"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI)

"La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)

 

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2012-1

 

Quest’anno scolastico che sta per terminare è stato per chi scrive fonte di grande interesse. Nei mesi autunnali ho partecipato ad un convegno di studi classici a Santiago del Chile, sul tema del silenzio. I relatori erano prevalentemente sudamericani (cileni o brasiliani), ma vi partecipavano anche due italiani: ed è stato emozionante (nel mio caso anche per motivi familiari, ma non solo) ascoltare relazioni in spagnolo, portoghese, italiano sul “nostro” mondo grecoromano, trovare una comunanza d’interessi letteralmente dall’altra parte del mondo. Da anni Zetesis è gemellata con la loro rivista, ed è già il secondo convegno a cui partecipiamo, dopo uno splendido incontro nella cornice della nuova biblioteca d’Alessandria; sul sito abbiamo a suo tempo segnalato il nostro dolore per la morte improvvisa della professoressa Grammatico, che degli studi classici in Santiago, della rivista e dei convegni è stata l’anima e l’organizzatrice. Ma certo incontrare studiosi appassionati nella loro città così lontana colpisce di più. Costringe a ripensare all’insistenza forse eccessiva con cui parliamo di Europa: non è l’Europa in sé che conta, ma una cultura che ha comunicato ragione e bellezza molto al di là dei suoi confini geografici, che costituisce un’eredità ineliminabile trasmessa da generazioni di immigrati e conservata con cura e affetto; costringe anche a comprendere che il cuore dell’uomo resta immutato sotto costellazioni diverse, con lo stesso desiderio e le stesse domande; infine fa sperimentare che c’è nella comunanza culturale un’unità immediatamente percepita: mai in nessun momento ci siamo sentiti stranieri.

Sempre nei primi mesi ho avuto occasione di partecipare ai corsi di preparazione per il TFA organizzati da Diesse: è stata un’esperienza interessante, che mi ha portato sia a confrontarmi con più attenzione col dettato ministeriale relativo alla riforma, e a giungere quindi ad un’analisi critica soprattutto sulle indicazioni riguardanti l’insegnamento del latino, sia a incontrare giovani insegnanti, dalle richieste sempre puntuali e ricche di stimoli. Ora siamo in attesa che il TFA si concretizzi, con il carico di incertezze che la nuova gestione ha forse in parte corretto; va aggiunto che apprezziamo anche il raro momento di resipiscenza con cui il ministero ha richiamato al rispetto delle classi di concorso nell’assegnazione delle cattedre, facendo esplicito riferimento ai danni subiti dalla A052 per un’intempestiva corsa all’apertura ad altre classi.

Fra marzo e aprile ho tenuto per il quarto anno consecutivo un corso all’Università della Terza Età (UTE). Nata un po’ per scherzo, in un mio breve periodo di tempo libero, questa iniziativa è divenuta negli anni un appuntamento fisso, con un pubblico stabile, che alla fine di ogni corso chiede il tema del successivo, quasi costringendomi a mantenere un impegno. Finora i corsi hanno riguardato il teatro greco e i tre grandi poemi epici: l’anno prossimo ci avventureremo nella lirica greca, ma già si preannuncia la richiesta di Orazio. E’ singolare la fedeltà del gruppo di “anziani”, settimanalmente presenti in un orario scomodo (il primo pomeriggio, e alcuni vengono da molto lontano), interessati, curiosi, colpiti da una lettura che suscita ricordi (in particolare i poemi epici fanno parte della memoria scolastica di tutti) ma che risulta nuova in modo a volte stupefacente. E alcuni colgono nessi con altri corsi frequentati, con altri testi letti (ad esempio il VI libro dell’Eneide con Le stelle fredde di Parise, o con il mito di Er); a fine corso due “allievi” mi hanno portato un CD e degli stampati che illustravano aspetti del poema letto quest’anno.

Sempre in primavera c’è stato un evento a lungo atteso. Lo scorso anno con gli amici di Zetesis avevamo preparato un testo teatrale (col titolo Fuori dal buio) tratto dal Fedro e dalla Repubblica di Platone, con l’intento che venisse rappresentato al Meeting di Rimini. Era la prosecuzione di un impegno ormai decennale col Meeting, svolto in diverse forme, dalla mostra alla conferenza al reading allo spettacolo. Purtroppo quasi all’ultimo momento non si è potuta realizzare la rappresentazione, e siamo rimasti col dispiacere di un appuntamento mancato e di un lavoro inutilizzato. Fortunatamente quest’anno un liceo ha ripreso il testo per un progetto teatrale che ha coinvolto una regista e un gruppo di ragazzi ed è approdato a due rappresentazioni di buon livello e di grande successo. Sul sito di Zetesis si possono vedere la locandina e alcune foto di scena, mentre in questo numero della rivista pubblichiamo il testo originario, che naturalmente nel lavoro del gruppo teatrale ha avuto qualche modifica. Nel frattempo stiamo allestendo un reading per il Meeting di questa estate, dal titolo Il limite e l’infinito, con un impegno ostinato che dieci anni non sono riusciti a fermare.

Un altro appuntamento di questa primavera mi ha portato a parlare della tragedia greca a un gruppo di studenti di un liceo scientifico: due incontri pomeridiani organizzati da un amico di Zetesis per preparare i ragazzi ad assistere agli spettacoli di Siracusa. Mi avviene ormai spesso di parlare a studenti di liceo scientifico, a volte in occasione di incontri maturandi, a volte chiamata da docenti di biennio o triennio, su argomenti di greco o anche di latino; negli ultimi anni mi è capitato più volte nella mia stessa scuola, che comprende entrambi i tipi di licei. In genere è un’esperienza interessante, che suscita curiosità e domande, con l’attrattiva della novità e una certa freschezza che a volte manca al classico. Ma diverso è il caso degli incontri coi maturandi, sovente controproducenti: lo studio del latino alla conclusione del liceo scientifico è per lo più manualistico, con scarso ricorso ai testi, non solo in lingua ma anche in traduzione; sui manuali studenti e purtroppo anche docenti tendono a giurare ciecamente, sforzandosi di interpretarli invece di misurarsi con gli autori. Ne consegue che una lezione basata su letture di testi sconvolge e sconcerta: mi è capitato tempo fa, in una circostanza del genere, una discussione sul Dialogus tacitiano che si è prolungata col docente senza, temo molto, togliergli la certezza che Tacito, e non lui o il suo manuale, sbagliava.

Il mio liceo, che è un liceo giovane, giunge quest’anno alla prima maturità. Questo mi porta ad una riflessione complessiva su tutto il percorso che i ragazzi hanno compiuto, in una realtà fortunatamente unitaria e positiva. Non è stato un percorso facile perché l’obiettivo era alto: allargare l’uso della ragione, studiare in modo da diventare consapevoli in prima persona dei vari frammenti di realtà e cogliere i legami con l’insieme, accettare l’umiltà di non parlare per sentito dire, perché c’è sul libro, perché l’ha detto qualcuno, cercare negli autori la propria stessa umanità, saper creare un percorso argomentativo e valutare quello altrui, saper “vedere” una struttura, una figura, un fatto evidente… Siamo ben lontani dal risultato, ma la consapevolezza dell’obiettivo comune è rimasta chiara, e qualcosa studenti e genitori hanno colto. Ma c’è un altro punto da considerare. Sempre più mi rendo conto del privilegio d’insegnare in un tipo di liceo così fortemente unitario, in cui tutto concorre, se minimamente si riesce a percepirlo e farlo percepire, ad un’unità. Le sole nostre materie, inoltre, sono interdisciplinari di per sé, senza bisogno di sforzi fittizi, perché unitaria è la civiltà antica: tutto fa parte del nostro insegnamento, poesia e prosa, retorica e storiografia, filosofia e scienze e diritto, ebraismo e annuncio cristiano: solo la storia dell’arte ha un percorso separato. Quest’anno ho voluto valorizzare al massimo questa complessità, facendo lavorare, con l’aiuto di due colleghi di matematica, alcuni gruppi di studenti su Euclide, Archimede e le concezioni astronomiche; altri gruppi hanno invece affrontato aspetti del cristianesimo: il tema della paura nei Vangeli, i sette segni dell’Apocalisse e le loro raffigurazioni, i primi testi (acta martyrum, padri apostolici, apologisti) e la poesia in lingua greca e latina, con un breve percorso sulla storia dell’innografia. Infine ho voluto che venisse svolta una lezione sull’eredità del diritto romano, che Benedetto XVI, nel suo discorso al Parlamento tedesco, ha indicato come elemento determinante per la nascita dell’Europa. E la lettura come autore in lingua di Platone ci ha portati a cogliere l’importanza nel tempo della tradizione platonica e neoplatonica: in Euclide come in Plutarco, in Apuleio come in Gregorio di Nazianzo…

Davvero abbiamo nelle mani una ricchezza preziosa.

Un’ultima osservazione: il brano di greco alla maturità era impraticabile, in uno stile ellittico e tortuoso. Ma, come dicevo ai miei maturandi a prova finita, che magnifica visione della realtà, in cui finalità e bellezza coincidono!


 

      

 

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