"Il patrimonio greco, criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana" (Benedetto XVI) "La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma" (Benedetto XVI)
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Non
confondere le idee!
Riflessioni, consigli,
esperienze didattiche di Giulia Regoliosi
Vi sono alcune strutture in latino la cui spiegazione crea confusione
invece di chiarire. Spesso questo dipende dalla conservazione della
modalità di spiegare a partire dall’italiano, o della finalità di
tradurre dall’italiano, o di comporre in latino: sembra che testi e
docenti non abbiano ancora preso atto che nella scuola la prova di
traduzione dall’italiano è terminata nel 1969, quarantacinque anni fa,
quando molti docenti non erano neppure nati e la maggior parte non
andava ancora a scuola, tanto meno al liceo. All’università la
traduzione dall’italiano e la composizione sono durate un po’ di più,
come pure in abilitazioni e concorsi, ma attualmente sembrano prove
estinte. E’ un male? Non diremmo: a vantaggio di competenze dal valore
culturale non essenziale si poneva il rischio di insegnare/imparare un
latino ingessato, acronico, e di sostituire regole rigide all’esperienza
linguistica dello scrivente. Ne fa fede ad esempio la sostanziale
invenzione dell’attrazione modale, per non parlare del Ponte di Reusch.
Vorrei proporre alcune riflessioni, nate da esperienze in classi di
triennio classico, su strutture comunissime, la cui spiegazione lascia
spesso fraintendimenti che durano anni, riemergendo magari all’ultimo.
Dativo di possesso
Dovendo analizzare la frase
sunt
et mea contra/ fata mihi
(Aen. IX) tutta la classe ha
riconosciuto il dativo di possesso (persino la struttura a chiasmo con
contra in forte posizione intermedia). Ma la spiegazione più
puntuale ha portato a definire mihi come soggetto e fata
come oggetto. Da notare che alcuni avevano anche proposto (la verifica
richiedeva liberi suggerimenti di traduzione) di rendere diversamente
dall’usuale
la struttura in italiano, tipo
anche per me c’è un mio fato, mostrando così che la comprensione
della struttura c’era. Perché allora l’errore? Se la spiegazione
all’origine (di docenti o sintassi) non insistesse sulla complicazione
del soggetto che diventa dativo (alcune sintassi anche molto
accreditate lo chiamano addirittura
soggetto in dativo) e il verbo avere che diventa essere
e viceversa, la struttura sarebbe ovvia
e l’analisi libera arriverebbe alla
comprensione.
Suus e eius
Nella generale e cronica ignoranza dei pronomi
in tutte le lingue si colloca l’ulteriore complicazione del possessivo
di terza persona riflessivo. Già in sé troviamo discutibile l’insistenza
sull’uso o meno del riflessivo, perché si tratta di una delle regole più
disattese dagli autori, che preferiscono rilevare più fortemente
l’appartenenza piuttosto che sottostare alle regole del riferimento o
meno al soggetto. Anche la questione del riferimento al soggetto della
reggente in alcune subordinate e non in altre crea una confusione
sostanzialmente inutile, perché è sempre possibile comprendere a chi il
riflessivo si riferisce, se non altro dal contesto generale della frase.
Perché allora insistere sull’uso del genitivo possessivo di is
nel caso che non ci sia riflessivo?
Perché non lasciare che liberamente
s’intenda e si traduca di lui? (di lei, di ciò, di loro…).
Poi si potrà, se si vuole,
suggerire di sostituire il genitivo
di possesso con l’aggettivo possessivo per una migliore resa italiana.
Qual è il rischio in alternativa? Che si intenda eius come un
aggettivo possessivo, che si faccia confusione su tutta la declinazione
di is (ho trovato un eam inteso come sua) e che non
si pensi alla possibilità di eius aggettivo concordato con un
nome: eius gentis
è
stato tradotto da una ragazza con del suo
popolo in un contesto in cui si
trattava certamente di un altro popolo, appena nominato (quindi di
quel popolo).
Ci chiediamo perché tanta insistenza nel
dichiarare che in latino aggettivi sostantivati e pronomi neutri non
usano i casi obliqui, sostituendoli con la perifrasi con res. Per quanto
si tratti di un uso frequente, in genere per evitare la confusione col
maschile (o anche il femminile), non è una regola, né un obbligo. E
anche lo fosse, la perifrasi con res è traducibilissima senza problemi:
di/a/con/per
quella cosa, o se proprio si vuole
evitare cosa come parola tabu, di/a/con/per
ciò. Il fatto è che molte
grammatiche inseriscono la perifrasi nel paradigma, creando assurdi
tipo: hic haec hoc, huius huius huius rei ecc., quasi si trattasse di
una forma unitaria. Perché stupirsi allora se ci sono studenti che
analizzano huius rei come genitivo neutro del pronome?
Gerundio e gerundivo
Anche in questo caso l’ansia dell’italiano
gioca pesantemente nel creare confusione su strutture in fondo molto
semplici. Il gerundio è un sostantivo verbale neutro che sostituisce
l’infinito sostantivato nei casi obliqui e nell’accusativo con
preposizione. Per i classicisti
(ma basta
Il gerundivo è un aggettivo verbale di I classe dai molti usi e dai
diversi significati. In particolare, se concordato con un sostantivo
declinato in caso obliquo o all’accusativo con preposizione, può essere
reso in italiano, analogamente al gerundio, con un infinito ( che regge
il sostantivo).
Il resto è superfluo. Starà allo studio degli autori l’eventuale
riflessione sulla preferenza dell’uno o dell’altro, peraltro
interessante solo statisticamente. Insistere invece
sull’interscambiabilità delle due strutture e sul rapporto con
l’italiano porta a dubbi assurdi di fronte a forme di gerundivo
femminile o plurale, che mai potrebbero essere gerundi.
Costruzione personale e impersonale
E’ spesso poco chiara l’idea stessa di costruzione personale. Nell’uso
più ristretto – l’uso scolastico – della definizione, è costruito
personalmente un verbo che ha un soggetto nominale espresso o sottinteso
(l’uso più ampio considera impersonali solo i verbi meteorologici). La
preferenza per la costruzione personale fa parte del gusto di una lingua
o di un autore.
Il problema è reso assurdamente complicato da
grammatiche che si sforzano di elencare una casistica di costruzioni
personali permesse o no, in particolare per videor. Dei famosi 5 casi
impersonali l’unico che comporta una reale scelta (ma è raro e in fondo
ben poco importante) è l’ut mihi videtur parentetico
dove potremmo aspettarci un ut mihi
videris (tipo: stultus es,
ut mihi…). Negli altri casi
videor regge un verbo o una
perifrasi impersonale, cosa che lo rende impersonale di per sé. Resta
l’assurda questione del pronome neutro, che è tale se videor è
impersonale, e non l’inverso! ma se si convincono i ragazzi che ogni
pulchrum mihi videtur è costruzione impersonale, lo sarà anche quando il
soggetto (neutro) è caelum!
Sulla resa italiana c’è pure un’eccessiva
preoccupazione. In assenza di un infinito siamo di fronte semplicemente
ad un verbo copulativo con predicativo del soggetto, traducibilissimo
conservando la costruzione personale. Dove c’è l’infinito è meglio far
trasformare in costruzione impersonale, spiegando che: 1) videor si
comporta come un verbo servile con infinito e predicativo; 2)
traducendo, il soggetto di videor diventa in italiano soggetto di una
completiva soggettiva.
Si impersonale e passivante
E’ una questione di italiano, ma è una
questione grave. Nell’uso comune i si
si
confondono, dando luogo a errori tipo affittasi appartamenti. Occorre
capire che l’uso di si più il solo verbo (transitivo o intransitivo) è
costruzione impersonale, mentre se
c’è un sostantivo questo è il soggetto di un si passivante, per cui il
verbo va accordato. Dunque si va, si mangia!, ma si affittano
appartamenti, si mangiano legumi.
E in latino? entrambi i si italiani
corrispondono a
costruzioni passive, personali o
impersonali: locantur praedia o ventum est.
A parte si può fare un discorso sul si riflessivo, su cui non sto a
soffermarmi.
Nesso relativo
Un problema forse minore, salvo la difficoltà a volte di individuarlo
rispetto alla prolessi. Ma mi vorrei soffermare sull’insistenza di
alcuni testi e docenti perché sia tradotto introducendo una
congiunzione, come fosse et (sed) is. A me pare che l’interesse per un
legame fra le frasi, tipico del greco con i suoi polisindeti, ma
presente anche in latino che pure usa ampiamente gli asindeti, va
rilevato come un fatto idiomatico, non riprodotto in una lingua che da
questo interesse è sempre più lontana: costringere poi i ragazzi a
iniziare una frase con e quando in italiano viene loro più o meno
perentoriamente proibito è almeno un controsenso.
Presente storico
Dissento decisamente da quanti esigono che venga tradotto con un
imperfetto. La scelta del presente storico da parte di un autore serve a
dare vivezza ad un fatto inserito in una più ampia narrazione al
passato: appartiene allo stile dell’autore e come tale va conservato,
tanto più che si tratta di una struttura comunissima anche in italiano.
Si tratta piuttosto di aiutare i ragazzi a distinguere il presente
storico dal presente letterario (come dice Strabone) o dal presente
descrittivo (che è un’isola dell’Egeo). Niente di male se la
conservazione del presente storico evita di sbagliare!
l’italiano) è chiaro che
l’assenza dell’articolo declinato (come in greco) o della preposizione
articolata (come in italiano) ha costretto il latino a dotarsi di un
altro mezzo.
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