea, il cui
rifiuto di Cristo è destinato alla peggiore punizione della tradizione
sia
ebraica sia pagana (gehennam et Tartarum).
|