IDOMENEO
di W.A. Mozart
La
vicenda scenica
Nell’epica omerica re di Creta è Idomeneo,
nipote di Minosse e discendente quindi da Zeus, come si vanta lui
stesso in uno scontro verbale con Deifobo. Benché sia più anziano degli
altri combattenti, con le tempie ormai grigie, non ha un semplice ruolo
di consigliere come Nestore, ma guida l’esercito proveniente dalle
cento città dell’isola e la flotta di ottanta navi, uno dei più
numerosi contingenti nazionali. Quando si prepara il duello fra Menelao
e Paride, e Elena sulle mura indica i capi greci a Priamo, dopo
Agamennone, Odisseo e Aiace Telamonio viene presentato il solo
Idomeneo, su iniziativa della stessa Elena che non attende la domanda
del re troiano per parlarne: è alto, simile a un dio e a lei ben noto,
perché ospite caro di Menelao. Sempre lo accompagna, in un ruolo
subalterno ma di responsabilità attiva, l’ardito e impetuoso Merione: e
dopo l’undicesimo libro, in cui escono di scena a causa delle ferite
Agamennone, Diomede e Odisseo, il compito di reggere la situazione
ormai precaria riposa, oltre che sugli Aiaci (Menelao è sempre in
qualche modo protetto), proprio su Idomeneo e sul gruppo di giovani di
cui fa parte Merione insieme a Teucro, ai figli di Nestore e alcuni
altri: sono loro gli artefici della resistenza all’assalto troiano
nella lunga battaglia di un giorno che si compirà solo con l’intervento
di Patroclo e la sua morte. Dopo il ritorno di Achille e la ricomparsa
degli altri personaggi più di rilievo il ruolo di Idomeneo diviene
minore: è fra i vecchi amici invitati da Agamennone a banchetto per
consolare Achille, elencato con anziani come Nestore e il precettore
Fenice; nei giochi funebri assiste soltanto, spettatore peraltro
piuttosto litigioso, mentre uno dei protagonisti più attivi è Merione
arditamente in gara con giovani e adulti.
Terminata la guerra di Troia, il ritorno in patria di Idomeneo viene
raccontato con varianti assai diverse. Nell’Odissea
il racconto del ritorno dei reduci è effettuato da Nestore a Telemaco,
che si è recato a Pilo per avere notizie del padre: l’anziano amico è
al corrente delle traversie solo di alcuni compagni, perché la flotta
greca si è ad un certo punto divisa: fra quelli giunti sani e salvi in
patria viene ricordato proprio Idomeneo, con tutte le sue navi e i suoi
uomini. Ma Virgilio conosce una variante differente. Quando a Delo
Anchise interpreta l’oracolo di Apollo come un invito a recarsi a
Creta, patria dell’antenato Teucro, è necessario accertarsi che l’isola
sia libera da nemici, e colonizzabile dunque dagli esuli troiani:
importante è perciò la notizia che Idomeneo, rientrato in patria, ne è
stato scacciato, lasciando disponibile la terra per uno stanziamento
straniero. Virgilio non si sofferma particolarmente né sulle
motivazioni della cacciata del re né sul fatto che, espulso il re,
l’isola intera (cento città e una flotta di ottanta navi!) risulti
disabitata: chiaramente vuole soltanto giustificare la sosta a Creta
degli Eneadi. Della sorte successiva di Idomeneo si parla poco oltre,
nel minuzioso programma di viaggio che Eleno preparerà per gli amici:
l’esule abita nella penisola salentina, stanziatosi quindi in Italia
come altri reduci greci, ad esempio Filottete; e Diomede, nel messaggio
al re Latino in cui rifiuta di combattere ancora contro i Troiani e il
destino, ricorda la sventura della famiglia di Idomeneo, versos
penates. Il commentatore dell’Eneide, Servio, così
spiega la vicenda: durante il ritorno in patria Idomeneo viene sorpreso
da una tempesta e promette in voto di sacrificare la prima persona che
gli venga incontro in patria; salvatosi, incontra il figlio e con
grande dolore si accinge a sacrificarlo, ma il sorgere di una
pestilenza lo ferma e lo spinge all’esilio. Altre fonti mitografiche
riportano varianti: non incontra il figlio ma la figlia; il sacrificio
si compie, ma l’esilio è voluto dal popolo indignato per la terribile
azione. Altre fonti mutano del tutto la vicenda, inserendola nella saga
di Nauplio, il cupo vendicatore del figlio Palamede: giunto a Creta
durante la guerra di Troia, fa in modo che la moglie di Idomeneo, Meda,
sia sedotta da Lico che poi la uccide spietatamente insieme con la
figlia e s’impadronisce dell’isola; Idomeneo a sua volta sopraggiunge a
cose fatte e deve fuggire da Creta.
E’ evidente che la prima serie di varianti, incentrate comunque sul
tema della promessa al dio, appartiene ad una tipologia molto diffusa,
qualificata da Aarne e Thompson come “voto del reduce” (con la sigla S
241), cui risale anche la vicenda biblica della figlia di Iefte; più in
generale rientra nel tipo del sacrificio rituale di un figlio, sempre
ambiguo sia nella valutazione sia nell’esito (esempi più importanti
Isacco e Ifigenia). La seconda ha invece un’origine storica legata a
vicende politiche e dinastiche, oltre all’aggancio un po’ marginale col
più complesso mito di Palamede/Nauplio.
Il
libretto che Giambattista Varesco trasse per Mozart da quello francese
di Antoine Danchet, musicato nel 1712 da André Campra, risulta una
rielaborazione della variante “voto del reduce” (nota).
Varesco trasformò il modello francese concludendolo con un lieto fine e
rimaneggiò più volte il testo su richiesta di Mozart, riducendolo di
molto; un ulteriore rimaneggiamento si ebbe, rispetto alla prima
rappresentazione del 1781 a Monaco, nella ripresa dell’opera in forma
privata a Vienna cinque anni più tardi. Ci è quindi assai difficile,
come spesso avviene coi libretti d’opera, considerare una redazione
come “autentica”. Ci accontentiamo quindi di considerare la trama a
grandi linee.
L’influenza del teatro francese, e in genere del teatro tragico europeo
del Sei-Settecento è evidentissima: sono presenti le tre componenti
fondamentali, la rivalità d’amore, il contrasto amore/dovere, la
questione dinastica, tanto che il nucleo drammatico centrale appare un
po’ appannato. A Creta vivono il principe Idamante, figlio di Idomeneo,
l’argiva Elettra esule dalla patria dopo il matricidio compiuto da
Oreste e, in un folto gruppo di prigionieri troiani, Ilia, figlia di
Priamo. Ilia è innamorata di Idamante ma teme che l’amato voglia
sposare Elettra, principessa della sua stirpe; inoltre è lacerata dal
timore di tradire il ricordo dei suoi unendosi ad un nemico. Anche
Elettra, personaggio fosco e vendicativo, è innamorata di Idamante,
tanto da reagire con violenza quando apprende che il principe ha deciso
di por fine alle inimicizie e liberare tutti i prigionieri. In realtà
Idamante ama Ilia, e le si dichiara non riuscendo però a vincerne gli
scrupoli patriottici. La falsa notizia della morte in un naufragio di
Idomeneo spinge Idamante alla riva del mare: qui lo incontra Idomeneo,
che si è salvato dopo aver fatto la nota promessa a Nettuno. I due non
si riconoscono: Idomeneo è solo pietosamente rattristato all’idea di
dover uccidere il giovane, per cui prova un’istintiva simpatia. Quando
però avviene il riconoscimento è preso da disperazione. Incontrando
Ilia, le riconferma la liberazione promessa da Idamante, ma è anche
offeso dall’evidente legame d’amore che c’è fra lei e il figlio, tanto
da convincersi che vada punito come colpa e giustifichi quindi il
sacrificio. Tuttavia, con un rapido cambiamento, decide di lasciar
fuggire Idamante mandandolo in Grecia con Elettra, a dar prova di sé e
far tirocinio di sovrano: il figlio sta per partire a malincuore con la
compagna esultante, quando dal mare esce un orribile mostro che fa
strage degli abitanti. La partenza è interrotta, e Idamante, che ancora
non sa del voto, si sfoga con Ilia per l’incomprensibile freddezza del
padre; Ilia lo conforta accettando finalmente il suo amore. Ma il
popolo tutto con una sommossa spinge il re a salvare il regno dal
mostro: Idomeneo deve cedere ed è assecondato dall’eroismo del figlio,
che si offre spontaneamente al sacrificio, e di Ilia, che gareggia con
l’amato offrendosi come capro espiatorio per le colpe dei suoi, invisi
a Nettuno. Infine è il dio stesso a impedire il sacrificio, imponendo
soltanto che Idomeneo abdichi in favore della giovane coppia. Mentre
Elettra fugge sconvolta, decisa a condividere l’orribile sorte del
fratello (non mai chiaramente raccontata), si festeggiano le nozze.
L'opera
Registrata nel catalogo
delle opere mozartiane al n. 366, l'Idomeneo venne
rappresentato per la prima volta a Monaco nel gennaio 1781, in
occasione dei festeggiamenti del carnevale cittadino. La stessa corte
bavarese aveva commissionato a Mozart l'opera, e alla stesura della
partitura il ventiquattrenne compositore si era accinto con particolare
entusiasmo (tanto da trascurare i problemi di salute che lo
affliggevano) negli ultimi mesi del 1780. Si trattava di un incarico
particolarmente interessante per Mozart, perché gli offriva
l'opportunità di aprirsi a nuovi orizzonti e soprattutto di uscire dal
gretto e ormai ostile ambiente salisburghese. Il poco tempo a
disposizione costrinse Mozart a lavorare in stretta collaborazione col
suo librettista, l'abate Giambattista Varesco (1736- ca. 1806), che
sarà accanto a Mozart anche nella successiva opera giocosa
L'oca del Cairo del 1786 (K 422). Nonostante
qualche dissenso e qualche incomprensione, il lavoro fu nel complesso
positivo. Qualche difficoltà Mozart incontrò coi cantanti che dovevano
esibirsi a Monaco (il castrato italiano Vincenzo dal Prato, a cui
Mozart rimprovera scarsa profondità, e il tenore Anton Raaff, un
celebrato e anziano professionista che nutriva qualche dubbio sulla
validità del lavoro mozartiano e chiedeva modifiche e tagli che il
compositore non era disponibile ad accordargli), ma nel complesso il
lavoro procedette con lena e senza gravi inciampi.
Alla
prima rappresentazione, conclusasi con un pieno successo, seguì, nel
1787, un secondo allestimento in forma di concerto a Vienna, presso il
palazzo del conte di Auersperg. Alla luce di varie considerazioni (tra
cui anche la minore professionalità degli interpreti), Mozart apportò
alcune modifiche all'opera, soprattutto nel III atto, in cui vengono
eliminati il duetto "S'io non moro" di Idamante e Ilia
(sostituito col duetto "Spiegarti non poss'io", registrato al n. 489
del catalogo) e l'aria di Arbace "Se il tuo duol", sostituita con
un'aria-rondò (con violino solista) di Idamante "Non temer amato bene",
n. 490 del catalogo Köchel. Tra l'altro la parte di Idamante, scritta
nella prima rappresentazione per soprano e affidata a un castrato,
viene ora affidata a un tenore.
La
prima edizione a stampa della partitura seguì a Bonn nel 1805.
Pur
non essendo la prima opera scritta da Mozart, l'Idomeneo mostra
l'acquisizione da parte del compositore di una piena maturità
stilistica e prelude alle grandi opere successive. Da un punto di vista
strettamente compositivo si tratta di un'opera eclettica: Mozart prende
atto della riforma del melodramma opera dal duo Gluck-Calzabigi, ma non
si attiene del tutto ad essa. Desideroso di riscuotere pieno successo,
e preoccupato dunque in modo particolare di piacere e di trovare
un'accoglienza favorevole, Mozart, pur non venendo meno ai suoi ideali
musicali, cerca di evitare un atteggiamento eccessivamente severo e
rigido, che gli precluda una possibilità di essere compreso dal grande
pubblico. Significativo uno scambio epistolare col padre Leopold, che
esorta il figlio ad evitare una composizione troppo lontana dai gusti
del pubblico ("Ti raccomando quando lavori di non pensare solo al
pubblico che si intende di musica, ma anche a quello che non se ne
intende"): la risposta di Wolgang è pienamente condiscendente alla
raccomandazione paterna ("Quanto all'elemento cosiddetto 'popolare' non
si preoccupi: nella mia opera c'è musica per tutti, eccetto per le
'orecchie lunghe'"). Così il recitativo secco, per quanto ridotto, non
viene abbandonato del tutto, e si dà discreto spazio a cori, marce,
pantomime, balletti, secondo un ideale di grandiosità esteriore che
avvicina più Mozart alla tradizione francese che non ai severi ideali
gluckiani. Anche il richiamo all'unità d'azione che la riforma di Gluck
operava viene in parte disatteso, con l'introduzione di una vicenda
secondaria (la vicenda di Elettra), che serve solamente ad aggiungere e
sovrapporre al nucleo principale della trama
il tema della rivalità amorosa.
Nonostante
questo, e nonostante un carattere che tramezza spesso tra il tono
drammatico e il tono da opera giocosa, l'opera presenta una freschezza
e un'intensità che anticipa il Mozart delle grandi opere successive
(dalle tre opere "depontiane" al Flauto Magico). Un
carattere interessante è lo spazio assunto dalle parti orchestrali:
l'orchestra assume un rilievo notevole e il compositore le dà spazio e
importanza con un'attenzione persino insolita per un melodramma, fin
dall'ouverture, col suo inizio esuberante e vigoroso, che verso la fine
sembra spegnersi su sé stessa, lasciando spazio alle varie voci
dell'orchestra e proponendo accenti di maggiore tensione e gravità
; anche la marcia che
apre l'intermezzo tra il primo e secondo atto, colle sue movenze ora
decise e fortemente ritmate ora graziose e suadenti, è l'occasione per
fare un uso quanto mai vario dell'orchestra
e il successivo coro
"Nettuno s'onori"
rileva una perfetta
fusione tra strumenti e voci. Si veda ancora l'introduzione dell'aria
di Ilia "Se il padre perdei" per rilevare come Mozart indulga con
compiacimento alla valorizzazione dei contrasti timbrici, col lungo e
intenso dialogo tra legni e corno
. Anche l'uso delle voci
presenta un atteggiamento generalmente sobrio e una tensione drammatica
che non eccede mai nell'enfasi e nell'artificioso, sia nelle arie dei
singoli personaggi sia nelle scene d'insieme, come il celebre quartetto
del III atto tra Idomeneo, Idamante, Elettra e Ilia "Andrò rammingo".
Nelle immagini: 1. Un recente allestimento scenico
dell'Idomeneo (Würzburg, 2005); 2. Il tenore Raaff che sostenne la
parte di Idomeneo nella prima rappresentazione dell'opera (da una
stampa dell'epoca); 3. Ritratto di W. A. Mozart (1756-1791); 4.
Biglietto d'ingresso per la prima rappresentazione dell'opera (München
1781).
La tua pagina in formato stampabile o in pdf
Per leggere il libretto clicca qui
|